Calcio
GRANDI ALLENATORI #02: Mitchell, Ramsay e Sudell, i maestri dell’800
Prosegue il nostro racconto sugli allenatori che hanno cambiato la storia del calcio. Nella prima puntata abbiamo parlato di Jack Hunter, la prima vera e propria figura a ricoprire questo ruolo (insieme a quello di calciatore) e ideatore dei ritiri collegiali, gli allenamenti mirati e l’utilizzo ad alti livelli del 2-3-5 o “Piramide di Cambridge”.
Prima di passare al XX secolo, e cioè al periodo in cui sono avvenute le prime vere svolte tattiche, è doveroso restare ancora un momento nell’Inghilterra Vittoriana. Questo perché anche se a livello strategico niente cambiò, e per quasi mezzo secolo l’intero mondo calcistico proseguì sulla linea tattica ideata a Cambridge e poi portata al successo dal Blackburn Olympic, dalla vittoria di questi “working class heroes” all’avvento del Metodo altri tre importanti manager incisero il proprio nome nella storia del football grazie a un mix di coraggio, carisma e capacità di prevedere il futuro.
Thomas Brown Mitchell e il Blackburn Rovers
Il primo di questi fu lo scozzese Thomas Brown Mitchell, mitico allenatore dei Blackburn Rovers. La sua leggenda cominciò ad essere scritta proprio mentre la città festeggiava, nella primavera del 1883, il ritorno vittorioso dell’Olympic con la FA Cup, accolto dalla banda cittadina e dalle lodi di ogni tifoso presente. Mitchell, nei giorni gloriosi di Hunter e compagni, schiumava rabbia: era stato lui infatti il primo a comprendere l’importanza dei soldi nel football, un’idea che avevo preso a prestito dai vicini rivali del Darwen, primissima compagine ad operare in quello che oggi chiamiamo “Calciomercato”.
La rappresentativa di questa piccola quanto operosa cittadina si era fatta notare durante la FA Cup del 1878/1879: primo club al di fuori dell’area londinese capace di raggiungere i quarti di finale del torneo, il Darwen FC era caduto soltanto dopo tre replay contro i nobili “old boys” di Eton, gli Old Etonians, grazie ad un gioco completamente nuovo basato sullo stile scozzese e impreziosito dalla presenza in squadra di due ex-giocatori del Partick, il centravanti James Love e il difensore Fergus Suter: a entrambi erano stati trovati dei lavori in città, ma quando Suter mollò dopo poche settimane il suo mestiere di tagliapietre, non manifestando però problemi a mantenersi, fu chiaro che si era trattato di un lavoro fittizio, e che aveva attraversato il Vallo di Adriano solo ed esclusivamente per giocare a calcio.
Suter divenne così il primo calciatore professionista di sempre, in un’epoca in cui il professionismo era vietato, e fu anche successivamente il primo protagonista di sempre del calciomercato quando Brown Mitchell lo convinse a lasciare il Darwen per unirsi ai suoi Blackburn Rovers. L’anno precedente la storica vittoria dell’Olympic di Jack Hunter erano stati proprio i Rovers a sfiorare l’impresa di vincere la FA Cup: primo club non londinese a raggiungere la finale, i Rovers erano caduti proprio sul più bello, frenati dall’emozione contro i più smaliziati Old Etonians.
Ma la storia era destinata a cambiare: nella FA Cup del 1883/1884 gli Olympic campioni in carica e i Rovers, decisi a non cedere ancora terreno ai rivali cittadini, giunsero fino alle semifinali. Ma mentre i primi caddero rovinosamente contro gli scozzesi del Queen’s Park, gli uomini guidati da Mitchell staccarono il biglietto per la loro seconda finale in tre anni superando di misura il Notts County. Quindi, in finale, aggredirono dal primo minuto i fortissimi scozzesi, mettendoli alle corde e trionfando più nettamente di quanto non dica il 2-1 finale.
