Calcio
Monday Night – Chi non muore si rivede: bentornato Burnley! -18 Lug
Burnley, remota città- mercato del Lancashire Orientale. Meno di 80.000 anime adagiate lungo la confluenza del fiume Brun, a circa una trentina di miglia dalla Greater Manchester.
Antica terra di cotonifici, fabbriche metallurgiche e miniere di carbone. Un benessere appena fiutato nella prima parte del secolo scorso, quando il trasporto fluviale favoriva gli scambi commerciali conLiverpool e le fumanti industrie laniere attiravano manodopera irlandese in fuga dall’isola del trifoglio. Una felicità cavalcata appieno per pochi anni, prima che lo scoppio del doppio conflitto mondiale demolisse ogni sogno di sviluppo.
Al termine della seconda guerra mondiale, il settore tessile entrò definitivamente in crisi e l’intera comunità venne trascinata in un lento quanto inesorabile declino. Pian piano la popolazione attiva diminuì, i giovani scapparono e le percentuali di disoccupazione toccarono i picchi più alti di tutta la Gran Bretagna. Un eccidio collettivo, a cui i successivi tentativi di riqualificazione urbana non posero mai un rimedio definitivo. È chiaro che in contesti del genere, il football diventa il porto più sicuro in cui attraccare, una scorciatoia verso lo svago, l’aggregazione e persino il riscatto sociale. Per capirci, se nasci a “Brun Lea” dove l’odore di fritto sembra aver sostituito quello della primavera ed i profili delle vecchie ciminiere accarezzano il cielo grigio, non è facile trovare un motivo d’orgoglio a cui aggrapparsi. Rifugiarsi dietro al vessillo “Claret&Blu” del club rappresenta l’unico modo per appianare le disuguaglianze socio – economiche, la soluzione più semplice per scappare dal disagio quotidiano.
Un costante punto di riferimento per le periferie martoriate e gli scontenti del sistema. Un fiume in piena molto pericoloso, che spesso è sfociato nell’estremismo più becero ( negli ultimi anni la città è stata al centro della cronaca nera per episodi legati al razzismo) e che continua inesorabilmente ad alimentare l’ultima “firm” rimasta fra i sudditi di sua Maestà. Quella Suicide Squad che all’epoca dell’hooliganismo dava del filo da torcere a tutte le grandi tifoserie inglesi. La stessa che nel recente 2002, si rese protagonista dell’omicidio di un giovane tifoso del Nottingham Forest durante gli scontri del pre partita fra le due squadre. Ufficialmente sciolta anni fa, la banda un tempo guidata da Andrew Porter (ora diffidato a vita), continua di tanto in tanto a “farsi notare” in giro per la nazione, ma per fortuna di tutti c’è anche dell’altro.
Il calcio giocato. Per la verità, sul campo, il Burnley Football Club vanta una storia invidiabile e piena di record.
La squadra sportiva nasce ufficialmente nel lontano 1882 (staccandosi dalla compagine rugbistica) e già dal 1883 comincia a giocare le sue partite casalinghe nell’affascinate Turf Moor (uno degli stadi più antichi d’Europa). Nel 1888 diventa un membro costituente della Football League (insieme ad Aston Villa ed Everton, giusto per citarne un paio) e proprio come la sua città vive un inizio Novecento di grande splendore. Nel 1914 alza al cielo la sua prima ed unica F.A. Cup, superando 1 a 0 il Liverpool nella finale secca di Londra. Una vittoria resa ancor più storica dalla presenza di Re Giorgio V in qualità di padrino del torneo. Nella stagione 1920-‘21 vince il campionato inanellando ben 30 partite consecutive senza subire sconfitte (un primato superato solo dall’Arsenal di Wenger nel 2004) prima di sprofondare nell’oblio. Dopo decenni di amarissimo limbo, attorno alla metà degli anni ’50,la squadra riassapora l’erba della Prima Divisione e torna di gran carriera fra le big d’Inghilterra.
