Calcio
Bologna-Genoa e lo “Scudetto delle pistole” del 1925 – 07 dic
9 agosto 1925: alle 7 del mattino, in uno sperduto campo nel quartiere Vigentino di Milano e alla presenza di pochissime autorità e nessun tifoso, Genoa e Bologna stanno per affrontarsi per decretare chi, tra loro, giocherà la finalissima valida per lo Scudetto. Come si è giunti a giocare una gara tanto importante in una data e in un orario tanto insoliti?
Quello che molti storici autorevoli – anche stranieri – considerano ancora oggi il caso più controverso della storia del calcio italiano, il famoso “Scudetto delle pistole”, ha le sue origini addirittura più di un anno prima, il 15 giugno del 1924, sul finire quindi del campionato precedente. Quello del 1923/1924 è il primo torneo che mette in palio lo “Scudetto”, un distintivo rappresentante la bandiera italiana che la squadra campione potrà apporre sulle proprie maglie e ideato nientemeno che da Gabriele D’Annunzio, e il Genoa ritiene sia suo diritto conquistarlo: “il Grifone” è in quegli anni la squadra più titolata e rinomata d’Italia, pur avendo dovuto subire negli anni ’10 l’ascesa delle realtà piemontesi di Pro Vercelli, Casale, Torino e Juventus, mentre il Bologna è ormai da diversi anni una realtà consolidata, indubbiamente la più forte del Centro-Nord e abituale serbatoio di atleti validi per la Nazionale. Nel Campionato 1923/1924 sono proprio queste due squadre a sfidarsi per decidere quale sia la rappresentante dell’Italia settentrionale, e lo fanno dopo aver vinto entrambe il proprio raggruppamento: ma se il Girone B ha visto il Bologna superare – a fatica ma senza alcuna polemica – Torino e Pro Vercelli, il Girone A è stato a dir poco controverso, con il Genoa che ha conquistato la finale soltanto grazie alla penalizzazione in cui è incorsa la Juventus, rea di aver “ingaggiato” il difensore vercellese Rosetta in un’epoca in cui il professionismo è ancora proibito. Sembrerebbe dunque una conseguenza logica dovuta all’infrazione del regolamento, ma quello che fa storcere la bocca a molti è che ormai il dilettantismo è soltanto di facciata – molti eroi degli stadi percepiscono lauti “rimborsi spese” – e che proprio il Genoa dieci anni prima era stato colto in fallo per via dei “trasferimenti” di Sardi e Santamaria dai concittadini dell’Andrea Doria senza avere avuto conseguenze importanti. Insomma, la sensazione è che il Genoa sia in qualche modo favorito dalla FIGC, ed è per questo che i tifosi del Bologna decidono di recarsi numerosi nel capoluogo ligure in occasione della finale di andata, che va in scena appunto a Marassi il 15 giugno del 1924. Non trovano però una bella accoglienza: i genoani non ci stanno a essere definiti “ladri”, e sono numerosi gli scontri narrati dai testimoni dell’epoca – tra cui il CT Vittorio Pozzo – avvenuti sia fuori dallo stadio che all’interno di esso e che coinvolgono addirittura Giuseppe “Geppe” Della Valle, il più forte dei giocatori bolognesi, malmenato da un misterioso “ex-giocatore del Genoa travestito da tifoso”, e quindi ovviamente intimidito – lui che non aveva paura di niente e di nessuno – per tutti i novanta minuti, giocati in un clima di forte tensione e che alla fine vedono i padroni di casa trionfare per 1 a 0 con un goal di Neri. Una settimana dopo, a Bologna, si gioca la gara di ritorno, ma il clima da teso diventa incandescente quando Santamaria in contropiede porta in vantaggio i liguri: ai bolognesi non basta un rigore fantasioso inventato dall’arbitro Panzeri nel tentativo di calmare le acque e trasformato da Pozzi per calmarsi, scatta la rissa e l’inevitabile vittoria a tavolino del Genoa. Il “Grifone” accede così alla finale nazionale, supera il Savoia con facilità e conquista il suo nono titolo, mentre Bologna schiuma rabbia.
Fatta questa doverosa premessa, eccoci al campionato “incriminato”, quello del 1924/1925: ancora una volta Genoa e Bologna si ritrovano di fronte per decidere chi, in pratica, conquisterà lo Scudetto. All’epoca infatti la differenza tra Nord e Sud, nel calcio, è enorme, e la finale contro i campioni meridionali è spesso poco più di una formalità, tanto che finché esisterà tale formula lo Scudetto andrà sempre al Nord. Se il Genoa ha intenzione di fare cifra tonda, con dieci campionati vinti, il Bologna insegue ancora il suo primo trionfo dopo anni in cui come realtà calcistica è andata sempre più affermandosi: è tuttavia mancato sempre all’atto finale, cadendo nel 1920/1921 con la Pro Vercelli e nel 1923/1924 contro il Genoa negli eventi appena narrati e che ancora generano rabbia al solo pensiero. Ancora una volta finiti in due raggruppamenti diversi, Genoa e Bologna conquistano ancora una volta la finale dopo aver regolato avversari di spessore: ancora una volta, però, mentre il cammino dei felsinei è privo di polemiche (superano Pro Vercelli e Juventus, il passato e il futuro del calcio piemontese) quello del Genoa è contraddistinto da alcuni episodi a dir poco controversi, che portano al rinvio di tre partite in cui i liguri erano impegnati per motivi considerati evitabili e che permettono ai campioni in carica di giocare tre gare in coda alla stagione conoscendo già la classifica del Modena, che aveva concluso il torneo a 29 punti. Al Genoa servono 5 punti per superare i “canarini”, e 5 punti arrivano nelle tre gare recuperate, un’altra qualificazione controversa che accende gli animi di molti e che preoccupano anche i vertici della Federazione, visto che Genoa e Bologna si sarebbero giocate ancora una volta la qualificazione alla finalissima nazionale – e quindi lo Scudetto – dopo i fatti avvenuti appena un anno prima.
