Calcio
Il Metodo Vincente #12: Gli anni della morte
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La guerra arrivò, dunque, a pervadere completamente l’universo calcistico, fino a comprometterne lo svolgimento. La stagione 44/45 non prenderà il via, anche a causa dell’impegno militare assunto da numerosi giocatori. Pozzo, in prima linea nel Primo conflitto mondiale, resterà a guardare, anche a causa dell’età oramai avanzata, nel secondo, raccontando tramite la sua penna i combattimenti che vedevano coinvolti, tra tutti, i suoi ragazzi.
Non solo Monzeglio, infatti, abbandonerà il calcio per darsi alle armi. Dino Fiorini, dopo esserne stato successore con la maglia del Bologna, seguirà il suo esempio, combattendo sul fronte appenninico, a pochi passi dalla sua San Giorgio di Piano. Quando la città felsinea, nel Luglio del 1943, viene colpita dai primi raid aerei alleati, il terzino già noto al pubblico per il suo fascino da tombeur de femmes, che lo ha portato ad essere testimonial di una famosa marca di brillantina per capelli, ha già scelto quale sarà il suo destino. La spiccata indole fascista, infatti, lo porterà ad essere uno dei circa 200 fondatori del Partito Fascista Repubblicano, a sostegno della neonata, in quel di Salò, Repubblica Sociale Italiana, e con slancio aderirà alla Guardia Nazionale Repubblicana, tanto da sfilare per le strade di Bologna con una vistosa uniforme militare, alienandosi parecchie simpatie anche tra i sostenitori rossoblu che lo avevano, in precedenza, acclamato.
Dunque, le forze armate di stampo fascista, in alleanza con i tedeschi, cercarono di organizzarsi nel tentativo di contrastare l’avanzata dell’esercito statunitense lungo lo stivale italiano. Mussolini cercò di avvalersi di uomini fidati, cercando un nuovo contatto con quel Leandro Arpinati che aveva avuto al suo fianco, tanto da concedergli posizioni di rilievo tra le istituzioni sportive e non, fino all’allontanamento dal Partito Nazionale Fascista e il confino a Lipari del quale già vi abbiamo parlato, seguito dagli arresti domiciliari nella sua casa ad Argelato ed il proscioglimento, arrivato nel 1940. Ancora ferito per quanto accaduto in passato, e timoroso del fatto che un suo nuovo coinvolgimento avesse potuto incontrare resistenze dagli stessi consiglieri del Duce che ne avevano proposto l’esilio, Arpinati rifiutò qualsiasi carica, preferendo rimanere nella tranquillità, se così possiamo definire una situazione comunque belligerante, della sua azienda agricola di Malacappa.
Sull’altro fronte, è proprio il caso di dirlo, Bruno Neri, dopo aver lasciato il Torino, rientrò nella sua Faenza, occupando la panchina della squadra manfreda. Contemporaneamente l’ex centrocampista stringe i contatti con il cugino milanese Virgilio, che lo spinge a pieno titolo nell’ambiente antifascista, tanto da convincerlo ad aggregarsi, sotto il soprannome Berni, al battaglione partigiano Ravenna. Vuoi per le doti da leader già mostrate sul campo, vuoi per la tenacia, vuoi per il carisma, ne diventa praticamente subito vicecomandante.
Infine, Arpad Weisz. Dopo l’addio all’Italia, il tecnico ungherese cercherà riparo a Parigi, ma il soggiorno francese durerà breve tempo: l’Olanda offre maggiori sicurezze contro le follie del Nazismo, e la cittadina di Dordrecht viene eletta a nuova dimora familiare. Alla guida della squadra locale, Arpad otterrà gli ultimi grandi successi della sua vita: il quinto posto della stagione 41/42, miglior piazzamento nella storia del club, sarà seguito dall’invasione dei Paesi Bassi ad opera dell’esercito tedesco e dalla conseguente deportazione della famiglia Weisz ad Auschwitz (che ricordiamo attualmente è all’interno del territorio della Polonia mentre allora era in territorio tedesco). Dopo quindici mesi di stenti, la morte per soffocamento, provocata dalle celeberrime camere a gas del campo di concentramento nazista il 31 Gennaio del 1944, sarà quasi una liberazione per un corpo ormai debilitato più dalla ferocia umana che dalla fame.
In Italia, nel frattempo, l’esercito alleato valica, non senza problemi, la linea Gustav, fortificazione approntata dai tedeschi, a scopi difensivi, nel punto più stretto dell’Italia centrale, all’altezza del centro abitato di Cassino. Il fronte di guerra si sposta lungo l’ultima catena montuosa che attraversa l’Italia in maniera trasversale, quella che separa l’attuale Emilia-Romagna da Toscana e Marche. E, a poco meno di 40 chilometri di distanza l’uno dall’altro, Bruno Neri e Dino Fiorini difendono i propri ideali: il primo tra i monti della Valsenio, tra Faenza e Forlì, il secondo tra quelli che costeggiano la sorgente del torrente Sillaro, nel bolognese. E nessuno dei due sfuggirà ad un amaro epilogo: Neri cadrà sotto il fuoco nemico il 10 Luglio del 1944, presso l’Eremo di Gamogna, nel territorio di Marradi, nel tentativo di recuperare un aviolancio sul vicino Monte Lavane, Fiorini, invece, dovrebbe essere morto, stando alle fonti ufficiali, il 16 Settembre dello stesso anno a Monterenzio. Il condizionale è d’obbligo, in quanto il suo nome figura nell’elenco dei defunti, seppure il suo cadavere sia sparito nel nulla, probabilmente recuperato dai partigiani. Gli stessi che, memori del suo passato fascista, il 22 Aprile del 1945, il giorno successivo alla Liberazione di Bologna, giustizieranno, nella sua casa di Argelato, Leandro Arpinati.
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