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RS-STADIO: Rigoristi che non se la sentono? La storia ne è piena – 11 mag

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Francesco De Gregori cantava, nella celebre “La leva calcistica dela classe ’68”: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”, ed è vero. Per quanto bruci, per quanto faccia rabbia, il tiro dal dischetto che poteva cambiare una stagione e che è stato fallito da Acquafresca poteva essere tirato da qualcun altro che però non se l’è sentita. Da Matteo Mancosu, ancora alla ricerca del primo gol in rossoblù e che con la maglia del Trapani era uno specialista, ma non solo da lui sia chiaro. Capita, quando sei lì, che non te la senti, la storia del calcio ne è piena e Giorgio Burreddu sulle pagine di “Stadio” in edicola oggi ci racconta le storie più significative di chi ha preferito evitare di andare sul dischetto. Celebre è la storia di Roberto Baggio: a Vicenza da giovanissimo ha avuto così tanti infortuni che lo danno già per finito prima ancora che cominci, a Firenze in maglia viola è diventato un campione e un idolo, e la sua cessione ha causato una rivolta popolare. La prima volta che si ritrova di fronte la sua Viola tanto amata vestendo la maglia della Juventus c’è un rigore per i bianconeri, la Fiorentina vince, lui non se la sente di tirare. Va De Agostini e sbaglia, mentre lui raccoglie una sciarpa che i vecchi tifosi gli gettano. Episodio celebre, non certo l’unico: c’è quello famoso di Ciccio Graziani, che sbaglia il rigore decisivo contro il Liverpool in finale di Coppa Campioni. Capita, ma quel rigore lo doveva tirare il grande Falcao, l’ottavo Re di Roma e campione assoluto, che però non se l’è sentita. È successo anche a Thiago Silva all’ultimo Mondiale contro il Cile, mentre nel 2006 a Berlino contro la Francia erano in tanti gli azzurri che non se la sentivano, e allora decise Lippi e tutti zitti. Decise bene, ma immaginatevi le critiche se il rigore decisivo lo avesse sbagliato, quel Fabio Grosso che pochi anni prima era sconosciuto: l’Italia si giocava un Mondiale. Questione anche di fortuna, dunque: e allora ecco perché “non è mica da questi particolari che giudica un giocatore”.

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