Calcio
IL GRILLO PENSANTE – Mezzo secolo Divino
Ci sono personaggi che quando vengono al mondo hanno già instillato nelle vene il germe di una dote quasi sovrannaturale, un potere per mezzo del quale saranno in grado di condizionare una grande platea di persone nel corso della propria esistenza.
Il 18 Febbraio 1967 a Caldogno, un piccolo paese della provincia di Vicenza, nasce un bambino che fin dalle giovanili del Vicenza sembra possedere doti calcistiche fuori dall’ordinario – “Ero un malato di calcio. Già a 6 anni giocavo con una pallina da tennis o una palla di carta bagnata e indurita sul termosifone”. Gli anni trascorrono e le gesta di questo ragazzino che appare un predestinato attirano l’attenzione di squadre dal blasone altisonante, tra le quali la Fiorentina che riesce a bruciare la concorrenza e a metterlo sotto contratto. Ma il 5 Maggio 1985 è un fulmine a ciel sereno: esplode il ginocchio destro, ed in un colpo solo saltano crociato anteriore, capsula, menisco e collaterale. Una tragedia. Tutto quello che sarebbe potuto essere svanisce come una nuvola di fumo. Ma anche le notti più buie ritrovano prima o poi l’alba, e dopo un’operazione tremenda per l’epoca (220 punti di sutura ed un interminabile anno di sofferenza) si ritorna faticosamente in pista, con la compagnia di strascichi fisici che ne condizioneranno l’intera carriera – “Da quando mi conosce il grande pubblico, ho sempre giocato con una gamba e mezzo. Ho una gamba più piccola dell’altra, un ginocchio a orologeria, i menischi non so neanche più cosa siano”.
Quando però un giocatore viene benedetto con un talento così straripante anche mezza gamba in meno non può essere sufficiente a limitare le meraviglie che può sciorinare; Firenze si innamora di lui, gli dona un affetto sconfinato, una nuova religione (il Buddismo) e un odio straziante al momento dell’addio, quando nella realtà dei fatti fu impacchettato e spedito alla Juventus quasi senza essere interpellato. In quell’infuocata estate infiamma le Notti Magiche dei Mondiali di Italia ’90 amplificando a livello planetario l’abbacinante incanto delle sue prodezze (da brividi il gol alla Cecoslovacchia), poi a Torino fa incetta di trofei e sale sul tetto del mondo nel 1993 conquistando l’ambito Pallone d’Oro.
Nel 1994 ha luogo il Mondiale in USA, crocevia divenuto poi campale nella sua carriera e vita del calciatore – “Quel Mondiale l’avrei vinto o perso all’ultimo secondo. Me l’aveva detto il mio Maestro spirituale, Daisaku Ikeda. E lui era uno che non poteva sbagliare”. E così fu. Il funambolo, rimasto nell’ombra nel girone eliminatorio, riemerge all’improvviso quando il fallimento appariva ormai scritto e trascina la nazionale azzurra nella torrida estate statunitense verso al finale di Pasadena, con l’intero Stivale inebriato dalla bellezza quasi drammatica delle sue giocate e animato da crescenti speranze di trionfo. Tutto si riduce all’ultimo ostacolo, quello più arduo, quello per il quale tutta la bellezza seminata assume un significato più concreto: la finale del 17 Luglio 1994 nel Rose Bowl di Pasadena dove il trascinatore spara alle stelle uno dei pochissimi calci di rigore falliti nella sua vita – “Quel rigore l’ho tirato ancora, tante volte. In sogno, nel corridoio di casa, perfino in televisione. Ho sempre segnato…..Ma è illusione. Il peso rimane, la profezia non ha avuto lieto fine. Ma oggi fa meno male, questo sì”. In quell’anno arriva secondo nella classifica del Pallone d’Oro, sfiorando di fatto la possibilità di diventare l’unico calciatore italiano di tutti tempi a vincere due volte l’ambito trofeo. In parecchi concordano che sia stato proprio il rigore della finale maledetta a scippargli tale traguardo.
