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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 9 Mar

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35 – Rigoletto, che si accendeva a primavera

“Rigoletto” aveva il gol nel sangue. Ma c’era un momento della stagione, uno in particolare, in cui diventava davvero inarrestabile. A primavera, quando l’erba si faceva più verde, lui si faceva ancor più pericoloso del solito. E faceva sfracelli.

“Rigoletto” era Carlo Reguzzoni, da Busto Arsizio. Lo aveva soprannominato così la “torcida” rossoblù, perché col passare degli anni aveva accentuato quella andatura leggermente curva che lo caratterizzava. Senza rancore, anche perché in rossoblù questo bustocco dal talento unico ci restò quattordici lunghe stagioni, diventando un beniamino dei tifosi. A suon di gol: quando se ne andò, ne aveva regalati al Bologna 145, in 378 partite. Ancora oggi, nella classifica dei marcatori rossoblù di tutti i tempi, alle spalle di Angiolino Schiavio c’è sempre lui. E ancor più entusiasmante fu il ruolino di marcia sui campi d’Europa, in partite che si giocavano nella sua stagione preferita, dalla primavera in avanti: 23 presenze, 18 reti, poco meno di una a gara.

In società si erano stampati bene il suo nome in testa nel 1929, quando Carletto, che indossava i colori della pro Patria, fece letteralmente impazzire un mastino esperto come Pierino Genovesi. “Pirèin”, a fine partita, andò dritto dal “mago” Felsner, che lui chiamava molto più prosaicamente “l’umàz”, e gli parlò schietto, com’era sua abitudine. “Quello è un fenomeno, ma perché non lo facciamo venire a Bologna da noi?”. Felsner non aveva bisogno di prendere nota: aveva già pensato la stessa cosa.

Il grande tecnico si mosse personalmente un anno dopo. Nell’estate del 1930, prese un treno per andare a Busto Arsizio a parlare col giocatore. Il destino gli fece risparmiare ore di viaggio. Alla stazione di Milano, mentre si accingeva a cambiare treno, si trovò davanti Carletto in persona. “Dove va di bello, Reguzzoni?”, gli domandò. “Mi hanno chiamato quelli del Milan. Sto proprio andando in sede, hanno detto che si può chiudere il contratto in giornata”. “Ma che ci va a fare al Milan? Io stavo venendo proprio a casa sua per convincerla a venire da noi. Mi dia retta, a Bologna starà benissimo. La squadra è forte, i ragazzi non vedono l’ora di averla nel gruppo, la città è splendida. Cosa vuole di più?”.

Felsner era Felsner, e Reguzzoni si convinse. Certo, a margine ci fu anche una superofferta (80mila lire) alla Pro Patria. Al Milan, quel giorno non lo videro. E quando lo sentirono, seppero che aveva deciso di diventare rossoblù.

Da quell’estate del 1930 al 1946, Carletto non levò più la maglia del Bologna. Vinse quattro scudetti, due Coppe dell’Europa Centrale, il famoso Torneo dell’Esposizione di Parigi. In quella finale, in cui il Bologna rifilò un 4-1 e una lezione di calcio ai “maestri” inglesi, segnò una leggendaria tripletta. E vinse anche quella Coppa Alta Italia del ’46, primo accenno di una pace ricostruita sulle macerie, prima di tornare in Pro Patria e restarci, da protagonista, fino a quarant’anni suonati.

Lasciò molto al Bologna. Immagini indimenticabili di quelle sgroppate sulla fascia, retaggio di un’adolescenza passata a costruire fughe solitarie in quello sport che sembrava avergli aperto una strada da protagonista, il ciclismo. E un po’ di salute: il ginocchio cigolò spesso, negli ultimi anni, ma lui stringeva i denti e andava avanti, perché l’idea di fermarsi non gli apparteneva. E poi, quando arrivava la primavera, arrivava il momento di “Rigoletto”. Che a suon di gol faceva volare anche il Bologna.

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