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Calcio

EuRoad. Episodio 1: Euro 2000

Nell’estate del 2000, in Francia, girava spesso questa battuta “Come si fa a rimettere il tappo a una bottiglia di champagne? Chiedetelo agli italiani!” In questa puntata di EuRoad andremo a raccontare l’incredibile, ma anche drammatica, storia di Euro 2000.

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Will the Real Silm Shady please stand up? Will the Real Slim Shady please stand up? L’avete riconosciuta vero? La voce è quella di Marshall Mathers, in arte Eminem. E il disco è l’intramontabile The Marshall Mathers LP, pietra miliare del rap americano e mondiale. L’album viene rilasciato a maggio, pochi giorni dopo le prime proiezioni nelle sale italiane di un film che cambierà l’immaginario cinematografico. Ma il mondo del calcio, che ha appena incoronato il Real Madrid ancora una volta re d’Europa, guarda da un’altra parte. Anzi per essere precisi da due parti. Perché per la prima volta due paesi uniscono le forze per organizzare una grande manifestazione. Occhi puntati su Belgio e Olanda e, per citare proprio quel famoso film di cui sopra: “Al mio segnale, scatenate l’inferno.” Bentornati a Euro 2000.

La favola della Romania e la serenità dell’Italia

Ai nastri di partenza del primo campionato europeo per nazioni del nuovo millennio ci sono 16 squadre. Ogni formazione ha la sua stella. Ogni squadra sembra essere in grado di dire la sua. La favorita di diritto è la Francia campione del mondo in carica, ma ci sono altre compagini da tenere d’occhio. A cominciare da quelle del Girone A che, a detta di tutti, si presenta come il vero e proprio gruppo della morte. Ci sono i tedeschi, guidati in panchina da Erich Ribbeck, profeta del calcio teutonico che, dopo oltre trent’anni da allenatore in giro per la Germania, chiude la propria carriera sulla panchina della nazionale. Ma la vera guida, tecnica e morale, di quella Mannschaft è Lothar Matthaus. A trentanove anni suonati e dopo aver sfiorato la Champions League un anno prima con la maglia del Bayern Monaco, nella sfortunata finale di Barcellona contro il Manchester United, il mitologico centrocampista prova a chiudere con un successo la sua straordinaria carriera. Ma quella Germania va incontro ad una delle più rovinose esperienze della sua storia. 

Il girone, come detto, non è di quelli agevoli. Oltre ai tedeschi c’è l’Inghilterra di Kevin Keegan in panchina e di Micheal Owen in campo. 

Che giocatore. Ha appena vent’anni, non arriva a 1 e 75, ma è immarcabile. Dotato di una tenacia degna del calcio inglese, ma anche di un’eleganza sudamericana. Vincerà il Pallone d’Oro l’anno dopo e a Euro 2000 è una delle stars. 

Ma clamorosamente le due grandi rivali vanno fuori al primo turno. Subiscono una clamorosa eliminazione per opera di Portogallo e Romania. Proprio quest’ultima compie una vera e propria impresa. Nella prima giornata riesce a strappare un buon 1-1 contro la Germania. Poi si deve arrendere al colpo di Costinha a tempo scaduto con i portoghesi che, per effetto, del 3-2 inflitto in rimonta ai Sudditi di Sua Maestà alla prima giornata, si qualificano con un turno di anticipo. La super classica del calcio mondiale, poi, termina 1-0. Punizione di Beckham, difesa tedesca a vuoto e Shearer con uno dei suoi meravigliosi colpi di testa segna il gol che vale la vittoria. A questo punto, con una gara da giocare per tutte le squadre, la corsa per il secondo posto è ancora aperta. Il Portogallo, già sicuro del passaggio del turno, fa en-plein e brutalizza la Germania: finisce 3-0 con tripletta di Sergio Conceição. Il primo gol è da opportunista, il secondo sfrutta una papera di Kahn e il terzo è un bel diagonale in contropiede. I campioni in carica vanno a casa senza nemmeno passare dal via. Sarà un’umiliazione che servirà a cementificare delle basi per il futuro. Il calcio tedesco, anche dopo la triste finale mondiale persa con il Brasile due anni dopo, troverà nell’investimento nei vivai una nuova linfa per tornare, quattordici anni dopo, sul tetto del mondo. 

