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Repubblica:”Bernacci: così ho buttato una carriera” – 05 apr

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Riportiamo qui l’articolo su Repubblica a firma Luca Baccolini a Marco Bernacci protagonista di quel Bologna – Torino di qualche anno fa con un gol segnato su rigore.

Questo l’incipit dell’articolo di Baccolini: Alla vista del taccuino, i compagni del Bellaria lo squadrano incuriositi.”Perché ti intervistano, Marco?”. Bernacci, come un fratello più grande che conosce le buone maniere, chiede silenzio. Quando calciava il primo pallone da professionista i suoi colleghi finivano le elementari. E non tutti, tra loro, sanno che Bologna-Torino è la partita che più ne condensa amari ricordi e scelte difficili. Come quella, fatta il 26 agosto 2010, con la maglia granata ma in prestito dal Bologna, di lasciare il calcio.

La nuova vita di Marco Bernacci, 30 anni il 15 dicembre, pagato 4,5 milioni dal Bologna di Cazzola nell’estate 2008, è ora in un campo di C2 circondato da villette balneari. Lì il Bellaria lotta tra nobili decadute: domenica allo stadio Nanni arriva il Venezia di Godeas, poi Mantova e Pro Patria. Però la salvezza è a un passo.

Bernacci, cosa ci fa qui? Lei doveva calcare ben altri palcoscenici.
“Me lo dicono tutti. Il titolare di Capitan Bagati, dove mangio sempre, sul porto canale di Bellaria, dice che sono il suo più grande rimpianto
calcistico”.

Lo ripete anche a se stesso?

“Di scelte sbagliate ne ho fatte tante, ma ora sono sereno. Qui ci dobbiamo salvare, siamo una famiglia e un bel gruppo. Mister Osio (da calciatore soprannominato ‘il sindaco’, fraterno amico di Pioli,
ndr) ci ha dato una grande spinta. E soprattutto mi sento a casa. In 20 minuti, con le stradine interne che conosco, arrivo a Cesena”.

Già, la sua Cesena. O la sua ossessione.
“Ho sempre sofferto di saudade di casa. Mia mamma, i miei amici, i legami più forti son lì. Dove ora vivo con Simona e il piccolo Giacomo, di due anni”.

Per stare vicino a casa, lei ha buttato al vento un anno di contratto a mezzo milione. Una profanazione al dio denaro.
“Ho buttato molti più soldi, considerando che poi, una volta rientrato, mi son decurtato l’ingaggio”.

Lo rifarebbe?
“Forse no. Però allora avevo bisogno di un anno sabbatico”.

Lo sa che detto da un calciatore sembra eretico.
“Se un tabaccaio si stancasse di vendere sigarette…”.

Ma lei non è un tabaccaio, con rispetto per la categoria. Lei incarna il sogno di molti ragazzi.
“Avevo perso la voglia di giocare. E poi non ho rubato nulla: ho smesso in tempo perché il Torino scegliesse un’altra punta e ho lasciato sul tavolo tutti i soldi”.

Si parlò di depressione, anche di una malattia.
“Tutte storie. Lasciamo stare i veri depressi, per i quali ci vuole rispetto”.

Perché a Bologna non sfondò?
“Cambi di allenatore, di società e, certo, anche miei atteggiamenti sbagliati verso i compagni. Mi assumo per primo la colpa”.

Arrigoni fremeva per averla.
“Mi convinse a cena con Cazzola e Salvatori. In ballo avevo l’Atalanta. Chissà, là forse sarebbe andata diversamente. Ma Bologna era anche molto vicina a casa”.

Qui arrivò Di Vaio. Emergere era complicato.

“Anche Osvaldo non ci riuscì. Ma non posso dare la colpa a lui, che fece un anno mostruoso e trascinò il gruppo. Io feci un buon precampionato con Marazzina. Ero, secondo i giornali, il capocannoniere delle amichevoli estive dopo Trezeguet”.

E Di Vaio le regalò un rigore, proprio contro il Torino, che gli fece perdere la classifica marcatori.
“Sfatiamo il mito: il rigore me l’ero procurato io, come quello prima. E fu Mudingayi a dirgli di farlo battere a me”.

Fu il suo primo gol in serie A.

“L’unico. Non è tanto, ma non tutti possono dire di averne fatto uno. E poi anche quel rigore contribuì a superare il Torino a fine anno”.

Con Mihajlovic sembrava ingranare.
“Allenamenti duri, ma efficaci. Ho avuto sempre poche occasioni.
Con l’Udinese mi mangiai un gol facile. Ma ero appena entrato nei minuti finali, senza scaldarmi. A Bologna non c’è molta pazienza”.

Poi arrivò Papadopulo.
“Pensai: è finita. Ci avevo litigato in Ascoli-Lecce l’anno prima”.

Riuscì anche a conoscere Colomba, dopo un anno in prestito all’Ascoli.
“Voleva puntare su di me, ma io ormai non avevo più la testa per stare a Bologna. Prima di passare al Torino avevo già capito di volermi fermare”.

S’era già immaginato un’altra vita?
“Pensavo di aprire un bagno in riviera. Dove mi allenavo sempre a foot volley per non prendere chili. Per uno magro come me c’è sempre il rischio”.

A guardarla, non si direbbe.
“Ero ingrassato. Devo stare attento per quando smetterò”.

Già, quando?
“Ora voglio salvarmi e pensare alla mia famiglia. In futuro non mi dispiacerebbe sapere che mi cerca qualcuno in categorie superiori”.

Rimpiange più i soldi o la carriera?
“Sarà banale, ma i soldi non sono tutto se non stai bene. Ricco non sono, ma a chi mi dice ‘che cazzata che hai fatto’ rispondo che preferisco guadagnare meno, ma essere sereno alla sera”.

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