Dopo la Juventus vive un’avventura biennale in maglia Milan e poi, nell’estate del 1997, è l’ora della rinascita: col Diavolo non trova la continuità di spazio che vorrebbe e quindi, sebbene viene votato dai tifosi come miglior giocatore della squadra della stagione 1996/97 ed in oltre 10.000 manifestano per chiedergli di non partire, decide di smobilitare altrove per avere un ruolo da protagonista e conquistarsi la convocazione ai Mondiali di Francia. In territorio di calciomercato le indiscrezioni sulla nuova destinazione del Divin Codino (prelibatezza affibbiatagli dall’Avvocato) si susseguono a ritmo frenetico: sembrerebbe certo l’accordo con l’ambizioso Parma, poi subentrano le sirene inglesi del Derby County pronto a fargli attraversare la Manica su un ponte d’oro ed infine si vocifera dell’insistenza di Udinese e Bologna pronti a consegnargli la maglia numero 10 e la leadership indiscussa. Corre il giorno 18 Luglio 1997 quando ROBERTO BAGGIO sceglie di trasferirsi a Bologna – “Bologna è stata un’oasi, l’isola fortunata, la tregua tra un mare in tempesta e un altro. Bologna mi ha abbracciato come solo Firenze aveva fatto. Se dovessi descriverla, direi che Bologna è un abbraccio caldo, forte, che ti rimane dentro”. Apoteosi. Sotto le Due Torri la tifoseria impazzisce di gioia, viene stracciato qualsiasi precedente record di abbonamenti (oltre 27.200 che saranno sufficienti a pagare l’intero ingaggio annuale di Baggio) – “La Bologna che ho nel cuore è quella che per me si abbonò allo stadio e che per una volta preferì il calcio al basket. Quella che non mi ha mai abbandonato. E’ stato un anno indimenticabile”. Bologna ammira giocate incredibili, assapora emozioni sportive intensissime e si lega in modo viscerale ad un giocatore che calamita tanto affetto non solo per il suo talento sconfinato ma soprattutto perché dotato di un’umiltà sbalorditiva; molti si chiedono come possa aver subìto tanti tormenti da parte di allenatori probabilmente vittime del loro stesso protagonismo, che si sentivano minacciati dall’ingombrante spessore di un giocatore così sfacciatamente fuori dall’ordinario. Tali contrasti, forse, hanno rallentato alcune tappe della sua carriera, ma probabilmente senza queste difficoltà non sarebbe stato uno dei calciatori più amati della storia del calcio.
L’idillio bolognese dura un solo anno, nel quale Roberto Baggio gioca 26 partite segnando 22 reti (record stagionale assoluto nella sua carriera), dopodichè anche l’Inter ed il Brescia potranno ammirarlo prima che il 16 Maggio 2004 giochi la sua ultima partita a San Siro – “Avevo deciso di non piangere quel giorno, ma mentre uscivo per la sostituzione Paolo Maldini mi abbracciò e mi disse: Grazie di tutto Roberto, da oggi il calcio italiano non è più lo stesso. Davanti a quelle parole mi scappò una lacrima”.
Per noi bolognesi Roberto Baggio rimane soprattutto quello dell’anno in cui scelse Bologna, un anno nel quale tutto divenne diverso anche per lui che fece cadere il suo prezioso codino ai piedi di una sedia da parrucchiere – “A Bologna ho compiuto 30 anni, non potevo scegliere un luogo migliore per festeggiare quel traguardo. Perché a Bologna, quasi tutti i giorni, c’era motivo per fare festa. Fosse stato per il cuore, a quest’ora sarei ancora lì, a spegnere le candeline, a inventarmene altre. Un abbraccio da prolungare”.
Tanti auguri Roby. Mezzo secolo Divino.
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