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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 24 Nov

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20 – Il sangue di Anteo nel giorno del Littoriale

E’ il pomeriggio del 31 ottobre 1926. Una giornata vissuta tra squilli di trombe e marce trionfali. In mattinata, Benito Mussolini in persona ha inaugurato in pompa magna il Littoriale, nuovo stadio di Bologna, simbolo della potenza calcistica italiana, un gioiello nato per far invidia al mondo. Lo ha ricordato lo stesso duce degli italiani, in un discorso, immergendosi nel fiume della retorica: “Questo gigantesco Littoriale raccomanderà la nostra generazione per tutti i secoli futuri”. Molti, tra i presenti, pensano sbalorditi a come era stato presentato lo Sterlino appena quattordici anni prima. Il progresso fa passi da gigante, e quello che appena ieri era un modello di eleganza e novità è già materiale di modernariato.

A dirla tutta, Mussolini ha inaugurato un’opera incompiuta: la torre di Maratona ancora non giganteggia sulla scena, sarà completata solo tre anni più tardi. Ma questa inaugurazione ci voleva, doveva essere un segnale di forza e si è corso per completare l’opera nel tempo record di un anno. Ci sono volute duemila tonnellate di cemento, quattromila quintali di calce e quattromila mattoni. Si è lavorato su un’area di 125mila metri quadrati. Un’impresa.

E il regime voleva fortemente questa festa nel quarto anniversario della marcia su Roma. Bologna è una città sconfitta nei suoi trascorsi operai e bracciantili, lo squadrismo l’ha piegata. Nelle carceri ci sono quasi duemila persone ritenute in odore di antifascismo, e preventivamente messe in condizione di non nuocere prima del “giorno di gloria”. In più, è stata una stagione turbolenta per Mussolini, che ha subito in dodici mesi ben quattro attentati. Sulle strade del centro ci sono più di tremila miliziani a controllare la situazione.

E’ iniziata in mattinata, la giornata solenne, e continua per le strade del centro cittadino fino a tardo pomeriggio, con Mussolini ancora vestito con l’uniforme di generale della milizia. Non più a cavallo, come in mattinata al Littoriale, ma su un’auto scoperta che lo sta riportando in stazione e che attraversa Bologna tra due ali di folla. Nel gran fermento, all’altezza di piazza Nettuno si sente uno sparo. L’auto col Duce accelera, schizza via. Qualcuno ha tentato di sparargli, sfiorandolo. Ad individuare quel qualcuno nella folla è un ufficiale di fanteria, Carlo Alberto Pasolini. Ha un figlio di quattro anni, si chiama Pierpaolo e diventerà un grande poeta.

Pasolini blocca tra la folla un ragazzo di quindici anni, Anteo Zamboni. Il resto lo fanno le milizie squadriste: lo accoltellano, lo linciano senza pietà. Lo uccidono. Così, il giovane Anteo non avrà più modo di raccontare la sua verità. E se davvero l’attentato a Mussolini è farina del suo sacco. E’ figlio di un anarchico, è vero: ma il padre Mammolo da tempo non nasconde la sua simpatia per il fascismo, ed è amico personale del gerarca Leandro Arpinati, l’uomo più potente della città.

Col tempo, le perplessità aumenteranno: Anteo, che in famiglia soprannominavano “Patata”, non ha mai avuto le caratteristiche del rivoluzionario sovversivo. Anzi, tra i “balilla” si è sempre distinto per zelo. Nessuno tra i familiari (compreso il fratello Assunto, che diventerà un confidente dell’Ovra) lo crede capace di compiere gesti del genere. La memoria resterà controversa, lacunosa: eroe solitario o strumento di un gioco più grande ed occulto? L’ipotesi dell’atto individuale perderà credito nel tempo, così come quella di un complotto maturato nell’ambiente familiare. Mammolo era stato sì un ribelle antimilitarista negli anni della Grande Guerra, ma nel 1926 è un tipografo benvoluto dai fascisti, dei quali stampa con partecipazione i manifesti propagandistici. Negli anni prenderà corpo l’idea di uno scontro di potere interno al fascismo, tra gli estremisti di Farinacci e il nuovo corso normalizzatore mussoliniano. Un’indagine dei Carabinieri porterà sulla pista di un complotto dei duri e puri venuti dal Friuli e dalla Lombardia, ma sarà bloccata per decisioni dello stesso Duce. Che anni dopo la condanna dei genitori di Anteo (30 anni per Mammolo e per la zia del ragazzo, Virginia Tabarroni detta “Danda”), li grazierà dopo sei anni ricordando che “degli attentati da me subito, quello di Bologna non fu mai completamente chiarito. Con questo atto barbarico, che deprecai, l’Italia non dette certo prova di civiltà”. Fatto sta che questo episodio sarà per Mussolini l’occasione di chiudere i conti con le frange estreme del partito, di fatto messe a margine, e con l’antifascismo, con la promulgazione delle “Leggi per la Difesa dello Stato” che dichiareranno decaduti 120 deputati dell’opposizione appena un mese più tardi.

E intanto sul battesimo del Littoriale scorre il sangue di un ragazzo di quindici anni. Anteo Zamboni.

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