Contemporaneamente, nell’altra gara del girone, l’Inghilterra potrebbe anche permettersi di gestire. Per passare il turno basterebbe il pari. Ma il destino ha altri piani. La gara è bellissima. Vanno avanti i rumeni con un rocambolesco gol di Chivu. Sì, il Chivu dell’Inter del Triplete, all’epoca non ancora ventenne. Il suo è chiaramente un tentativo di cross per Moldovan che sembra deviare dentro, ma al replay è evidente come il pallone colpisca la parte interna del palo e s’infili alle spalle di un incredulo Martyn. 0-1. La gara a quel punto si apre, gli inglesi attaccano e al 41’ trovano il pari. Altra specialità di casa Shearer: undici metri, palla da una parte, portiere dall’altra. E nel recupero del primo tempo la squadra di Keegan ribalta tutto. La rete è di Owen. Il pallone che gli arriva da lontano è difficile da addomesticare quindi il golden boy fa la cosa più utile, ma che è anche la più difficile. Tocca quel tanto che basta per eludere l’uscita a valanga del portiere e poi sguscia via per mettere dentro a porta vuota. Inghilterra 2 Romania 1. Tutti negli spogliatoi. La strada per la qualificazione, al rientro dall’intervallo, è impervia per la squadra di Emerich Jenei. Alla luce di quello che sta succedendo a Rotterdam, gli inglesi dovrebbero essere sereni. Ma la Romania ha tutta un’altra idea. Dopo appena tre minuti Munteanu scarica una botta dal limite che vale il 2-2. Da lì comincia un lungo, disordinato e apparentemente inconcludente assedio all’area di rigore inglese. La formazione balcanica non riesce a sfondare e ormai la gara sta volgendo al tramonto. Ma all’88’ Moldovan ha ancora la forza di andare via sulla destra, battere in velocità Gary Neville che lo atterra da dietro con un tackle di cui Nobby Stiles non sarebbe stato fiero. Il telecronista inglese urla sconsolato Calamity for England!. Calcio di rigore. In campo, però, non c’è Gheorghe Hagi, il Maradona dei Carpazi. Ci sarà nella partita dopo e lo vedremo, ma lì no. E quindi sul dischetto si presenta Ioan Ganea, attaccante dello Stoccarda. Il suo è un rigore che non ha nulla da invidiare a quello di Shearer. Spiazzato Martyn e ai quarti di finale ci va la Romania.

Il Girone B è quello dell’Italia. La squadra azzurra arriva al campionato europeo come una delle favorite. Siamo indubbiamente la squadra che ha messo più in difficoltà la Francia ai mondiali di due anni prima e abbiamo un campione in più. Ha ventiquattro anni e gioca un calcio di un’eleganza sconfinata. Francesco Totti è veramente il nostro fiore all’occhiello. Il girone è semplice e infatti non facciamo fatica. Abbiamo perso per infortunio Gianluigi Buffon nell’ultima amichevole pre kermesse. Il sostituto naturale dovrebbe Angelo Peruzzi, ma ha rifiutato la convocazione pensando di essere relegato a terza scelta, quindi il titolare diventa Francesco Toldo e diventerà il protagonista di questa storia. 

