Basket
Una vittoria su cui riflettere. L’editoriale del lunedì sulla Virtus
Se si eccettua la finale di Supercoppa, fra l’altro giocata tutt’altro che col favore del pronostico, e che in fondo apparteneva ancora al precampionato, per ora questa Virtus Segafredo potrebbe dare l’impressione di essere una macchina costruita per vincere: tre vittorie su tre gare ufficiali, di cui una in trasferta in Eurocup, di cui due giocate sul velluto. Oltre tutto, siamo ancora in fase di inizio stagione, per cui pare più che normale che alcune cose possano non girare alla perfezione, che qualche giocatore non sia ancora in piena forma. Francamente, vedere sul parquet la squadra di Djordjevic credo sia spesso un piacere anche al di là del tifo: quando il gioco prende velocità, quando la difesa si fa granitica lasciando briciole agli avversari, soprattutto quando Santeodosic inventa assist che sarebbe riduttivo definire da antologia.
Allora, perché bisognerebbe invece riflettere sulla vittoria di ieri a Brescia? Qualche scricchiolio, in verità, emerge con dubbia giustificazione. Il primo, è la tendenza all’approccio morbido alle partite che già nella scorsa stagione aveva creato diversi problemi. Se si eccettua l’esordio contro Cantù, la Virtus quasi pervicacemente sembra voler aspettare di scoprire fino a che punto siano davvero pericolosi gli avversari, prima di chiudere le maglie della difesa ed iniziare col martellamento che possa affossarne le velleità. Chiaro che non andrà sempre come ieri con la Leonessa, e che il tiro della disperazione prima o poi castigherà chi non ha saputo cogliere i momenti più opportuni per chiudere i giochi. Lo scorso anno Vitali la tripla vincente di tabella sulla sirena l’aveva poi messa, infatti, senza contare che la lunghezza della stagione richiederebbe un minor dispendio di quella energia psicologica che i finali punto a punto portano a spendere in eccesso. Che si tratti di un problema di mentalità è inequivocabile, perché poi la squadra ha fin qui dimostrato all’interno di ogni partita di non avere limiti “organici” al livello cui è chiamata a competere, per cui, che dire? Rimane un rebus che lo staff tecnico lo scorso anno ha faticato molto a risolvere e quest’anno, con le ambizioni societarie sicuramente aumentate, bisognerebbe accelerarne i tempi di risoluzione.
Altro argomento, la gestione di taluni giocatori. Il primo riguarda l’acquisto principe di questa estate, Josh Adams. La guardia americana è in evidente difficoltà di inserimento, fin qui ha messo in mostra un decimo delle sue potenzialità, benché quando lo ha fatto abbia dimostrato di poter certo fare innamorare di sé i tifosi bianconeri. La sua gestione da parte del coach sinceramente lascia perplessi: non si sta qui parlando di un ragazzino da “educare” a un livello maggiore, ma di un talento da integrare in un sistema. Se lo toglie dai giochi con questa sistematicità come potrà completare il proprio percorso? Se dovrà diventare il sostituto di Santeo, come è stato presentato dalla società in estate, non sarà il caso di offrirgli maggiori opportunità di crescita? A meno che non succedano cose che non conosciamo in allenamento o nello spogliatoio il suo modesto impiego di ieri è parso molto più opinabile di quello in partite precedenti, ma mi rifiuto di pensare che così presto ci sia già chi cominci a pentirsi del suo arrivo. Ora, poi, che Pajolic ha rivelato di non essere purtroppo indistruttibile, come qualcuno cominciava invece a favoleggiare, un suo contributo diviene imprescindibile, soprattutto nella fase difensiva. Vedremo, a partire da mercoledì.
Altra cosa, la gestione di Santeodosic, il dio Milos che sappiamo bene come non sia eterno e indistruttibile. In questa fase di campionato bisognerebbe ricorrere ai suoi miracoli il meno possibile, forse anche a rischio di qualche sconfitta che potrebbe ancora non risultare così decisiva, perché la squadra non può, non deve imparare a considerarlo unico terminale nei momenti topici. Senza considerare la sua vocazione al monopolio di queste situazioni. Potrebbe, però, accadere, come è già successo, di non poterlo avere disponibile in taluni frangenti, e allora? Quanto può esser fragile una formazione che rischia di bloccarsi se si sbarra la strada al suo unico strumento d’assalto nei momenti decisivi? Forse oggi servirebbe un briciolo di coraggio in più per rendere maggiormente responsabili altri terminali che potenzialmente avrebbero le stigmate caratteriali, oltre che tecniche, per alternarsi nella gestione dei tiri decisivi, benché sia chiaro come nessuno abbia il talento di Teodosic. Il quale, peraltro, non avendo più vent’anni, potrebbe non riuscire ad affrontare nella miglior forma l’intera stagione. Ma questo lo staff tecnico lo sa certamente meglio di ciascuno di noi.
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