Il tocco di Brown Mitchell si vedeva nella composizione della squadra, che schierava ben sette scozzesi e che aveva ingaggiato due dei migliori calciatori inglesi di sempre, il portiere Herby Arthur e il mediano tuttofare Jimmy Forrest. Giunti a Londra con grande anticipo, nelle ore precedenti la finale i Rovers avevano fatto lunghe passeggiate tonificanti, e negli anni successivi sfruttarono la loro forza economica per fare razzia dei migliori giocatori del circondario, indebolendo l’Olympic fino al punto di farlo scomparire.
Brown Mitchell prese dunque il lavoro fatto da Jack Hunter e lo perfezionò fino all’estremo: sotto la sua guida i Rovers vinsero ben 5 FA Cup (tre consecutive) e divennero una delle squadre di punta della Football League. Personaggio estremamente pittoresco, finito ai lavori forzati per frode prima di dedicarsi al calcio e successivamente multato numerose volte per aver violato le regole del professionismo, questo mago scozzese fu anche il primo manager di sempre nella storia dell’Arsenal.
William Sudell, il professionismo e il Preston North End degli “Invincibili”
A proposito di professionismo: questa era una pratica assolutamente vietata ai tempi in cui i club del Lancashire (Darwen, Blackburn Olympic e Blackburn Rovers) cominciarono a metterla in pratica. Si usava ipocritamente dire che i calciatori avevano trovato lavoro in città, un lavoro ovviamente di copertura, oppure era pratica comune gonfiare i rimborsi spesa relativi ai viaggi. Proprio nell’anno in cui i Rovers di Brown Mitchell conquistavano la loro prima FA Cup, nel gennaio del 1884, un altro team del Lancashire faceva parlare di se: si trattava del Preston North End, che dopo aver pareggiato 1-1 con l’Upton Park era stato squalificato dalla Football Association per aver schierato alcuni calciatori professionisti.
Non era la prima volta che qualcuno veniva squalificato dopo aver provato ad aggirare le regole, ma quello che fu diverso stavolta fu che il manager del Preston North End, William Sudell, invece di trovare scuse puerili andò dritto al punto: il professionismo era realtà, chiunque al di fuori di Londra vi faceva ricorso, e tentare di fermarlo sarebbe stato come “tentare di fermare il Niagara con uno sgabello a tre gambe”. Tale eresia non fu inizialmente accettata dalla Football Association, che temeva che l’ingresso dei soldi nel mondo del football avrebbe portato a corruzione, interessi e veri e propri mercenari – vi ricorda niente?
Quando però i club del nord del Paese fecero quadrato intorno a Sudell, approfittando del suo coraggioso “coming out”, fu chiaro che la storia stava per cambiare: se i ricchi rampolli londinesi intendevano proibire l’utilizzo del denaro nel football non dovevano che dirlo, ma i club del nord – con tutte le decine di migliaia di tifosi che si portavano dietro – avrebbero lasciato una federazione che ledeva i loro interessi per crearne una propria professionistica.
La minaccia della scissione rientrò – anche se portò alla nascita della Football League, il primo vero campionato di calcio – quando da Londra accettarono l’inevitabile progresso, e così William Sudell poté liberamente creare la squadra che aveva sempre sognato. Vero e proprio visionario, Sudell non si accontentava di vincere, ma voleva lasciare il segno attraverso il miglior gioco mai visto prima e risultati schiaccianti: fu così che nacquero “The Invincibles”, i giocatori del Preston North End capaci di vincere in una sola stagione il primo campionato di calcio senza mai conoscere sconfitta e la FA Cup senza subire neanche un gol.
