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L’inaDieguato – Fino alla fine “Forza Bologna”! – 7 Feb

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E’ l’una e ventisette del mattino. Tutti dormono in casa. Andrea spinge: scrivi qualcosa. Aggiunge: “E’ il tuo momento”. Ah beh, bel momento, grazie. Il mio momento… quale è mai stato il mio momento in rossoblù? Chiudo gli occhi: ricordo una rimonta vincente al Milan del macellaio Benetti. Quello fu un mio momento. Ricordo un 2 a 1 alla Juve in avvio di stagione con eurogol di Cresci e Savoldi. Mio momento, please. Ricordo il trionfo nello spareggio Uefa con l’Inter di Ronaldo, sia all’andata che al ritorno. Ricordo le promozioni dalla C fino alla A, nessuna esclusa: miei momenti. 
Ma perchè, Andrea, perchè indicare proprio questo come un “mio momento”? Forse una spiegazione io ce l’ho. Ho visto un Bologna aristocratico, ho fatto in tempo a vedere un club nel quale si veniva con piacere, con onore, per lottare in alto. Ho visto poi la lenta e inesorabile discesa, un’erosione che via via ci ha tolto prestigio, peso, fino all’attuale, palpabile invisibilità. I bambini in cortile ne sono la prova. Li sentivi gridare: Haller, Pascutti… e poi Bulgarelli, Savoldi… e in tempi moderni Nervo, Baggio… Ma ora? Ora giustamente si sentono Pirlo o Buffon… Una tristezza per chi, come noi, è cresciuto nel culto del rossoblù. 
Il declino ha portato con sè altri segni di inesistenza. La città dove nacque Stadio, dove hanno scritto grandi giornalisti, oggi non conta più niente. Neppure per l’opinione pubblica. Il Bologna è un’espressione geografica del calcio. 
Un male? Un bene? Disorientato mi rifugio in un: non so. Certo l’emozione di quei colori esiste ancora. E sopravvive alle mode, e sopravviverà sempre. Alla moda del “sotto la maglia niente”. Di un pallone dove conta più l’avere che l’essere. Intendiamoci: non biasimo affatto chi – in tempi grami come questi – pensa a preservare il futuro a sè e ai suoi cari. Mai visto uno con il biglietto del primo premio della litteria di Capodanno preferire barattarlo con il decimo o l’undicesimo. 
Ah, ma è vero. Qui c’è il solito equivoco: una squadra di calcio è della città, è dei tifosi e chi sborsa i denari lo deve sapere. Chi veste la maglia deve tenere a lei come fosse una mamma. Piccoli equivoci senza importanza. La conferma di una piazza ormai demodè. Che si ostina a restare legata a una realtà lontana nel tempo, ormai antiquata. Benvenuti a Calciolandia 2014, signori. Ma pensavate davvero che…? 
Se poi volete aggrapparvi ai “valori etici e morali”… chi è senza peccato scagli la prima pietra. Se ne va un Papa? E gli altri? I figli della serva? Il Bologna è uno, come Luigi XIV era lo Stato? Ma come vi sentireste voi… a leggere un de profundis non intonato. Gridato! solo perchè la star fa le valigie?
Io aspetto i comunicati ufficiali, del cicalio sommesso e gridato da dietrologi all’avanguardia non mi fido più. Troppa volgarità in giro. Parole grosse che feriscono i puri di cuore. Che non sono certo quelli che usano quei termini. 
Una certezza mi anima, all’una e 44 ormai di un mattino di febbraio, in questa stagione piena di pioggia anche interiore. Fino alla fine griderò forza Bologna. La missione non è impossibile. Gli uomini vanno, la bandiera rimane: nel cuore.


P.s. Quella bandiera che tanti tifosi hanno deciso di andare a sventolare sabato prossimo a Casteldebole, di mattina, è un’iniziativa lodevolissima, gigantesca se rapportata alla cronaca e ancor più se, all’amarezza comune, all’ira comprensibile di questo momento, si preferirà far prevalere il calore degli slogan di sostegno, di amore, di appartenenza.

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