Calcio
MONDAY NIGHT: Storia a puntate del calcio in Italia #02 – Campionato Nazionale di Football 1898
Continua la nostra storia a puntate del calcio italiano.
1^ puntata: Genoa VS Rappresentanza Torino, 6 gennaio 1898
8 maggio 1898: a Milano, l’esercito guidato dal Generale Bava Beccaris sta sparando sulla folla in protesta, esasperata dalla fame e dalla disoccupazione. È la famosa “protesta dello stomaco“, avrà conseguenze drammatiche: ricevuto l’ordine di sparare sulla folla inferocita, ai militari non rimane altro da fare, e alla fine della giornata, per le strade della città, si conteranno almeno un centinaio di morti. Per vendicare questo nefasto evento, due anni dopo, Gaetano Bresci arriverà a uccidere Re Umberto I° di Savoia. È del tutto naturale che passi quasi completamente sotto silenzio un altro evento storico, che avviene in contemporanea al velodromo che Torino ha intitolato allo stesso, impopolare, sovrano: il primo campionato di calcio italiano, che si svolge nell’arco di una giornata.
Ancora, più che uno sport di nicchia, considerato quasi un semplice passatempo, il football ha fatto passi da gigante nel corso del 1898. Il 6 gennaio si è infatti giocata la prima partita ufficialmente registrata, una sfida tra il Genoa e una Rappresentanza di Torino, e nella rivincita disputata a marzo è stata sancita la nascita della F.I.F., Federazione Italiana del Football. Per celebrare l’evento è stato deciso che l’8 maggio si svolgerà il primo campionato nazionale di calcio. Si giocherà a Torino, vittoriosa in entrambe le sfide e dove si stanno per celebrare i cinquant’anni dello Statuto Albertino: qui risiedono inoltre tre delle quattro squadre partecipanti, e in un’epoca di puro pionierismo questo fattore è determinante, in quanto riduce notevolmente i costi di spostamento per i partecipanti.
Nello stesso capoluogo piemontese era sorto, l’autunno precedente, lo Sport-Club Juventus, creazione di un gruppo di liceali che si erano dotati di una vistosa maglia rosa e che però erano in possesso più di sogni di grandezza che dei soldi necessari per inseguirli: ben presto sfrattati dalla loro prima sede, i membri di quella che sarebbe diventata la squadra più titolata d’Italia avevano troppi problemi a cui pensare per mettere a calendario anche la partecipazione ad un campionato di calcio. Fu per questo motivo che il primo campionato vide i futuri bianconeri assenti, e insieme a loro rifiutarono l’invito anche altre tre squadre che pure avevano contribuito alla fondazione della F.I.F.: Unione Pro Sport Alessandria, SEF Mediolanum e la Società Ginnastica Ligure Cristoforo Colombo, temendo l’ira della Federazione Ginnastica nazionale, che già organizzava tornei di “calcio ginnico“, preferirono farsi da parte.
Torino schierava, come abbiamo detto, ben tre squadre: la Reale Società Ginnastica di Torino, che indossava una maglia blu solcata da una fascia rossa lungo il petto, i giallo-neri del FC Torinese, guidati dal Marchese Alfonso di Ventimiglia, e i bianconeri dell’Internazionale Torino, società nata in seguito alla fusione tra le due più antiche squadre di calcio italiane e presieduta da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi. Il giovane rampollo reale, appassionatosi immediatamente al nuovo gioco portato dall’Inghilterra dall’amico Edoardo Bosio, aveva deciso di patrocinare l’evento mettendo in palio una coppa. Essa sarebbe andata ai vincitori temporaneamente, fino al successivo campionato, e definitivamente a chi l’avesse alzata per tre volte. L’Internazionale poteva essere considerata davvero una grande squadra, potendo vantare alcuni dei migliori calciatori presenti in Italia alla fine del XIX° secolo: l’agile e capace Bosio era uno dei pochi italiani presenti, chiamato a collaborare in attacco con i connazionali Lionello de Minerbi e Franz Södvitch e con gli inglesi Jim Savage, che in seguito avrebbe scritto la storia della Juventus, e Samuel Richard Davies, frizzante ala che invece, insieme al compagno di squadra e pugnace mediano Herbert Kilpin, avrebbe fondato il Milan.
Tutte le squadre partecipanti giocavano con l’unico schema allora conosciuto, che i pionieri inglesi avevano importato dalla propria terra insieme ai primi palloni di cuoio: il 2-3-5, o “Piramide di Cambridge”, che prevedeva due difensori che vennero chiamati terzini (in quanto componenti la terza linea della squadra), tre mediani chiamati a difendere e impostare il gioco e ben cinque attaccanti. Se tali schieramenti possono apparire al giorno d’oggi straordinariamente offensivi, si deve però considerare che erano ancora in vigore sia la regola del fuorigioco “a tre” che uno spiccato individualismo: pochi erano i passaggi in avanti, pochissimi quelli che avvenivano in prossimità della porta, dove chi era in possesso tentava spesso la prodezza personale piuttosto che servire il compagno meglio marcato. A decidere la composizione delle squadre, in assenza di comitati e tanto più di veri e propri manager, erano i capitani, che spesso assegnavano ai giocatori più forti i ruoli offensivi, arretrando chi ritenevano mediocre tecnicamente o privo di coraggio.
