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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 12 Gen

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27 – “Faele”, Andreolo e lo squadrone uruguagio

Fedullo ha aperto al Bologna le frontiere dell’Uruguay. Appena un anno dopo, sempre grazie ai buoni consigli di Fiorentini (che qualche anno più tardi, rientrato in Italia, porterà il Livorno, da allenatore, al secondo posto in campionato a un solo punto dal grande Torino), arriva il primo dei suoi connazionali. Si chiama Rafael Sansone, per essere più italiano diventerà Raffaele, e a Bologna semplicemente “Faele”. Anche se in realtà la sua prima destinazione sarebbe Firenze, dove lo vuole a tutti i costi l’ “artillero” Pedro Petrone. Lì gli offrono 25mila lire per due anni, più un “mensile” di 2500 lire, cinque volte lo stipendio di un impiegato. Ma a Firenze da qualche mese è arrivato proprio Felsner, il mago degli scudetti rossoblù. Vuole con sè Pitto e Busini III, offre in cambio l’uruguagio ai rossoblù. L’affare si fa.

Tra il ragazzo (ventunenne, all’approdo italiano) e la città nascerà un amore intenso: Sansone diventerà un punto fermo della società, anche dopo il ritiro dall’attività agonistica, e da qui non se ne andrà più. Ma l’arrivo in stazione, come lui stesso lo racconta, è indimenticabile: “Io me la ricordo ancora quella notte d’agosto del ’31. Mi domandavo: ma in che cavolo di posto sono capitato? Era mezzanotte e c’era il buio, il deserto. Fedullo mi accompagnò alla pensione di via San Vitale. Buio anche in quella strada e poi tutti quei portici che mi fecero pensare di essere capitato nel paese delle streghe. La pensione era al secondo piano, anche le scale erano buie. Ma che città poteva mai essere? Io il nome di Bologna e del Bologna non li avevo mai sentiti. E presi sonno solo perché ero stanco da morire. Ma il mattino dopo cominciai a passeggiare per via San Vitale e vidi che la gente vestiva benissimo e alle Due Torri fui come folgorato…”.

Poi, in campo “Faele” si fece capire in fretta. Già alla prima partitella d’allenamento. “Sul campo riuscii prestissimo ad ambientarmi. L’allenatore era Lelovich il quale mi spiegò che in Italia si doveva giocare così e così. Io gli dissi che avrei gradito giocare come mi avevano insegnato e lui mi rispose: va bene, facci vedere. Mi marcava nella partitella del giovedì un certo Martelli, uno bravissimo. Ogni finta che gli facevo lui gridava: sòcmel, mo sòcmel. Dissi a Fedullo: ma quello lì cosa vuole? Fedullo mi spiegò che era un modo tutto bolognese per mostrarsi ammirati di qualcosa…”

Fedullo e Sansone sono una coppia perfetta, affiatatissima. E con loro alle spalle Schiavio sale subito sul trono dei cannonieri (stagione 1931-32). Nell’estate del ‘33 “Faele” torna al Penarol, un po’ per nostalgia e un po’ per prosaiche questioni di ingaggio: la società gli aveva offerto 32mila lire per quattro anni, prendere o lasciare. Lui risponde picche e se ne va, ma quando Dall’Ara si rifà sotto con una proposta di 50mila per due stagioni, torna. Per non andarsene più.
Nel 1932 arriva un altro uruguagio, nato a Cosenza ma emigrato oltreocano da bambino. È Francesco Occhiuzzi, centromediano di ventisette anni, ha appena vinto il titolo nazionale coi Wanderers di Montevideo. Anche lui ha alle spalle cinque partite in Nazionale, vivendo nell’ombra del mitico Fernandez. Il nuovo arrivato ha grinta e combattività, ma dopo due anni rientra in Uruguay per non tornare più. Al suo posto, nel ‘35, arriva insieme a Fedullo il centromediano Miguel Angel Andreolo (in Italia, naturalmente, Michele): la manovra del Bologna pronto a conquistare altri due scudetti in fila, dopo gli anni di dominio juventino, è affidata a lui. Non solo: dopo una Copa America vinta con l’Uruguay, anche lui chiuso da Fernandez, la “naturalizzazione” gli apre le porte della Nazionale azzurra. Vittorio Pozzo lo vuole per sostituire l’ormai anziano Luisito Monti, Andreolo collezionerà 26 presenze e il titolo mondiale del 1938. Miguel è nato a Dolores, quasi 300 chilometri da Montevideo, nel 1912. Genitori originari di Salerno, cinque fratelli. È decisivo per costruire un Bologna vincente. Smetterà nel ‘43, nonostante i corteggiamenti di Milan, Lazio e Sochaux, mettendo insieme quattro scudetti e il Torneo dell’Esposizione di Parigi. Poi Lazio, Napoli, Catania e Forlì, in C.

L’ultimo vero oriundo arriva nel 1938. Una potenza, in mezzo all’area. Si chiama Hector Puricelli Sena. Ma di lui torneremo a parlare.

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