Bologna FC
Meteore Rossoblù – La mano de Dios – 21 Set
Quando, alla quarta giornata del campionato 2003/04, venne ammonito dopo pochi minuti per un fallo da niente a centrocampo Guglielminpietro si sarà certo chiesto il perché di questo accanimento dell’arbitro nei suoi confronti, e la risposta fu semplice: vendetta, pura e semplice vendetta, la giornata prima li aveva fregati!!!
Durante la terza giornata di quel campionato, al sessantaduesimo minuto della sfida tra Bologna e Udinese, sugli sviluppi di una punizione calciata da Beppe Signori, Guglielminpietro deviò, imitando in tutto e per tutto il suo connazionale più famoso e la sua “Mano de Dios”, il pallone in rete, regolarmente secondo l’arbitro, ma di mano secondo tutti i giocatori friulani e tutte le moviole televisive della settimana successiva, con Biscardi che occupò quasi un intera puntata a questo fatto richiedendo con veemenza la moviola in campo, e mostrando col suo moviolone l’azione da tutte le angolazioni possibili.
Andrés Guglielminpietro, ribattezzato Guly in Italia per semplificare la pronuncia del suo nome sopratutto durante le telecronache, nacque a San Nicolás (la stessa città di Omar Sivori) in Argentina il 10 aprile 1974. Nato come attaccante fu trasformato da Carlos Timoteo Griguol in centrocampista esterno, il ruolo che farà la sua “fortuna”.
Dopo le giovanili tra le fila del Gimnasia La Plata, esordì in prima squadra nel 1994, dove rimase per quattro anni giocando da esterno offensivo e guadagnandosi la chiamata dall’Italia, col Milan che lo acquistò all’inizio della stagione 1998/99 per 10 miliardi di lire. Gli inizi in maglia rossonera non furono dei migliori, con tanta panchina e poche sporadiche apparizioni, ma il cambio di modulo da parte del tecnico Zaccheroni, con il ritorno al suo amato 3-4-3 gli spalancò le porte per l’undici titolare, fino a farlo diventare fondamentale per quello scudetto milanista con tanta corsa, tanti assist per la testa di Bierhoff ( che disse di lui “Sono contento quando gioca perché sa andare sul fondo e servire assist su cui i difensori hanno difficoltà a piazzarsi”) e 4 gol, di cui uno proprio a Bologna e uno nella sfida decisiva all’ultima giornata sul campo del Perugia. A detta di molti, quello fu il Milan più scarso tra tutti quelli vincenti, conquistò il campionato con appena 70 punti dopo il sorpasso sulla Lazio all’ultima giornata senza essere ricco di campioni, basti pensare che schierava gente del calibro di Sala, N’Gotty, Ziege, Ba e Ayala e che scoprì Abbiati solo alla prima giornata del girone di ritorno (proprio a Bologna) dopo la bocciatura di Lehmann e il quasi omicidio di Sebastiano Rossi ai danni di Bucchi.
Forse fu proprio questa carenza di campioni a farlo emergere così bene tra le fila di quella squadra “operaia”, infatti dopo questo ottimo campionato si perderà lentamente finendo in panchina e nell’anonimato, tanto da rientrare nell’estate del 2001/02 in uno scambio di mercato con l’Inter che offrì Pirlo e Brocchi in cambio di Guly e di Brncic ai rossoneri. Penso non serva dirlo che, da quell’estate, le parole “scambio Guly Pirlo” risveglino i peggiori incubi nelle menti dei tifosi nerazzurri!!!
Voluto fortemente dall’allenatore Cuper e arrivato sull’altra sponda di Milano con la speranza di recuperare il tempo perduto, la sua avventura in maglia nerazzurra fu un disastro, la sua involuzione sempre più continua forse anche a causa del trio da incubo che si era formato sulla fascia sinistra in quella squadra con lui, Gresko e Georgatos.
Per completare gli incubi che le stagioni di Andrés risvegliano nei tifosi nerazzurri, basti pensare che durante la sua permanenza successe il fatidico 5 maggio 2002 a Roma e l’eliminazione dalla Champions League, in semifinale, nel derby contro i cugini rossoneri.
Alla fine di questo biennio passò in prestito secco al Bologna dove, sotto la gestione Mazzone, in una stagione collezionò 18 presenze e due gol, tra i quali proprio quello contro l’Udinese.
Ritornato a Milano venne rimandato in patria, al Boca Juniors dove in una stagione giocò 24 gare, segnò 6 gol e vinse la Coppa Sudamericana. Il 4 luglio 2005 firmò per l’Al-Nasr andando negli Emirati Arabi a finire la carriera come tanti suoi colleghi ma, prima di appendere le scarpe al chiodo definitivamente decise di tornare, il 6 febbraio 2006, al suo primo club, il Gimnasia La Plata dove dopo un anno, il 1 gennaio 2007, chiuse la sua carriera.
Nei suoi anni da calciatore collezzionò anche sei presenze nella nazionale Argentina, con un esordio non proprio da ricordare: in un amichevole in Olanda entrò nel primo minuto del secondo tempo al posto di Ortega ma venne sostituito appena trenta minuti dopo dal tecnico Bielsa che lo fece uscire al posto di Hernan Crespo.
Appesi gli scarpini al chiodo iniziò la sua carriera in panchina entrando nello staff tecnico del “Cholo” Simeone, facendogli da vice nelle esperienze all’Estudiantes e al River Plate. Rimasto orfano dell’allenatore dell’atletico Madrid, diventò vice di Nelson Vivas al Quilmes e, dal 2014, ha iniziato la sua carriera di allenatore in solitaria guidando squadre dal basso blasone come il Douglas Haig (dal quale si dimise nel giugno 2015), la Nueva Chicago (altre dimissioni nell’aprile 2016), la Central Córdoba e, il 15 marzo 2017 il ritorno al Douglas Haig, squadra nella quale aveva iniziato la sua carriera da allenatore.
Sei anni in Italia, tre squadre e tre differenti motivi per essere ricordato nelle menti dei tifosi, per i rossoneri rimarrà sempre uno degli eroi del sedicesimo scudetto, per i nerazzurri l’uomo dello scambio con Pirlo e per noi Rossoblù beh… rimarrà per sempre quello del gol di mano, quello che volle imitare Maradona, quello de “La mano de Dios- atto secondo”
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