Splendidamente eleganti nel loro bianco immacolato, maestri di tecnica e tattica, i “bianchi gigli” di Sudell dominarono il calcio inglese per un periodo breve ma intenso, dando lezioni di gioco a chiunque trovassero sulla propria strada. La fine sarebbe arrivata verso la fine del secolo, quando altre forze economiche avevano reso più difficile il monopolio del calciomercato operato nei primi tempi da Sudell. Questi, amministratore locale di alcune fabbriche di cotone, aveva prelevato importanti somme dai suoi clienti per rendere la squadra sempre più forte, e quando questi illeciti vennero fuori, contemporaneamente alla morte per tubercolosi del capitano e miglior giocatore Nick Ross, il Preston North End scivolò nelle retrovie. Sudell, scontata una condanna di carcere per illeciti amministrativi, finì in Sud Africa a scrivere di rugby e football, attività che svolgeva anche nell’esatto momento in cui morì fiaccato dalla polmonite nell’agosto del 1911, poco più che sessantenne. Possiamo solo immaginare il dolore di vivere tanto lontano dall’amato club, in cui era entrato da adolescente e che contribuì a rendere immortale.
George Ramsay e l’Aston Villa
Il posto di Sudell e degli “Invincibili” del Preston North End fu preso dallo scozzese George Burrell Ramsay e dal suo Aston Villa. Manager e club si erano conosciuti quando quest’ultimo era appena nato: mentre percorreva le strade di Birmingham in cerca di un lavoro, il giovane Ramsay si era fermato ad osservare i giovani calciatori del neonato club fare pratica in un giardino pubblico.
Invitato a prendere parte alla gara “per fare numero”, Ramsay si distinse talmente bene a livello tecnico da lasciare increduli i rozzi compagni, che immediatamente lo convinsero a entrare nei Villans con il ruolo di capitano. Da giocatore Ramsay indirizzò il club verso il passing game in voga ai tempi, e senz’altro più fine “dell’accozzaglia di uomini e calci” a cui aveva assistito la prima volta: con lui in campo la squadra vinse 21 partite su 25 giocate nel 1881, ma un brutto infortunio lo costrinse ad appendere gli scarpini al chiodo.
Fu da manager che diede il meglio di se: ritiratosi nel 1884, tre anni dopo portò la squadra alla vittoria della FA Cup grazie ai gol del connazionale Archie Hunter, forse il miglior centravanti del periodo vittoriano e vera e propria scoperta di Ramsay, che ne aveva fatto il punto di riferimento della manovra. Scomparso prematuramente Hunter per via di un problema cardiaco, Ramsay riuscì a mantenere la barra del club ben dritta, migliorando anzi mano a mano che si avvicinava la fine del secolo: lottando contro grandi squadre e contro il destino, che prima lo aveva costretto al ritiro e poi gli aveva sottratto il suo pupillo e miglior giocatore, il manager scozzese portò l’Aston Villa a vincere 5 volte la Football League dal 1894 al 1900, ripetendosi poi nel 1909/1910 per un’ultima volta.
A questi trionfi vanno aggiunte ben 6 FA Cup, risultati che rendono George Ramsay uno dei tecnici più vincenti di sempre: soltanto Sir Alex Ferguson ha vinto più campionati di lui, e soltanto Arsène Wenger può vantare lo stesso numero di coppe d’Inghilterra vinte, avendolo raggiunto nel 2015 proprio con una vittoria sull’Aston Villa.
Con la squadra che oggi si trova a metà classifica nella seconda divisione nazionale, non sono pochi i tifosi che rimpiangono i tempi di George Burrell Ramsay, l’uomo che portò al successo l’Aston Villa sedendo sulla sua panchina per ben 42 (!) anni. Un anno dopo la sua morte, arrivata nell’ottobre del 1935 a 80 anni, l’Aston Villa retrocedeva per la prima volta nella storia: un chiaro, chiarissimo segnale di quanto quest’uomo sarebbe stato rimpianto e per sempre ricordato.
Nella foto, da sinistra verso destra, William Sudell, Thomas Brown Mitchell e George Ramsay, i maestri della panchina del XIX secolo
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