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MONDAY NIGHT: Storia e curiosità del calcio in Israele – 05 set

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Il calcio arriva in Israele molto prima che questo Stato venga costituito nel maggio del 1948, quando in seguito ai tragici eventi della Shoah venne creato dalle Nazioni Unite uno stato dove molti ebrei, che fino a quel momento avevano vissuto in gran parte sparsi per il mondo, avrebbero finalmente potuto vivere. A portare i primi palloni sono, come sempre, gli inglesi. Lo fanno durante l’occupazione della Palestina, avvenuta durante la prima guerra mondiale, dominando i primissimi tornei con le varie formazioni calcistiche dell’esercito, che hanno facilmente la meglio sugli ebrei e gli arabi che vivono nel territorio.

Al termine del conflitto l’Europa si sta definitivamente aprendo a quel gioco inventato dagli inglesi oltre mezzo secolo prima, e quasi ogni movimento calcistico ha tra le sue stelle alcuni giocatori ebrei: in Polonia ad esempio si distinguono campioni come Stefan Fryc e Józef Klotz, quest’ultimo autore del goal che regala alla selezione polacca la prima vittoria della storia, ma il vero idolo è il mago del dribbling Leon Sperling, così forte da essere continuamente bersaglio delle dure entrate di avversari frustrati e così sportivo da non controbattere mai; in Germania Julius Hirsch era considerato uno dei più grandi centravanti dell’epoca, e aveva visto morire il fratello Leopold in guerra, dove entrambi erano stati arruolati da quella che era a tutti gli effetti la loro patria, mentre un altro grande bomber ebreo e tedesco era Gottfried Fuchs, nato a Karlsruhe e capace di segnare ben 10 reti in una sola partita alle Olimpiadi del 1912, quando la Germania aveva sconfitto l’Impero Russo 16-0; in Olanda uno dei calciatori più amati era l’ala destra dell’Ajax Eddy Hamel, americano e primo ebreo a giocare in un club che era sorto nella zona dell’antico ghetto ebraico di Amsterdam.

Di origine ebraica erano anche due figure fondamentali nella storia del calcio italiano, Raffaele Jaffe e Árpád Weisz. Il primo, professore di chimica e scienze all’Istituto Tecnico Leardi di Casale Monferrato, aveva imparato ad amare il calcio grazie ai propri studenti ed era stato l’artefice della fondazione del mitico Casale, il primo club nostrano capace di battere una squadra inglese e che vinse persino uno storico Scudetto nel 1914. Un personaggio fondamentale, dunque, ma superato dal grande allenatore Weisz, che vinse campionati con Ambrosiana-Inter (dove scoprì un certo Giuseppe Meazza) e a Bologna, che sotto la sua guida sarebbe diventato “lo squadrone che tremare il mondo fa” grazie alla clamorosa vittoria nel Torneo dell’Esposizione Universale del 1937.

Pochi anni dopo sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale. Il fascismo, il nazismo, avrebbero condannato a morte milioni di ebrei, e tra questi anche tutti quelli citati: Klotz, Fryc e Sperling sarebbero morti nei ghetti, Hirsch addirittura tradito dalla sua amata Germania, ucciso nei lager come Hamel, Weisz e Jaffe, mentre avrebbe trovato rifugio in America il grande Fuchs. Negli anni precedenti, in Austria, una grande squadra si era distinta per forza e coraggio. Il suo nome era Hakoah Vienna, ed era l’espressione della comunità ebraica presente in città. Nel 1925 questa squadra, in cui militavano veri e propri assi del football, vinse il campionato austriaco grazie a un gol nel finale siglato da Alexander Fabian, ebreo-ungherese che pochi minuti prima aveva dovuto lasciare il ruolo che solitamente ricopriva, quello di portiere, dopo essersi fratturato un braccio: non esistendo le sostituzioni si era fasciato l’arto per poi spostarsi in attacco, dove trovò una rete che è logicamente leggenda del calcio austriaco. Dopo aver visitato gli Stati Uniti per un tour, stupiti dall’assenza di antisemitismo presente oltreoceano, molti calciatori dell’Hakoah Vienna decisero di restare a viverci, rifiutando il ritorno in patria e creando anzi un proprio club, molto amato e seguito, l’Hakoah New York.Quelli che non fecero questa scelta si divisero, e mentre chi raggiunse la Palestina – governata dagli inglesi – fondò l’Hakoah Tel Aviv, chi tornò in Austria continuò per poco l’attività del club, che fu naturalmente sciolto in seguito all’annessione forzata alla Germania Nazista.

