Calcio
La squadra che si allena in attesa di osservatori – 6 gen
Sul sito on-line di Repubblica ieri mattina (05/01/2017) potevate trovare un breve articolo a firma di Caterina Giusberti, che faceva da commento ad un fotoreportage di Gianluca Perticoni (Eikon Studio) da cui è anche tratta l’immagine di apertura dell’articolo. Lo slide show ed il relativo commento mettono in luce un aspetto non conosciuto del Centro di Accoglienza di via Mattei che sottolinea ancora di più, se mai ce ne fosse bisogno, che il calcio ha il potere di unire e dare speranza e divertimento, e che nasce come sport per tutti.
Non spetta a noi ragionare su eventuali aspetti politici della situazione, noi parliamo di sport e ci concentriamo quindi sull’aspetto sportivo di questa vicenda.
La notizia è quindi che un gruppo di ragazzi ospitati nel Centro ha deciso di mettere insieme una squadra di calcio, che non milita in nessun campionato, ma che ogni giorno si allena un paio d’ore nel parco che c’è nelle vicinanze del Centro, sempre in via Mattei. E’ stata fatta una selezione all’interno della struttura di ragazzi, che già giocavano a calcio in Africa, in formazioni amatoriali o semiprofessionistiche, dopo di che è stato nominato un allenatore (giovanissimo anch’egli) ed ora ogni giorno la squadra si allena, come se dovesse partecipare ad un campionato. Il sogno comune è quello di poter essere visti da qualcuno che possa comprendere il loro eventuale potenziale, e nel frattempo di divertirsi e fare gruppo, come solo una squadra di calcio può fare, unendo ragazzi coetanei di differenti nazionalità.
L’allenatore ha 18 anni, è ivoriano ed è stato chiaro coi suoi compagni: “Ho detto ai ragazzi di essere puntuali e rispettare gli orari, perché dobbiamo sfruttare il tempo per migliorarci, prima di essere smistati negli altri centri di accoglienza. Vogliamo farci conoscere dai grandi club italiani”.
Impossibile? Forse si, ma intanto loro si allenano, facendo gruppo e divertendosi in attesa di sapere che ne sarà del loro futuro. Il calcio ha sempre avuto questo scopo, è stato così in Europa nei due dopoguerra, ed è così per questi ragazzi, alcuni dei quali fuggiti da organizzazioni come Boko Haram, come un ragazzo di 17 arrivato in Italia dopo aver subito minacce personali e l’uccisione del bestiame con cui si sostentava, e che ora si allena con l’ambizione di arrivare a giocare proprio Bologna.
Il loro unico appello è al tempo stesso la loro speranza, cioè che qualcuno li vada a vedere allenarsi. Nel frattempo, si ritagliano un po’ di normalità e di socialità, giocando a calcio, uno sport che praticato lontano dai contratti faraonici, nasce per unire e per divertire.
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