Tuttavia la finale d’andata, che si svolge a Bologna, viene giocata in un clima relativamente tranquillo, che vede soltanto qualche tifoso emiliano chiamare con disprezzo “traditore” l’attaccante del Genoa Cesare Alberti, talento esploso proprio in Emilia ma recuperato dai liguri dopo un tremendo infortunio al menisco e una miracolosa operazione chirurgica: campione assoluto, sarebbe morto improvvisamente l’anno successivo ad appena 22 anni per aver ingerito frutti di mare avariati. Alberti II° (così chiamato per distinguerlo dal fratello Guido, giocatore anch’esso del Bologna e morto di tifo in guerra nel 1918) porta in vantaggio il Genoa, che poi raddoppia con il formidabile Catto, mentre il gol della bandiera felsinea arrivò grazie a Schiavio, proprio colui che aveva sostituito Alberti come centravanti tra gli emiliani. Il ritorno sembra una formalità, ma davanti a un Marassi stracolmo che già pregusta la vittoria il Genoa cade per eccesso di sicurezza, venendo sorpreso da Muzzioli – abile a sfruttare un assist di uno scatenato Schiavio – e poi da Della Valle, che colpsce in contropiede i padroni di casa, che avevano nel frattempo pareggiato ma che troppo baldanzosamente avevano deciso di non accontentarsi.
Il regolamento prevedeva che, in caso di una vittoria per parte, si giocasse uno spareggio in campo neutrale: si decise quindi di giocare “la bella” una settimana dopo, sul campo del Milan. L’arbitro delle prime due gare, l’italo-brasiliano Gama di Milano, fu sostituito dal signor Giovanni Mauro dell’omonima sezione, che chiese agli organi addetti garanzie di ordine pubblico che purtroppo furono disattese. Una folla enorme giunse allo stadio per la “finalissima” che metteva ancora una volta di fronte due compagini che avevano tanti conti da saldare, e in un clima di grandissima tensione – gli spettatori presenti erano in tal numero da essere finiti per assiepare i dintorni del campo – il Genoa si portò in vantaggio con Moruzzi e poi raddoppiò ancora con il “traditore” Alberti II°, ed entrambe le marcature vennero festeggiate dai proprio tifosi, scesi in campo ad abbracciare i propri eroi nonostante fosse evidentemente una cosa contraria al regolamento. In un clima di forte tensione il secondo tempo vide il Genoa difendersi, mentre i tifosi del Bologna – esasperati e anche fomentati da alcuni squadristi fascisti tra cui Leandro Arpinati, futuro presidente della FIGC – schiumavano rabbia, pur mantenendo un comportamento che le cronache dell’epoca definirono civile: al 16° del secondo tempo Muzzioli scagliò un tiro verso la porta del Genoa.
“…un tiro di rara potenza che De Prà riuscì a malapena a deviare e uscì lambendo il montante. Mauro fischiò il calcio d’angolo, ma si ritrovò circondato da una turba minacciosissima di Bolognesi in camicia nera che spalleggiavano capitan Della Valle e lo accusavano di essersi fatto comprare dai Genoani: non l’aveva visto che il pallone era entrato in rete e ne era uscito attraverso uno squarcio?” [1]
Assediato dagli squadristi fascisti, da tifosi e giocatori del Bologna, dopo diversi minuti – in cui tentò persino di fuggire ma fu ripreso a forza e riportato sul rettangolo di gioco – Mauro concesse il gol al Bologna, ma per calmare i giocatori del Genoa che protestavano disse sottovoce a capitan De Vecchi (“il figlio di Dio”) che la gara si sarebbe giocata soltanto per motivi di ordine pubblico, ma sarebbe poi stata assegnata al Genoa la vittoria a tavolino. Quel che restava da giocare, mezz’ora, fu giocato tra numerose interruzioni, calci e spinte da parte dei tifosi di entrambe le fazioni sia ai tifosi che ai calciatori avversari, e nel finale il Bologna trovò anche il pareggio con Pozzi, in un’azione viziata però da una spinta ai danni del portiere del Genoa De Prà. Il regolamento avrebbe voluto lo svolgimento dei tempi supplementari, ma in un clima tanto teso nessuno si sentì di farli giocare, e i liguri uscirono dal campo a pezzi con l’intima convinzione di aver conquistato la finalissima vista la promessa dell’arbitro Mauro. Ma così non fu, in quanto il Bologna infatti protestava a sua volta con la FIGC: a suo dire infatti la gara sarebbe dovuta essere sospesa già in occasione delle reiterate invasioni di campo dei genoani in seguito alle reti della propria squadra. E poi non si erano forse rifiutati, i campioni d’Italia in carica, di disputare i supplementari? Salomonicamente la Federazione stabilì che il risultato della gara, 2 a 2, fosse da considerarsi un pareggio vero e proprio e ordinò un altro spareggio, il quarto, che si sarebbe dovuto svolgere un mese dopo a Torino. Il 5 luglio 1925, quindi, grifoni e felsinei scesero nuovamente in campo: in uno stadio militarizzato, visti anche gli scontri avvenuti alla stazione tra le diverse tifoserie (erano stati sparati anche dei colpi di pistola, fortunatamente senza causare vittime) Bologna e Genoa pareggiarono ancora per 1 a 1: vantaggio di Schiavio all’11° minuto di gioco, pari genoano con Catto al 25°.