Nel 1928, nell’attuale Israele, viene giocato il primo derby di Tel Aviv della storia. Non vi prende parte l’Hakoah, che anche qui avrà vita breve, bensì quelle che tutt’ora sono tra le più importanti squadre del Paese, l’Hapoel e il Maccabi, espressione di due movimenti ben distinti e spesso in conflitto non soltanto sui campi da gioco, dove esistono rappresentative in diverse città. Quando la Shoah è conclusa, e Israele è finalmente uno stato, a Maccabi e Hapoel si è aggiunto anche il Beitar, espressione del movimento giovanile del partito revisionista sionista. Ed è proprio il Beitar Tel Aviv ad essere protagonista di un episodio curioso durante la finale della coppa nazionale del 1947, giocata contro il forte Maccabi Tel Aviv già vincitore del campionato. In svantaggio 2-3, i giocatori del Beitar si vedono annullare il goal del pari per fuorigioco, e quando il pubblico impazzito invade il campo e circonda l’arbitro, nella confusione generale il difensore Yom-Tov Mansherov agguanta la coppa: nonostante la vittoria per squalifica, il Maccabi non vedrà il trofeo fino a quando non sarà ritrovato, ben quaranticinque anni, dopo nella città di Petah Tikva, “la città degli otto”.

Non è l’ultimo episodio di un movimento calcistico che per lungo tempo resterà a livello amatoriale, complici anche i risultati non esaltanti della Nazionale. Questa è nata nel giugno del 1928, quando il nobile inglese Sir Alfred Mond, appassionato di football e in visita nella Palestina governata dai propri connazionali, ha espresso il desiderio di istituire una rappresentativa nazionale che possa effettuare un tour nella terra dove il football è nato. Viene organizzato un torneo, vengono selezionati i migliori calciatori e diventa subito chiaro a Mond che la sua sarà un’impresa tutt’altro che facile: il nobile dovrà assumere un allenatore inglese, che riuscirà con fatica a risolvere i numerosi problemi di indisciplina sorti in una rosa che vede uomini con convinzioni tanto diverse quanto radicate costretti ad essere compagni di squadra. Dopo aver saltato i Mondiali di Uruguay del 1930 per volere dell’Inghilterra, che rifiuta di riconoscere il torneo come tale, la Nazionale Palestina/Eretz Israele fa il suo esordio internazionale soltanto nel 1934, quando a Il Cairo cade contro l’Egitto per 7-1. Lentamente le prestazioni cominciano a migliorare: trent’anni dopo, nel 1964, Israele ospita e vince la Coppa d’Asia, superando India, Corea del Sud e Hong Kong. Il grande protagonista di questa vittoria è il fenomenale attaccante Mordechai Spiegler, che sarà anche tra i protagonisti del torneo olimpico del 1968 a Città del Messico, quando Israele cade contro la Bulgaria, che vincerà l’argento, ai quarti di finale e soltanto dopo il sorteggio, avendo concluso la sfida in parità. Nel 1970 Israele, guidata ancora da Spiegler, ottiene la sua prima e ad oggi unica qualificazione ai Mondiali di calcio. Guidati dall’ebreo-tedesco Scheffer, gli israeliani escono al primo turno dopo aver perso contro l’Uruguay e pareggiato contro Svezia e Italia.

