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IL GRILLO PENSANTE – La lezione di Luis Enrique

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Il triplice fischio dell’arbitro Marciniak profuma di condanna per la corazzata catalana; il fine stratega Emery confeziona una gara tatticamente esemplare che imbriglia a tutto campo il Barça e permette di sprigionare l’intero talentuoso arsenale dei parigini. Risultato finale PSG-Barcellona 4-0, con gli spettatori del Parco dei Principi trionfanti per aver già in tasca la qualificazione ai Quarti di Finale di Champions League e traboccanti d’orgoglio per aver virtualmente schiantato fuori dalla competizione la squadra favorita, primo autentico spauracchio per chiunque covi ambizioni di vittoria.

A fine partita l’allenatore blaugrana Luis Enrique si assume coraggiosamente in toto la responsabilità della sconfitta; la fine del ciclo del tecnico era stato preannunciato tempo prima con la notizia del suo divorzio dal club fissato per fine stagione, ma entrambe le parti confidavano presumibilmente in un congedo più celebrativo che dover registrare una rovinosa eliminazione dalla Champions soltanto agli Ottavi di Finale.

Lo sbandamento di Luis Enrique sembra trasformarsi in qualche preoccupante patologia da studiare quando, pochi giorni prima del match di ritorno, dichiara: “se il PSG ha fatto 4 gol, noi possiamo farne 6”; per tutti, la frase dell’allenatore catalano, riveste i connotati di un effimero grido di battaglia all’interno di un film già però ampiamente definito nel primo atto, nell’unico tentativo di non far apparire troppo banale quel match di ritorno tramutatosi in una formalità. Nonostante la squadra stellare, nonostante il tridente da oltre 100 gol stagionali, nonostante le oltre 100.000 anime del Camp Nou. Perché nessuna squadra, nella storia della Champions League, ha mai compiuto l’impresa di soverchiare un passivo di 4-0 nella gara di ritorno. Ma il genio indimenticato di Steve Jobs soleva gridare al mondo che “solo chi è abbastanza folle da credere di cambiare il mondo, lo cambia davvero”.

Così, nella serata dedicata a tutte le donne, il Barcellona cerca di riscrivere la storia, e l’intro sembra promettente visto che all’intervallo il risultato è di 2-0 per i padroni di casa. Addirittura la ripresa si apre con un gol su calcio di rigore di Messi, e quella che sembrava una scalata dell’Everest a mani nude sembra invece tramutarsi in una parete sempre ripida ed insidiosa ma dove gli appigli per l’impresa epica ci sono. Il toro spagnolo carica forte, ma ogni toro ha il suo Matador: tutte le speranze faticosamente costruite in un’ora abbondante di gioco vengono frantumate da Cavani che, come in una corrida, lascia sfogare la bestia e poi la colpisce nel modo più doloroso e letale. 3-1 e giochi finiti. Al Barça sarebbe necessario segnare altre 3 reti in una mezz’oretta, e le propabilità di riuscita sfiorano l’impossibile.

Il tempo trascorre con i blaugrana che tentano di ribaltare il verdetto ma senza che la reti si gonfi, e di conseguenza con il PSG che si avvicina a varcare la soglia della qualificazione; quando mancano una manciata di minuti e pare ormai chiaro al mondo che quanto resta da giocare sia soltanto una sorta di passerella, succede l’imponderabile: forse la cultura calcistica a non mollare mai, forse la convinzione di potercela fare in ogni momento, forse un po’ di fortuna che sostiene gli audaci, forse un misterioso e mistico aiuto divino. O, molto più probabilmente, un po’ di tutto questo. Quasi tutte le altre squadre non avrebbero avuto la caparbietà di cercare un’impresa simile quando la parola fine sembrava già scritta; il Napoli, ad esempio, al primo gol del Real si è sciolto come neve al sole, indipendentemente dalla forza dell’avversario è spesso l’atteggiamento e la convinzione che spostano gli equilibri. Al minuto 95, dopo punizioni magistrali, rigori contestati ed un autentico assedio all’area parigina, il prodotto della cantera (sarà un caso?) Sergi Roberto chiude il set 6-1 e scolpisce nella roccia un nuovo capitolo della storia del calcio.

 

L’immagine vera che rimarrà negli occhi di tutti è l’esultanza autentica, incontrollabile come non si era mai vista prima di Luis Enrique, bissata dal suo viso stremato ma incapace di trattenere la gioia in sala stampa. Sono i signori come lui quelli che, senza rinunciare all’umiltà, credono di poter cambiare un destino già scritto, quelli in grado di far sognare le persone e di rendere possibile quello che sembrerebbe impossibile…è evidente che con una squadra come il Barcellona le chance di compiere un’impresa aumentano, ma il nodo importante è che tali acuti sfolgoranti accadano…perché le persone, nello sport come nella vita, hanno bisogno di credere che, se si desidera realmente qualcosa, per raggiungerlo vale sempre la pena lottare.

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