Usanze diffuse a cui sfuggiva in parte la grande favorita per la vittoria finale, la squadra del Genoa. I pochi e più attenti osservatori avevano notato che i liguri erano caduti nelle precedenti amichevoli più per propri demeriti che per altro, e del resto il Grifone aveva fatto passi da gigante notevoli, potendo sfruttare il porto e il continuo contatto con le varie navi mercantili battenti bandiera britannica. Il capitano e leader della squadra, il medico poliglotta James Spensley, era colui che aveva aperto ai non-inglesi le porte del Genoa, ed erano ben sei i “continentali” presenti in prima squadra: l’altissimo (190 centimetri) difensore De Galleani, futuro banchiere, copriva le spalle a una linea di centrocampo che vedeva la presenza del figlio di uno spedizioniere, Fausto Ghigliotti, dell’anglo-italiano Ettore Wallys Ghiglione e soprattutto del centromediano italo-svizzero Enrico Pasteur, autentico asso nelle numerose discipline sportive praticate in Italia e allora ben più popolari. In attacco infine due giovani figli di industriali, Giovanni Bocciardo – che era stato compagno di studi del futuro Alessandro I° Re di Jugoslavia – e Silvio Piero Bertollo, per metà francese. Restava comunque una forte rappresentanza britannica in quella che fino a pochi anni prima era stata una squadra composta puramente da sudditi di Sua Maesta la Regina Vittoria. Spensley agiva come difensore, avendo lasciato all’amico Baird il ruolo di portiere, e in attacco, sulle ali, correvano rapidi ed eleganti, almeno per i miseri standard tecnici dell’epoca, gli inglesi Leaver e Le Pelley. Al centro dell’attacco, infine, stazionava il ricco figlio di un banchiere svizzero, il possente e coraggioso Henri Dapples.
Alle nove del mattino, davanti a un paio di centinaia di curiosi, il primo campionato italiano di calcio ebbe inizio: con una rete di Bosio, l’Internazionale Torino guadagnò la finale a spese del FC Torinese, mentre due ore dopo, alle undici, si conobbe il nome della squadra che avrebbe conteso ai pupilli del Duca degli Abruzzi la vittoria finale. Andò tutto secondo pronostici, e fu il Genoa ad emergere vittorioso dalla sfida contro i valenti giocatori della Reale Società Ginnastica, superata meno nettamente di quanto ci si sarebbe potuti aspettare per due goal a uno.
Lontano dall’essere italianizzato, il football veniva chiamato ancora con il suo nome inglese, e così le marcature erano note come goal o gol e non come “reti”. Vi era anche un altro motivo per quest’ultimo fatto: le porte di calcio italiane erano sprovviste di rete, fresca invenzione anche nell’Inghilterra patria del football grazie a un ingegnere civile e tifoso dell’Everton, John Alexander Brodie. Anche il terreno di gioco non presentava nessun segno di gesso, ma era anzi delimitato soltanto da quattro bandierine attorno a cui scorreva una corda, limite per il pubblico presente. Assistere alle gare costò ai pochi presenti 25 centesimi di lira, mentre una lira esatta fu quanto sborsò chi prese posto a sedere nella piccola tribuna presente. Si trattò, questo è chiaro, di un giorno tutt’altro che solenne, che ricordò semmai più una scampagnata tra amici che un evento storico: la prova di ciò è il fatto che, mentre Reale Società Ginnastica e FC Torinese disputavano la finale per il terzo posto, nessuno si prese la briga di annotare risultato, marcatori e persino la squadra vincitrice, il tutto mentre i giocatori attesi dalla finale consumavano il proprio pasto appena fuori dal terreno di gioco, chiacchierando amabilmente tra loro.
Alle tre del pomeriggio andò infine in scena l’atto finale di una giornata che si sarebbe scoperta storica soltanto diversi anni dopo: diretti dall’arbitro Adolf Jourdan, imprenditore nel campo dell’abbigliamento, i giocatori di Genoa e Internazionale Torino si sfidarono per l’assegnazione del titolo di “Campioni d’Italia”. Fu una gara equilibrata, di cui purtroppo non abbiamo alcuna testimonianza: in pochi credevano che il football avrebbe sfondato anche da noi, e del resto quelli che i primi footballers italiani celebravano come straordinari campioni erano uomini che in Inghilterra, dove oltre 60,000 persone avevano assistito ad aprile alla finale di FA Cup, non erano mai neanche andati vicini al professionismo. Per fortuna conosciamo almeno i marcatori della sfida: per l’Internazionale Torino segnò Bosio, mentre per il Genoa andarono a referto Spensley, che poi si spostò in porta per sostituire l’infortunato Baird, e l’ala Leaver, match-winner per il Grifone. Con il risultato di 2-1 i liguri si laureavano campioni d’Italia, primi nella storia, potendo tornare in città con il trofeo consegnato dal Duca degli Abruzzi in un’atmosfera cordiale, allegra e a tratti persino goliardica. Nessuno poteva immaginare che quel piccolo torneo, giocato l’8 maggio del 1898 mentre a Milano si moriva per la fame e l’arroganza di un sovrano, sarebbe stato il primo passo verso qualcosa di enorme. Si era ovviamente ancora lontani dal calcio come religione nazionale, ma il primo passo era stato ufficialmente compiuto.
Nella foto, tratta da Wikipedia, il Genoa campione d’Italia 1898
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