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Bologna

Grandi Pensieri di Mattia Grandi

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L’insistente tensione quotidiana ad altezza bocca dello stomaco lascia spazio ad un vuoto immenso. Dicono che nell’addome sono racchiuse le emozioni più antiche, quelle primordiali. La paura ha un ruolo predominante nella formazione dell’individuo essendo il primo stato d’animo con il quale si viene a contatto nel momento stesso della nascita. Ci sono due modi per esorcizzare un timore: combatterlo o assecondarlo. Per i migliori psicoterapeuti accettare i propri timori come parte integrante della propria personalità ed imparare a conviverci è l’unica soluzione plausibile lungo il percorso del risanamento emotivo. Ebbene, ho bluffato clamorosamente. Oggi mi cago addosso dalla paura di veder retrocedere questo Bologna. Ho seminato ottimismo aggrappandomi al raziocinio di uno sport che razionale non è. Ho esorcizzato le mie preoccupazioni confidando in una logica costellata da troppe incognite. E mi ritrovo così, seduto sul seggiolino della tribuna stampa del Dall’Ara guardando i riflettori che illuminano artificialmente l’ennesima impotente sera bolognese. Sportivamente parlando. Non è mica un dramma, figuriamoci c’è ben di peggio. Però fa male, piega in due. Come le tre pere in fondo al sacco raccolte nel match casalingo con la Fiorentina, la prima delle quattro finali in chiave salvezza stagionale. Non esattamente il modo migliore per cominciare l’opera, il più adatto per prenotare una stanza vista mare nel peggior residence di serie B. Poi il destino è bastardo. Entri allo stadio al fianco di Renzo Ulivieri, il timoniere di un Bologna che dalla C conquistò la zona Uefa. Il Bimbo della Gina non è invecchiato per niente celando le sue ansie dentro ad un capotto. Il mio Bologna, quello del primo abbonamento in curva Andrea Costa. Il treno dalla stazione di Imola, l’autobus 77 con fermata davanti all’antistadio. Allora capisci che il Bologna è un’emozione antica e comprendi il senso di quel fottuto mal di stomaco. Non salvo nulla della partita odierna, è tutto da buttare nel cesso. Tranne Curci che comunque getterei lo stesso per par condicio e per qualche datata canocchia ad oggi fatale. Una formazione smembrata da un uomo che nemmeno a metà della ripresa abbandona il vascello scortato dalla Digos. Un allenatore in preda ad un autentico delirio tecnico perfettamente conscio della mediocrità della truppa. Una squadra morbida come il burro, scarsa ed impaurita. Si può retrocedere nella vita ma occorre sempre farlo con gli attributi ben in vista. Non come oggi. Il Bologna si scioglie come un gelato all’equatore al cospetto di una Fiorentina che gioca d’accademia con l’acceleratore tarato al minimo. C’è uno spogliatoio smembrato dove le gerarchie sono affidate al lancio dei dadi. C’è l’uomo accantonato che non si capacita del fatto che lui, proprio lui, non trova spazio in questo piccolissimo Bologna. Un cane che si morde la coda arrovellandosi su stesso. Il primo match point offerto dalla parabola conclusiva del calendario della massima serie volatilizzato alle pendici di San Luca. Davanti ad una curva che assiste allo scempio inneggiando ad una fede antica ed eterna. E allora non hai più dubbi su quel fottuto male allo stomaco.

Mattia Grandi              

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