Proprio nella sfida contro Israele avviene un episodio controverso che riguarda la storia del nostro calcio: il popolare telecronista Nicolò Carosio, fino a quel giorno unica voce capace di raccontare sin dai Mondiali del 1934 le imprese della Nazionale italiana, viene allontanato perché si dice che in un momento di rabbia abbia rivolto al guardalinee etiope, “colpevole” dell’annullamento di due gol italiani per fuorigioco inesistenti, offese razziste mai provate. Mordechai Spiegler è stato indicato dalla federcalcio israeliana, su precisa richiesta della FIFA, “giocatore israeliano del secolo”, ed è stato il primo calciatore nato in questa terra a giocare all’estero: dopo due esperienze dimenticabili in Francia, prima al Paris FC e poi al Paris Saint-Germain, è stato al fianco di Pelé nei New York Cosmos ai tempi del campionato americano dove confluivano tutte le maggiori stelle del calcio mondiale. Con 25 reti è il miglior marcatore di sempre della storia della Nazionale.

Il più presente di sempre, ancora in attività, è il fantasista di origini marocchine e spagnole Yossi Benayoun, 36 anni e 97 presenze, esperienze significative in Olanda (Ajax), Spagna (Racing Santander) e soprattutto Inghilterra, dove ha vestito le maglie di West Ham United, Liverpool, Chelsea, Arsenal e Queens Park Rangers. Con i tempi moderni sono stati numerosi i calciatori israeliani capaci di ben figurare anche nei maggiori campionati europei: la nostra Serie A ne ha ospitati due, il mediano del Brescia Tal Banin (1997-2000) e la punta Eran Zahavi (2011-2013): il secondo è ancora adesso uno dei punti di forza della Nazionale ed è stato protagonista lo scorso giugno del trasferimento dal Maccabi Tel Aviv (dove in tre stagioni e mezzo ha segnato 106 reti in 154 gare) ai cinesi Guangzhou Fuli Zuqiu Julebu, che per averlo ha sborsato ben 8 milioni di dollari. Il primo israeliano a giocare in Italia sarebbe potuto essere il centravanti Ronny Rosenthal, che nel 1989 fu acquistato e poi respinto dall’Udinese: si disse che erano stati riscontrati problemi alle visite mediche, ma la verità era che la società friulana finì per temere le minacce antisemite di parte della sua stessa tifoseria. Rosenthal si sarebbe poi distinto nel Liverpool, conquistando un campionato e una FA Cup.

Per concludere due storie molto interessanti. La prima riguarda il portiere Nir Davidovich, bandiera del Maccabi Haifa e per oltre dodici anni titolare inamovibile della Nazionale. Figlio di un sopravvissuto all’Olocausto, con il proprio club ha vinto sette volte il campionato nazionale, ben figurando anche in Champions League, dove quando ormai era prossimo al ritiro fu protagonista di un episodio che coinvolse Gigi Buffon, capitano della Juventus, che non gli strinse la mano prima della gara tra i rispettivi club. Attualmente allenatore dei portieri della Nazionale, è considerato in patria una vera leggenda e il successore del grande Avi Ran, anch’esso fenomenale guardiano dei pali del Maccabi Haifa e che suscitò anche l’interesse del Liverpool di Dalglish e Rush: Ran morì tragicamente ad appena 24 anni, travolto da un’imbarcazione durante una gara motonautica sul Mar di Galilea, a cui stava assistendo con i compagni per festeggiare la vittoria del campionato. Toto Tamuz è invece un centravanti nigeriano classe 1988, figlio dell’ala Clement Temile, venuto a chiudere la carriera in Israele e da questi affidato alla famiglia di un compagno di squadra quando il club in cui giocava, il Beitar Netanya, fallì. Cresciuto in Israele senza averne la cittadinanza, dovette a lungo giocare con permessi provvisori fino a quando nel 2007 riuscì ad ottenere l’agognato foglio di carta, ottenuto insieme all’argentino Roberto Colautti, per giocare con la Nazionale. Tutta questa incertezza ne ha minato le fortune calcistiche, e da grande promessa del calcio israeliano Tamuz si è perso, chiudendo quasi immediatamente la sua esperienza in Nazionale (10 presenze, 2 gol) e finendo ai margini del calcio che conta: recentemente è passato dai rumeni del Petrolul Ploiești ai modesti cinesi dell’Hunan Billows.

(Desidero ringraziare per l’aiuto l’amico giornalista Damiano Benzoni)

foto: themidestbeast.com 

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