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Christmas Tale – La partita di Natale

La partita di Natale – Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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LA PARTITA DI NATALE (una favola dello sport)

C’era una volta una città italiana che era nota come la città delle tre torri. Questa città era Bologna.

Guarda che ti sbagli, dice mia figlia Matilde: tutti sanno che Bologna era ed è la città delle due torri, la Garisenda e l’Asinelli.

Se è per questo, cara Mati, ti dovrei dire che negli anni belli in cui l’Italia viveva in pieno Rinascimento, Bologna era una città dove la torre era una delle costruzioni architettoniche più diffusa. Ancora oggi, in realtà, attorno alle due famosissime torri che simboleggiano la città, ci sono lunghe torri minori. Però io alludevo a una storia moderna. A una “torre” costruita dopo la prima guerra mondiale, che arrivò ad essere, calcisticamente parlando, la più imponente ed alta delle costruzioni del genere. Torre di nome e di fatto del movimento calcistico: la Turris Romea.

Dunque negli anni ’80, la maturità della squadra nata ai Salesiani e trasferitasi poi al Dopolavoro Ferroviario, fu festeggiata con iun en plein. La vittoria cioè in tutte le manifestazioni giovanili locali, dagli Esordienti agli Juniores. Campioni al punto che un papà mise un cartello al cancello: Chiuso per gioia. Non si poteva volere di più.

“Babbo, ma tu mi avevi promesso una favola di Natale”.

Hai ragione Matilde. Ebbene, non sai che il Natale alla Turris veniva festeggiato con una partita di calcio. Infatti i campionati giovanili della Federcalcio osservavano un riposo invernale considerato da tutti troppo lungo. Troppo lungo per chi aveva fatto di una società una famiglia. E il Natale è da sempre la festa della famiglia. Qualcosa si doveva fare. Ma tra il dire e il fare…

C’era di mezzo il Generale. Il Generale era l’inverno. Una volta, non come adesso, l’inverno era rigido. A Bologna venivano dei nevoni…”del ’56” direbbe qualcuno. Sì, è così, anche se non c’ero nel 56. Non so dire…

La passione per il pallone, inteso come educazione sportiva, la voglia di stare insieme, spingeva i “nostri eroi” a epici tentativi di vincere le intemperie e avere un campo adeguato per una partita. Mica c’erano i teloni, ai Salesiani. E allora i ragazzi delle diverse squadre si alenavano e così battevano la neve al punto da renderla uniforme, morbida, quasi una superficie appoggiata sul campo. Ideale per una partita, insomma. La partita di Natale era la sola occasione per i tesserati giocatori, ragazzini dai 13 ai diciott’anni, di affrontare alla pari i loro “graduati”, i tutor, gli allenatori, i dirigenti della Turris Romea. Questo aveva creato nel tempo un’attesa ben più alta di una Supercoppa italiana giocata al caldo di Doha. Potrei definirla “il derby che non c’è”, perchè sentita come una stracittadina, come Virtus-Fortitudo, come Warriors-Doves, come Bologna-Reno Rugby… Dunque destinata a essere oggetto di scherno, di battuta, di dileggio nei mesi a venire. Almeno fino al Natale successivo. Una tradizione poi diventata analoga anche in altre distinguibili e notabili società calcistiche della nostra provincia.

La vigilia del match era vissuta con la  febbrile attesa della designazione dell’arbitro. Chiamato a svolgere un delicato compito; quello di essere sbilanciato, ma non in modo sfacciato, a favore della squadra dei Veterani, in modo da pareggiare o quasi l’evidente scompenso atletico della partita.

La partita, più che un derby, era un palio: senza esclusioni di colpi, intendiamoci. Molto agonismo fine a sè stesso, perchè l’affetto, il legame affettivo e di stima era talmente elevato da non poter sfociare in qualcosa di peggio. Era dunque un pretesto, il pallone, per dare vita a un conflitto generazionale atavico. I padri contro i figli, i giovani contro i matusa, la maturità contro l’esuberanza. Gol, pali, contestazioni, proteste, più o meno lecite, tutto restava nell’ambito del calcio. E finiva esattamente al fischio finale, per quanto riguarda la foga.

Poi, tutti insieme appassionatamente, ad affrontare un terzo tempo, con mamme, con mogli, con fidanzate, con figli, con nipoti. Ridendo di sè e degli altri con bonarietà. Avendo armato l’animo di mille futuri “ti ricordi quella volta che ti ho fatto un tunnel?”; “e quando ti ho parato un rigore?” E ancora: “Mister, ha visto che gol all’incrocio che ho fatto?” “All’incrocio… non esageriamo… sarà stato a mezza altezza…”

Nessuno voleva mancare, c’era chi spostava le ferie pur di esserci: nella foto ricordo che ho suscitato con queste parole, è bello ricordare chi non c’è più: da Cattoli a Kiki, Gino Lisi, probabilmente il migliore di tutti. Un modo diverso di dirsi Buon Natale, cara Matilde: all’ombra di una terza torre, la Turris, che non dimenticheremo mai.

 

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