Bologna FC
7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 20 Ott
15 – Gente da scudetto: Teresina, Zinzèla e il lavandaio
In tempi di giocatori, campionissimi compresi, lontani anni luce dall’idea di professionismo come lo intendiamo oggi, il Bologna poteva sventolare “bandiere” leggendarie. Quasi tutte nate e cresciute sui campi e sui campetti della città. “Gisto”, “Geppe”, “Teresina”, “Pirèin”, “Zinzèla”. Basta rileggere i soprannomi, i “nickname” come si dice adesso, per capire quanto spirito petroniano ci fosse in quel Bologna ormai salito ai piani alti del calcio italiano.
Pozzi, Della Valle, Schiavio, Perin, Muzzioli. Dà i brividi ancora oggi, cantilenare i nomi di quell’attacco da favola. Quello delle leggendarie cinque finali col Genoa, del primo scudetto e degli anni a seguire. Di Perin, fornaio arrivato per “lire 2”, abbiamo raccontato. Così come dei silenzi e del rispetto che correvano tra due personaggi come Della Valle e Genovesi, così diversi eppure così complementari.
E poi là davanti c’era “Teresina”. Lo chiamavano così, Giuseppe Muzzioli (foto di apertura), proprio come la donna cannone più famosa dell’epoca. Perché era uno di quelli che con la bilancia devono sempre stare attenti. Ma in campo, semplicemente uno spettacolo. Ala sinistra fantastica, col dono naturale del contropiede e uno scatto da centometrista. Classe 1904, cominciò alla Virtus e fu arruolato da Felsner nel ‘23. Fu titolare fisso dall’anno dopo fino al 1930, quando iniziò a brillare la stella di Reguzzoni. Decisivo nelle sfide scudetto del ‘25 e del ‘29, contro Genoa e Torino. Così lo descrisse Vittorio Pozzo, fine giornalista oltre che Ct dei trionfi Mondiali. «La linea fisica, lo stile di corsa, le movenze tutte non sono in Muzzioli quelle classiche di un calciatore. Ma ha un gran vantaggio sulla massa degli attaccanti del giorno d’oggi: tenta sempre e non si dispera». La forza dellavolontà, insomma. Con lui, nessuno poteva abbassare la guardia. Se ne andò presto, purtroppo, non riuscendo a invecchiare: morì nel luglio del 1941, ad appena trentanove anni.
La cantilena. Pozzi, Della Valle, Schavio, Perin, Muzzioli. Il primo della lista era “Zinzèla”. Al secolo Alberto Pozzi, altro prodotto di casa. Cresciuto alla Fortitudo, ma scoperto e portato al Bologna da quel coltivatore di talenti che fu Badini. Classe 1902, debutto nel 1920 contro la Virtus, nel derby. Ala capace di usare entrambi i piedi, giocatore di carattere, aggressivo, con un dribbling magico e ubriacante nelle corde. In Nazionale giocò tre volte, perché a chiuderlo c’era l’interista Leopoldo Conti. Ma non ne fece un cruccio: lui continuava a tormentare gli avversari in maglia rossoblù, pungendo e volando come una zanzara (di qui, appunto, il nomignolo affibbiatogli dai tifosi). Alla fine, 181 presenze con 46 reti. E il nome perennemente legato alla conquista di quel primo scudetto.
Di quel Bologna che iniziava a far tremare il mondo Felice Gasperi, “Gisto” per amici, conoscenti e tifosi, fu l’emblema della combattività. Classe 1903, nei “boys” rossoblù iniziò da mezzala, insieme a Schiavio e Baccilieri. E proprio all’attacco esordì, contro l’Ujipest, insieme a Schavio nel ‘22. E quasi si offese quando Felsner lo lanciò in prima squadra da terzino. E invece il tecnico aveva visto giusto, inquadrando la tenacia, la grinta, il carattere del ragazzo. Che sarebbe diventato uno dei più forti difensori d’Europa, colonna di una difesa rossoblù che metteva paura: Gianni, Borgato (e poi Monzeglio), Baldi, Gasperi. Chiuso da Caligaris in azzurro, è vero, ma in una Nazionale che in ben tre occasioni, nel ‘32-33, schierò il reparto arretrato rossoblù al completo. “Gisto” chiuse la sua avventura nel 1937, quando si rese conto che la benzina stava finendo. Lasciò il Bologna dopo diciassette stagioni, con 401 presenze nel carniere. E con una bacheca stipata: quattro scudetti, due Coppe Europa, il Torneo dell’Esposizione di Parigi. Finì i suoi giorni a Città Sant’Angelo, a 79 anni.
Per dire di come quel calcio fosse lontano anni luce dagli eccessi di quello odierno, vale la pena raccontare di un campione come “Gisto” Gasperi, con una fila così di trofei da mostrare, che arrotondava per aiutare la famiglia, visto che ancora il pallone non assicurava il futuro. La storia è riportata dal grande artista Wolfango Peretti-Poggi, e vale la pena ascoltarla in silenzio.
“…Nella via Toscana (oggi via Murri), si poteva vedere un uomo di mezz’età gravato da un enorme fagotto bianco a mo’ di palla, all’altezza di via Siepelunga. Scendeva da questa strada, che era attorniata dalla campagna, e proveniva da un villaggio fatiscente, a circa trecento metri. Sulla strada polverosa collinare l’ingresso era segnato da un piccolo arco campestre. Tutto attorno prati costellati di pali collegati con fili. Era il regno dei lavandai. In una costruzione protetta dal tetto si trovava una vasca grande piena d’acqua: si chiamava “al batòc” e proveniva dal fiume Savena. Io (siamo nel ’33: vado indietro) facevo la seconda elementare alle “ Laura Bassi Veratti” e avevo come compagno un bambino, Gasperi, che era il figlio di un famoso giocatore di calcio. Un terzino eccezionale di quello squadrone “ che tremare il mondo faceva”: un Bologna che conquistava scudetti. Il compagno mi invitava a giocare a pallone nei campi liberi dai panni, perché lui abitava in quel villaggio. Poi cominciò a fare qualche assenza da scuola e, dopo qualche mese morì. Tutta la scuola seguì la bara bianca colma di fiori bianchi, dal Sant’Orsola a Porta San Vitale. Dietro al funerale c’erano anche tutti i giocatori del Bologna. Il papà si chiamava Felice.
Felice Gasperi era il grande campione che veniva a prendere le nostre biancherie e a riportarle pulite, diversi anni dopo. D’estate e d’inverno. Nei momenti liberi e anche più tardi quando smise di giocare: aiutava così la famiglia, in quell’umile lavoro. Gran virtù dei giocatori antichi!”.
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