La prima gara è la più difficile. Di fronte abbiamo una Turchia non troppo diversa da quella che raggiungerà uno straordinario bronzo mondiale due anni dopo. Vinciamo 2-1, grazie alle reti di Conte, in rovesciata, e Inzaghi, su rigore molto generoso, che rendono inutile il momentaneo pareggio di Okan Buruk. Il giorno prima il Belgio aveva battuto la più quotata Svezia con lo stesso risultato, ma a Bruxelles, quattro giorni dopo contro i padroni di casa, chiudiamo il discorso qualificazione: Totti di testa nel primo tempo e Fiore con un gran tiro da fuori nella ripresa. La Turchia, nel frattempo, inchioda la Svezia sullo 0-0 e batte il Belgio nell’ultima giornata. Quindi l’ultima gara, futile ai fini della classifica, diventa un’occasione per gli Azzurri che hanno giocato meno. Uno su tutti, Alex Del Piero. Vilipeso nel ‘98 per la forma fisica non eccelsa e chiamato a un dualismo stile Rivera-Mazzola con Roberto Baggio, all’europeo non può ancora splendere di luce propria. Il dibattito della scelta fra lui e Totti potrebbe far innervosire qualsiasi allenatore. Ma sulla panchina dell’Italia siede un signore che è impenetrabile alle polemiche, un monumento del calcio italiano e mondiale: Dino Zoff gode di un rispetto che difficilmente è capitato ai commissari tecnici azzurri. Nella gara contro la Svezia il CT dà spazio a chi ha giocato di meno e la fiducia viene ripagata. Prima Di Biagio ci porta in vantaggio con un bel colpo di testa, poi Larsson pareggia saltando Toldo. E a due dal 90’ Del Piero indossa i panni di Pinturicchio e dipinge uno dei capolavori più pregiati del suo repertorio.

Andiamo ai quarti a punteggio pieno, insieme alla Turchia.

Il sogno jugoslavo e la garra spagnola

Il Girone C è per certi versi il più affascinante. 

A passare il turno saranno la Spagna e la Repubblica Federale di Jugoslavia. Ma c’è una partita che solca i confini del calcio e s’interseca perfettamente con le trame della storia. La gara in questione si gioca a Charleroi la sera del 13 giugno. Il calcio jugoslavo ha vissuto dei momenti incredibili, con delle generazioni di campioni che hanno cambiato radicalmente il mondo di interpretare questo sport. 

E qui ci viene in aiuto un gioiello. L’autore è Gigi Riva, finissima penna e grande esperto di storie balcaniche. Il libro è “L’ultimo rigore di Faruk”, l’incredibile vicenda della nazionale jugoslava ai mondiali del 1990. Il brano che porto all’attenzione riguarda la finale di Coppa dei Campioni del 1991, l’ultima vinta da una squadra slava, la Stella Rossa di Belgrado: 

“Stojkovic ha avuto un altro problema alla gamba e ha giocato poco. A Bari è in panchina. Gli amici-avversari sono la più forte squadra balcanica di tutti i tempi. […] Rigori, anche qui. […] La Stella Rossa li segna tutti e finisce 5 a 3. E’ l’apice più alto mai toccato dal calcio jugoslavo e ci sarebbe da gioire se esistesse ancora la Jugoslavia. Il 25 giugno Slovenia e Croazia si dichiarano indipendenti. La guerra scoppia, in Slovenia durerà dieci giorni per complessivi 58 morti. In Croazia sarà massacro.”

La Jugoslavia non esiste più da tempo, la nazionale presente nel 2000 mantiene la vecchia denominazione, ma ormai rappresenta solo le repubbliche di Serbia e Montenegro. E, con una dose di sarcasmo non indifferente, il destino la mette di fronte alla Slovenia. Capitano di quella Jugo è proprio Dragan Stojkovic. Pixie non parte dall’inizio nella sfida con gli sloveni, ma subentra nel primo tempo. A trentacinque anni non è più lo straripante giocatore che era ad inizio anni 90, ma la classe cristallina è intatta. L’altro superstite della finale di Bari contro il Marsiglia è Sinisa Mihajlovic. Il quale non ha certo bisogno di presentazioni. Ma di fronte c’è una Slovenia tutt’altro che da buttare. L’allenatore è Srečko Katanec, ex perno della Samp d’oro di Vialli e Mancini, che si trova così ad affrontare il suo ex mentore, Vujadin Boskov, alla guida di quella Jugoslavia. Il centro della squadra è Zlatko Zahovic, recordman di reti con la maglia della nazionale. La gara è incredibile. Vanno avanti 3-0 gli sloveni grazie a una doppietta di Zahovic e una rete di Pavlovic che sfruttano una non proprio irreprensibile difesa jugoslava. Ad inizio ripresa sembra definitivamente finita quando Mihajlovic spintona un avversario che cade platealmente: secondo giallo e Jugo in dieci uomini. Ma mai dare per morta una squadra slava e, infatti, in dieci minuti cambia tutto. Tra il 67’ e il 73’ Milosevic, Drulovic e ancora Milosevic confezionano il pareggio.

