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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 23 Feb

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33 – Il tragico mistero del Conte Spazzola

Quando Arpad Weisz fu costretto ad andarsene da Bologna per l’infamia delle leggi razziali, andò in lacrime a salutare la squadra, quei suoi ragazzi che grazie a lui avevano conquistato l’Europa. Tra di loro, ce ne fu uno che pianse più di chiunque altro per lui. Può sembrare paradossale, perché era proprio quello che con più entusiasmo aveva sposato la causa del fascismo. Cioè di quel potere che in quel momento stava buttando l’allenatore ungherese fuori dall’Italia. Il che significa che a volte gli uomini sanno andare oltre le ideologie e i comandamenti della politica, e ascoltare le ragioni del cuore. Quell’uomo, quel giocatore che Weisz aveva fatto diventare titolare del Bologna, consegnandolo alla storia, si chiamava Dino Fiorini. Per uno strano gioco del destino, la sua vita si sarebbe fermata appena otto mesi dopo quella del suo grande tecnico.

Fiorini era una forza della natura. Un ragazzo pieno di talento, esuberante, guascone. Gran fisico e sguardo fisso dentro gli occhi dell’avversario. Senza paura. Veniva da San Giorgio di Piano, finì a giocare in difesa ma avrebbe potuto coprire qualsiasi ruolo, e talvolta nel Bologna lo fece con successo, schierandosi spesso nelle stagioni ’34 e ’35 da ala o mezzala, e trovando la via della rete. Nel suo primo Bologna fece coppia con Gasperi, e si mostrò subito terzino nella piena interpretazione del ruolo, com’era inteso all’epoca, capace di spazzare l’area con sicurezza. E forse è per questo che lo soprannominarono “Conte Spazzola”, ma secondo un’altra versione c’entra il taglio dei capelli di un ragazzo che esercitava anche un fascino indiscutibile sul gentil sesso, e che finì anche per fare il modello per la pubblicità della brillantina Bourjois.

Oggi lo definiremmo un “terzino fluidificante”: partecipe alla manovra, capace di rilanciare l’azione e i compagni più avanzati. Debuttò in prima squadra nel ’33, a diciotto anni, cambio di lusso con la lingua tagliente. Un giorno provocò i rimbrotti dei titolari Gasperi e Monzeglio, apostrofandoli così: “decidetevi, uno di voi due dovrà lasciarmi presto il posto”. E più avanti, verso la metà degli anni Trenta, quando una domenica di campionato si trovò a tu per tu con quella leggenda di Giuseppe Meazza, con la sfrontatezza dei vent’anni gli si presentò così: “Lei è il signor Meazza? Piacere, Fiorini. Vede questo pallone? Lo guardi bene adesso, perché dopo non lo vede più”.

Furono, appunto, l’avvento di Arpad Weisz e la partenza per Roma di Monzeglio, a spianargli la strada. Il tecnico ungherese ne ha lasciato una descrizione splendida: «Fiorini è la sintesi vivente del giovanotto ventenne. Naviga con scrupoli di coscienza tra Scilla e Cariddi, tra Dovere e Piacere. Ma per sette, otto mesi della stagione è sempre in gran forma… Copre i 100 metri in 11 secondi, salta in alto e in lungo come uno specialista e quando spicca il volo per prendere un pallone alto par di vedere una scultura, talmente meraviglioso e perfetto è il suo stile». Anche Vittorio Pozzo, Ct azzurro, lo stimava. Ma quella fama di amante delle belle donne e della vita notturna gli negarono sempre la strada della Nazionale. Gli restò più tempo per il Bologna, con il quale festeggiò i quattro scudetti vinti dal ’36 al ’41, una Coppa Europa e il Trofeo dell’Esposizione di Parigi. Nel miglior Bologna di sempre, lui era una colonna.

Spirito ribelle, mai capace di vivere sottotraccia, sposò fino all’ultimo la sua fede per il fascismo. Scelse di diventare milite scelto della Guardia Nazionale Repubblicana, e pagò questa scelta con la vita. Sulla sua morte, avvenuta a quanto si dice il 16 settembre del ’44 dalle parti di Monterenzio, per mano partigiana, aleggia il mistero: il suo corpo non fu mai più ritrovato. In un bel libro di Piero Stabellini (“Chi ha ucciso il terzino del Bologna?”, pubblicato) lla questione viene riaperta: accanto alla versione “classica” della fine del campione, appare quella alimentata anni dopo la scomparsa da Italia, la moglie di Dino. Che nel 1949 denunciò ai carabinieri di San Giorgio di Piano il fatto che il marito, prima di morire, stesse cercando di passare nelle fila dei partigiani. Azzardato, forse, per uno che girava per la città con la divisa repubblichina. Ma esistono testimonianze secondo cui Fiorini fu visto la sera precedente la sparizione sulla sua Guzzi, in compagnia di Angelo Ferrari, amico d’infanzia e caduto per la Resistenza. Strana accoppiata, a pensarci. Forse il campione un contatto, per chissà quale motivo, stava davvero cercandolo. Ma se la sua morte pare destinata a rimanere un mistero, il suo calcio resterà per sempre nella storia.

(33-continua)

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