Nella stagione 1959-‘60 festeggia addirittura il secondo ( ed ultimo) scudetto, al termine di una cavalcata al cardiopalma col Tottenham. Nelle due stagioni successive colleziona un secondo posto ed una finale di coppa nazionale. Uno splendido triennio culminato con un’inaspettata retrocessione. Le contemporanee perdite di McIllory (finito allo Stoke City) e di Adamson (ritirato)diedero il via ad un costante quanto inarrestabile smantellamento della squadra. Stagione dopo stagione i risultati peggiorarono e le retrocessioni si susseguirono. Nel 1985 il club sprofondò addirittura in Fourth Division, finendo ad un passo dal dilettantismo.
Nel 1992 – mentre la Premier League vedeva le prime luci a seguito del famigerato “rapporto Taylor”- il Burnley dominava le timide avversarie di Fourth Division, diventando così l’unica squadra (assieme al Wolverhampton) ad aver vinto tutte e quattro le divisioni della piramide calcistica inglese.
L’ultimo ventennioè stato un continuo susseguirsi di alti e bassi, con poca gloria e molta sofferenza.
Cotton Mills Derby.Burnley dista appena una manciata di miglia dalla più grande e moderatamente tranquilla città di Blackburn: facile intuire come sin dai tempi del commercio tessile le due realtà fossero in conflitto. La leggenda narra che per trovare i primi – inevitabili – screzi calcistici, bisogna catapultarsi nientemeno che alla fine dell’Ottocento, quando i Rovers fecero causa ai Clarets accusandoli di aver illegalmente tesserato alcuni giocatori scozzesi. Chiaramente nel tempo gli sfottò – e purtroppo anche le scazzottate – si susseguirono fino a toccare l’apice nel 1991 quando il Burnely perse allo scadere la finale di quarta divisione contro il piccolo Torquay United ed i tifosi bianco blu fecero passare un aeroplano sopra al Turf Moor con la scritta premonitrice “resterete per sempre nei bassi fondi”. Ma come disse qualcuno “la vendetta è un piatto che va servito freddo” e così, nel 1994, a seguito della clamorosa eliminazione in Coppa Uefa del Blackburn ad opera dei modesti svedesi del Trellemborg, i tifosi dei Clarets sostituirono il cartello “Burnley” con la scritta “Trellemborg” lungo la tangenziale che collega le due città.
Il ritorno. Anno domini 2016. Per la precisione il secondo giorno di Maggio. Al termine di una durissima battaglia contro il QPR, il sole torna a splendere sopra al tetto del Turf Moor. Un gol di Vokes sommato al simultaneo pareggio di Brighton e Middlesbrough consentono matematicamente al Burnley e a tutti i 19.362 tifosi presenti allo stadio, di poter festeggiare il ritorno in Premier League. Una vittoria non pronosticata ad inizio anno. Un successo figlio del DNA operaio di una squadra tutta Made in Britain (18 giocatori inglesi,3 scozzesi ed uno gallese su 25 totali). Un gruppo di lavoratori silenziosi illuminato dal talento di Andre Gray ( capocannoniere con 24 reti) e trainati dal tempestoso carisma dell’ex capitano degli Hoops Joey Barton.
Un trofeo meritato anche per il manager Sean Dyche, che adesso avrà il difficile compito di preservare la categoria con pochi soldi e tante idee, infischiandosene dei miliardari buffeta cui partecipano i grandi club d’Oltremanica. Indubbiamente ci sarà un Turf Moor arroventato,un catino dove molte squadre risicheranno di perdere lo scalpo e non solo. Sarà molto di più. Sarà una sorta di vuoto spazio-temporale dove tutti sogneranno di nuovo, dimenticandosi per 90 minuti che al di fuori della James Hargreaves stand ci saranno sempre il cielo cupo e la puzza di fast food a farla da padrone.
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