Nell’altra gara del girone la Norvegia batte di misura la Spagna, ma nella seconda giornata si deve arrendere alla Jugoslavia che la punisce con il terzo gol in due partite di Milosevic. La Spagna batte 2-1 in rimonta gli sloveni e, quindi, prima dell’ultima giornata è ancora tutto aperto. 

Norvegesi e sloveni impattano sullo 0-0 e si eliminano a vicenda. Le Furie Rosse, invece, hanno la meglio sulla squadra di Boskov al termine di una partita senza senso. La Roja, infatti, al 93’ è sotto 3-2 e quindi a un passo dall’eliminazione, ma prima un rigore di Mendieta e poi un mancino volante di Alfonso, sull’ultima palla della disperazione buttata in area avversaria, valgono la vittoria e il passaggio del turno.

Il Girone D è senza storia. Francia e Olanda sono troppo più forti di Danimarca e Repubblica Ceca. I danesi vengono liquidati con lo stesso risultato: finisce 3-0 sia contro i padroni di casa che contro i transalpini. La Repubblica Ceca è un cliente un po’ più scomodo. L’Olanda ha la meglio solo per un rigore calciato da De Boer all’89’, mentre i francesi vincono 2-1. Nell’ultima, futile, giornata l’Olanda vince 3-2 e le due squadre si qualificano a braccetto.

I quarti di finale: tutto facile per Italia e Olanda, soffre la Francia

I quarti di finale di Euro 2000 assomigliano molto a un turno preliminare. La superiorità delle quattro semifinaliste è evidente. Il Portogallo, in 11 contro 10 per oltre metà partita, elimina la Turchia senza particolari patemi: 2-0 con doppietta di Nuno Gomes a cavallo dei due tempi. Stesso risultato anche tra Italia e Romania con Totti e Inzaghi che chiudono la pratica già nel primo tempo. Questa partita segnerà anche il triste addio al calcio internazionale di Hagi che, lamentando una veniale trattenuta, andrà incontrò a un secondo giallo per proteste che segnerà la fine, contemporaneamente, delle speranze rumene e della sua carriera. 

La combattiva Jugoslavia cade rovinosamente sotto i colpi della fortissima Olanda: a Rotterdam finisce 6-1 e Patrick Kluivert fa tripletta. Italia avvisata.

Francia-Spagna è il quarto più in bilico. La gara è dura, cattiva e i colpi al limite non mancano. Alla mezz’ora, Zidane sbaglia clamorosamente solo davanti al portiere lisciando un suggerimento perfetto di un compagno. Un errore non da lui e, infatti, ci mette appena due minuti a farsi perdonare. La sua punizione dal limite è un colpo d’autore di abbacinante bellezza. Ma non passano neanche quattro minuti e Thuram falcia senza ritegno Munitis. Dagli undici metri Mendieta è perfetto: 1-1. Sembra il risultato con cui andare al riposo, ma Djorkaeff la pensa diversamente e scarica in porta un bellissimo destro sul primo palo che vale il 2-1. La ripresa è un assedio iberico che sbatte perennemente su Barthez, ma a un minuto dalla fine arriva l’episodio che potrebbe capovolgere le sorti della sfida. Il portiere francese fa per abbrancare il pallone, ma la sfera gli sfugge dalle mani e nel tentativo di riconquistarlo atterra goffamente Abelardo: altro calcio di rigore. Stavolta dal dischetto si presenta Raul che, però, calcia un penalty improponibile. Palla in curva e Francia in semifinale.

La prima semifinale, quella di Bruxelles, vede scontrarsi la Francia di Roger Lemerre e il Portogallo di Humberto Coelho per il rematch della semifinale Euro 84. Anche qui a vincere sono i transalpini e anche qui ai supplementari. Nuno Gomes porta in vantaggio i lusitani al 19’ con un gran sinistro da fuori area, peraltro cadendo. Ma nella ripresa Titì Henry trova il pari con una rete delle sue: finta di corpo verso destra e tiro improvviso ad incrociare. Vitor Baia può solo guardare. Ai supplementari vige la regola del golden gol e al 117’ accade l’imponderabile. Il portiere portoghese esce benissimo sui piedi di Trezeguet, la palla resta lì e Wiltord va a colpire a botta sicura. In presa diretta è difficile da vedere, ma al replay è evidente: Abel Xavier ha salvato con la mano. Con tutta la pressione possibile Zidane spiazza il portiere e porta la Francia in finale.