Chi sarebbe stato il vincitore del girone Nord, dunque? Molti politici chiedevano addirittura l’annullamento del torneo o di consegnare il titolo ai campioni meridionali, i romani dell’Alba, ma dopo numerosi conciliaboli e diverse dimissioni negli organi federali i rappresentanti di Genoa e Bologna raggiunsero un accordo: soltanto il campo avrebbe potuto dirimere la questione, soltanto un’ultima – ennesima – sfida. Essendo luglio inoltrato, ormai, fu detto ai giocatori che sarebbero potuti andare in vacanza, ma improvvisamente e senza avvisare nessuno se non i protagonisti fu deciso invece di giocare la gara a porte chiuse, nel campo periferico in zona Vigentino di Milano il 9 agosto del 1925 alle 7 del mattino. Ed eccoci dunque al giorno in cui è iniziato questo racconto: il Bologna si presentò alla gara in ottima forma, e il sospetto che i felsinei – tramite il gerarca Arpinati, tifosissimo dei Veltri – avessero saputo con anticipo delle intenzioni della FIGC fu evidente. I genoani tentarono di rifiutarsi di giocare, visto che molti di loro dopo la rassicurazione che la gara decisiva si sarebbe giocata a settembre avevano interrotto gli allenamenti, ma di fronte alla minaccia di radiazione dovettero fare retromarcia e accettare la sfida: per la FIGC, e per il Governo, la questione relativa allo Scudetto del 1924/1925 doveva essere risolta. Così, di fronte a pochissimi spettatori – gerarchi, autorità, poliziotti e soldati – il Bologna si impose per 2 a 0 grazie alle reti di Pozzi e Perin e conquistò la finalissima valida per lo Scudetto, che come nelle previsioni fu una formalità: dopo aver vinto per 4 a 0 all’andata (doppietta di Della Valle e reti di Schiavio e Perin) il Bologna vinse 2 a 0 (ancora Della Valle e Rubini) anche a Roma nella gara di ritorno, conquistando così il suo primo Scudetto. Al Genoa non restò che schiumare rabbia e rimandare la conquista del decimo titolo al futuro, evento che poi non è più avvenuto e che ancora brucia a chi tifa per il “Grifone”. Nei successivi quindici anni, fino al 1941, il Bologna avrebbe legittimato quella vittoria fornendo giocatori alla Nazionale due volte Campione del Mondo, vincendo altri cinque Scudetti e divenendo noto come “lo squadrone che tremare il mondo fa”, mentre il Genoa avrebbe malinconicamente abbandonato le posizioni di vertice nel calcio italiano, schiacciato dalla prepotente crescita degli squadroni metropolitani. Quello del 1924/1925, passato alla storia come “lo Scudetto delle Pistole” per via della violenza espressa dai tifosi, sarebbe rimasto un campionato a dir poco controverso, che costò poi effettivamente uno Scudetto anche al Bologna: nel 1927 infatti i felsinei, giunti secondi dietro al Torino squalificato per illecito, non si videro assegnato di diritto il titolo in quanto Arpinati temette di favorire troppo la sua squadra del cuore. Indipendentemente da come andò quell’assurdo campionato, Bologna e Genoa possono guardarvi con nostalgia: era un calcio dove infatti ancora entrambe dettavano legge, un calcio forse diverso dal nostro e per certi versi più verace e affascinante. Un calcio in cui però, come abbiamo visto, le polemiche – come ai giorni nostri – certamente non mancavano.
NOTE:
[1] “Il meraviglioso giuoco – Pionieri ed eroi del calcio italiano”, E. Brizzi, Editori Laterza, pag. 259
FOTO:
1 – Il Bologna Campione d’Italia nel 1925 (Wikipedia)
2 – Il Genoa nel campionato 1924-1925 (Wikipedia)
3 – Un’azione di gioco di una delle tante finali (Wikipedia)
4 – Cesare Alberti, sfortunato eroe di Bologna e Genoa, in azione (Brunovera.com)
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