Calcio
Il punto sulla Serie A – Le bandiere non si stropicciano
IL TOP
Le bandiere non si stropicciano
Questa settimana, se permettete, niente “flop”: è Natale, siamo tutti più buoni, o almeno dovremmo esserlo. E il “top” è in realtà un “top” a prescindere, mi verrebbe da scrivere un top alla carriera. Vidi Paolo Maldini la prima volta al Torneo di Viareggio: aveva 16 anni, ma Capello (che allenava la Primavera del Milan) lo faceva giocare con i ventenni. Il giovane Diavolo giocava contro lo Spartak Mosca: il più piccolo dei moscoviti era un armadio (potere dei passaporti collettivi e, come scoprimmo più avanti, degli armadietti della farmacia); il più cattivo, il tornante di destra, dopo una decina di minuti lo azzoppò non avendo digerito l’ennesimo “sombrero”. Paolo uscì dal campo in barella; io, a fine partita, uscii dallo stadio con la certezza di aver ammirato un campione. Poi vennero il debutto in Serie A e in Nazionale (non fece neanche in tempo a giocare nell’Under 21, perché quando aveva l’età lui era impegnato a Italia 90…), gli scudetti, le Coppe dei Campioni, Intercontinentale e via vincendo. Una meravigliosa carriera in rossonero, e forse non tutti sanno che quella carriera poteva avere altri… colori. Dopo il debutto in prima squadra, suo padre Cesare – milanista da sempre – ricevette la chiamata del suo vecchio amico Boniperti, che voleva vestire di bianconero Paolo e gli propose un contratto favoloso. Cesarone tornò a Milano con il cuore in gola, andò da Berlusconi (perché all’epoca il Milan un presidente ce l’aveva….) e gli disse che il figlio meritava un contratto da professionista. Berlusconi sorrise, rispose che aspettava il diciottesimo compleanno di Paolino per proporgli la firma, ma a dimostrazione che non bluffava disse al padre che cifra gli avrebbe proposto: il quadruplo di quanto promesso (all’insaputa di Silvio…) dalla Juventus. Ma se è vero che il matrimonio Maldini-Milan fu figlio di un colpo d’intuito, è altrettanto vero che è stato un matrimonio fantastico per entrambi i… coniugi. Paolo diede poi l’addio al calcio, dopo tanti anni e altrettanti trionfi, accompagnato dai fischi della tifoseria più becera: non fece una piega. Lui, uomo vero figlio di un uomo vero, se ne andò con la classe di sempre. Galliani, ostaggio della tifoseria di cui sopra, non gli propose un ruolo in società che avrebbe strameritato: me lo confessò senza acredine lo stesso Paolo quando venne in Certosa a salutare per l’ultima volta mio padre. Qualche mese fa, i nuovi padroni del Milan gli offrirono il ruolo da direttore generale, ovvero stipendio da favola e soldi da spendere al calciomercato. Lui ringraziò e rispose no, grazie. Tutti commentarono come avrebbe fatto Francesco De Gregori: “Lo sposo è impazzito, oppure ha bevuto…”, ma io no, io ho cominciato a chiedermi che cosa lo aveva portato a rifiutare un sontuoso ritorno all’ovile, difendendolo contro chi diceva che era solo uno sciocco snob. Il tempo è gentiluomo, quasi quanto i Maldini, e oggi è chiaro a tutti che Paolo sia stato semplicemente più bravo di altri ad annusare l’aria. Vedo Gattuso annaspare in panchina: non merita un delirio simile. Il suo peccato? Non aver chiesto un parere a Paolo: lui lo sa che le bandiere non si stropicciano, neanche per un pacco di yuan…
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