Olanda – Italia

E poi c’è l’altra semifinale. Quella che non è una partita, ma un poema epico. Come se gli Azzurri quel giorno ad Amsterdam fossero i troiani e i greci fossero gli olandesi. Un assedio lungo 120 minuti, ma percepiti come se fossero i dieci anni omerici. Zoff sorprende tutti lasciando in panchina Totti, in favore di Del Piero. Ancora staffetta. Ancora Italia divisa. Ma da quando l’arbitro Merk fischia, alle ore 18, il via alle ostilità… Beh da lì in poi il dibattito sul talento passerà decisamente in secondo piano. Perché c’è da soffrire. E tanto. Gli olandesi ci costringono in area di rigore. La gara è dura e noi non tiriamo mai indietro la gamba, dopo i primi venti minuti abbiamo già due difensori ammoniti e dopo mezz’ora Zambrotta ha già preso il secondo giallo. Nel mezzo poi, Denis Bergkamp volteggia in dribbling e scarica il diagonale che dà il via al festival di quella splendida espressione inventata da Nicolò Carosio: è quasi gol. E ci saranno tanti quasi gol in quell’ossianico teatro che è la Amsterdam Arena quel pomeriggio. Il muro arancione non basterà a far entrare in porta due rigori: uno per tempo, uno parato da Toldo a De Boer e uno calcio sul palo da Kluivert. Zoff però ci prova, quella è un’Italia coraggiosa. Entrano Totti e Delvecchio. E li portiamo lì, dove correre non serve più. Dove contano altri fattori. Ma in quel momento l’Italia del calcio è appena uscita dagli anni 90: un’epopea, più che un’epoca, in cui siamo stati il centro del mondo, calcisticamente parlando s’intende, vincendo tutto a livello di club e con il campionato migliore del pianeta. Ma la nazionale no. Agli europei fallimento, uno non ci siamo andati e uno siamo usciti al primo turno. I mondiali invece? Sempre lì. Dove siamo adesso. Ai calci di rigore. E proprio due anni prima siamo usciti perché Gigi Di Biagio ha calciato un penalty di sicurezza, forte e centrale, ma troppo alto e ha spaccato la traversa. Ma adesso sul dischetto c’è lui, con due attributi così, aggiungerei. E la mette sotto l’incrocio. Un rigore da fuoriclasse. A dispetto di tutto ciò che è successo nei 120 minuti precedenti, abbiamo segnato prima noi. Poi va De Boer. Impaurito e centrale. Toldo 2 De Boer 0. Pessotto spiazza Van der Sar e Stam calcia in curva. Sembra che gli olandesi facciano apposta a non centrare la porta. A questo punto sul dischetto va il nostro fuoriclasse, è entrato dopo e ha fatto quello che ha potuto. Da lui ci si aspetta il rigore sereno che varrebbe una gran fetta di finale. Ma Francesco ha un’altra idea e realizza una delle opere d’arte più indelebili della storia azzurra per un cucchiaio che è già leggenda. Kluivert segna perché uno sì, ma due no. E Maldini sbaglia rendendo inspiegabile la scelta di metterlo a tirare. Ma l’errore è indolore perché in realtà la vittoria è nell’aria. L’eroe di quella giornata ha il numero 12 sulle spalle e deve solo porre fine all’assedio. Il fortino rimane intatto. Toldo para su Bosvelt. Siamo in finale.  

Francia – Italia: la finale

La finale si presenta come lo scontro che ha segnato il calcio europeo e mondiale a cavallo dei due secoli. Così lontane, ma così vicine. La letteratura sulla rivalità tra Italia e Francia è stracolma. Sono quei cugini, un po’ antipatici, a cui siamo legati da un sentimento di invidia fusa in ammirazione. Due anni prima siamo andati a tanto così da eliminarli a casa loro e adesso arriviamo forti di una prestazione che ci ha compattato come mai prima. 

Loro indossano la maglia bleu, a noi l’onere della bianca da trasferta. Formazioni. Francia. Tra i pali ovviamente Barthez: un portiere atipico, con delle doti atletiche fuori dal comune e un gran piede che tornerà decisamente utile. Difesa a quattro, da sinistra a destra: Lizarazu, Blanc, Desailly e Thuram, che conosciamo bene. A centrocampo un duo di equilibrio e fisicità, perfetto per compensare lo straripante talento presente dalla trequarti in su: sono Deschamp e Viera. E poi quel trio che è un’altra cosa: a sinistra c’è Henry che potrebbe giocare tutte le posizioni del fronte offensivo, un giocatore maestoso, capace di un tocco di palla che oggi farebbe impallidire le difese, figuratevi venticinque anni fa; al centro c’è Zizou che se non è il calciatore francese più forte di sempre, beh allora trovatemene un altro; e a destra Youri versatilità Djorkaeff. La punta è Dugarry, dedito ad armare i colpi di quegli straordinari cecchini che giocano qualche metro indietro.    

Noi. Di fatto giochiamo un 5-4-1, ma in realtà dal centrocampo in su siamo veramente pericolosi. In porta ovviamente Toldo che ci ha fisicamente portato lì. La linea difensiva è formata da Pessotto a destra, che corre per tre, Maldini a sinistra, che è talmente forte da poter fare anche tutta la fascia, e un trio di centrali di granitica solidità: sono Cannavaro, Nesta e Iuliano. il rombo di centrocampo è formato dal geometra del centrocampo azzurro, un calciatore di un’intelligenza tattica sopraffina, Demetrio Albertini; dalla tenacia di Di Biagio e dalla modernità del nostro tuttocampista, Stefano Fiore. Vertice alto è Totti, a cui stavolta non si può rinunciare. In attacco Zoff sorprende ancora e lancia un Delvecchio elettrico a discapito di un Inzaghi un po’ spento in semifinale. 

Si parte

Calcio d’inizio a Rotterdam. La partita si gioca a un ritmo altissimo, la palla ce l’hanno perlopiù i francesi, ma noi non rischiamo. Zoff ha preparato una marcatura a uomo vecchio stile su Zidane. Albertini si traveste da Claudio Gentile su Maradona nell’82 e annulla Zizou. Il primo tempo scorre così. Stiamo bassi, ma quando ripartiamo siamo pericolosi. E ad inizio ripresa colpiamo. Minuto 55. Totti è stretto nella morsa di Lizarazu e di Zidane, in un’inedita proiezione in ripiegamento, ma il cuore giallorosso inventa anche dove nessun altro immagina. Nessuno compreso Pessotto che si vede liberare da un meraviglioso colpo di tacco ed è quasi sorpreso di avere tutta questa libertà per crossare. Ma il suo traversone è preciso e Delvecchio impatta il vantaggio. Zoff manda in campo Del Piero nel tentativo di chiudere la gara, ma il 10 della Juve tradisce le speranze del CT e dell’Italia intera, calciando una volta addosso a Barthez e una sul fondo da quella stessa mattonella da cui ha segnato decine di gol in carriera e da cui, sei anni dopo, trafiggerà Lehmann per portarci a Berlino. 

E al 94’, con tutta Italia che sta invocando solo il fischio finale, Barthez scaglia in avanti una palla che sa tanto di disperazione. Trezeguet fa la sponda, Cannavaro sbaglia uno dei pochi anticipi della sua carriera e allunga per Wiltord. Il centravanti francese, subentrato ad un opaco Dugarry, chiude il diagonale che entra come una spada nel cuore pulsante azzurro. Fa malissimo. La finale la perdiamo lì. Non con il golden gol di Trezeguet. Perché ai supplementari è solo un epilogo lungo tredici minuti di una sconfitta che era già arrivata. 

Ma negli occhi degli appassionati resta questa fenomenale Francia. Capace di vincere consecutivamente mondiale ed europeo, come solo la Spagna di Del Bosque sarà capace di fare. Una squadra fantastica, capace di unire il talento spumeggiante ad una concretezza invidiabile. Come raramente gli è capitato nella loro storia. 

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