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You’re Unbelievable!!! – Quando il calcio diventa folklore parte 5

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La prima puntata di questa rubrica è di quasi due estati fa: si parlava della squadra che rappresenta la città dal nome più lungo al mondo, di un calciatore inglese con discutibili dubbi di moda, di un gol segnato dal vento, del giocatore più pesante di sempre e dell’esordiente più giovane al mondo per chiudere con il campionato più piccolo al mondo e la storia della squadra più scarsa al mondo. —-> QUI 

Nella seconda puntata scoprivamo che la squadra più vincente al mondo gioca in Irlanda del Nord e approfondivamo la storia del capitano di questo stesso club. Poi arrivava il racconto della prima partita di calcio ufficiale, la formazione della terza squadra di Manchester nata per protesta contro gli “owner” stranieri e infine si narrava la cronaca della partita dei record, giocata in Madagascar e conclusasi 149 a 0. —> QUI

La terza puntata era più breve ma non meno interessante: oltre all’analisi dell’allora imminente Super League Indiana si raccontava di una partita giocata nella nebbia dov’era successo di tutto e della trasferta più pericolosa al mondo, dalla quale sei fortunato se torni vivo. —> QUI

Nella quarta puntata scoprivamo un calcio corrotto che non è il nostro, parlavamo di un calciatore divenuto wrestler e di un dittatore divenuto calciatore, di due portieri protagonisti di storie incredibili e di infortuni assurdi, spesso comici ma anche tragici. —> QUI

 


I PIEDI (E LE MANI) CHE HANNO COSTRUITO L’AMERICA

Boston, Massachusets, primi anni ’60 del XIX° Secolo: per volere di Gerrit Smith Miller, che raccoglie intorno a se diversi compagni di studi, nasce la prima squadra di “foot-ball” americana. Il suo nome è Oneida Football Club, gioca contro chiunque si presenti a sfidarla ed è praticamente imbattibile. Nonostante le controversie sullo stile di gioco adottato – diversi studi confermano che il gioco praticato fosse un mix tra calcio e rugby e che anzi Miller e i suoi non siano altro che i progenitori del football americano – la squadra di Oneida è leggenda negli Stati Uniti d’America ed è considerato il primo club calcistico nazionale. Una squadra mitica, mai battuta nei suoi quattro anni di vita e anzi, mai infilata da un gol avversario: la vita della squadra ebbe termine dopo quattro anni dalla nascita, presumibilmente per via della laurea raggiunta dagli studenti che la componevano.  Nel 1925 Boston ha onorato i suoi mitici eroi erigendo un piccolo monumento nel “Boston Common”, importante parco cittadino dove fu giocata ogni gara dell’Oneida. L’iscrizione recita: “In questo parco l’Oneida Football Club, il primo club di calcio organizzato negli Stati Uniti, giocò contro ogni visitatore dal 1862 al 1865: la porta dell’Oneida non fu mai attraversata.”


SOCCER? LO HANNO INVENTATO GLI INGLESI.

Gli inglesi hanno inventato e codificato il calcio moderno, questo è ormai assodato. Quando questo sport giunse negli Stati Uniti, dov’erano non pochi gli immigrati provenienti dal Regno Unito, il foot-ball continuò a chiamarsi per un bel pezzo foot-ball. Si pensa che “soccer” sia un termine americano ed è in effetti così che negli Stati Uniti e in Canada il gioco viene chiamato: tuttavia il termine è inglese e deriva da “Association Football”, il nome con cui era noto il calcio nell’Inghilterra Vittoriana. Accorciato prima in “Association” e poi “Assoc” vide il suffiso “er” che ai tempi veniva aggiunto alle parole abbreviate diventando infine “soccer”. Che è quindi come gli americani chiamano “il gioco meraviglioso” ma che è parola di matrice tipicamente inglese.


STREGONERIA? NO. FORSE.

Da sempre l’Africa viaggia a due velocità, con una parte del Continente che cerca di modernizzarsi e l’altra che resta ancorata a tradizioni ancestrali e credenze popolari. Nel calcio spesso si assiste allo scontro tra questi due modi di vivere e sentire le cose del mondo: nel 2002 ad esempio il leggendario ex-portiere N’Kono, idolo d’infanzia di Buffon e allora allenatore in seconda del Camerun, fu portato via dalla polizia per aver seppellito sotto terra un elisir magico, mentre un altro fatto noto sono le proteste dell’Uganda, che sbagliava gol su gol nella gara contro il Ruanda e diede la colpa a un paio di guanti appesi sulla rete dal portiere avversario, definendoli “guanti magici”. L’episodio più assurdo, tragico e grottesco è comunque avvenuto nell’ottobre del 1998 nella Repubblica Democratica del Congo, quando un fulmine improvviso ha ucciso l’intera squadra del Bena Tshadi, in quel momento impegnata sul campo contro gli ospiti di Basanga. I quali, incredibilmente illesi, sono naturalmente stati accusati di stregoneria: e anche se la federcalcio africana ha sancito senza alcun’ombra di dubbio che “la stregoneria non esiste” una parte della popolazione riterrà sempre i giocatori del Basanga colpevoli. Folle superstizione? Sicuramente. Anche se guardando le statistiche sui fulmini (ogni persona ha una possibilità su 750.000 di essere colpita da un fulmine, il quale uccide soltanto una volta su dieci) il dubbio può venire.

 

BABY-PRODIGIO?

Nella fortunata serie manageriale per il PC nota come “Football Manager”, chi desidera diventare un Ferguson o Mourinho virtuale ha varie strade davanti a se, che vanno dal tentare l’acquisto dei migliori campioni al puntare su giovani talenti che magari non sono subito fenomeni ma che possono diventarlo con il tempo se presi ancora in giovanissima età quando diventano noti come “baby prodigi”. Forse però non è il caso di esagerare come ha fatto il team olandese del VVV Venlo, che nel 2011 ha fatto sottoscrivere un contratto decennale ad un bambino di appena 18 mesi, Baerke van der Meij, capace di centrare tre volte su tre un cesto in un video su YouTube e per questo definito come “un buon destro con il DNA del nonno”, a sua volta eroe locale. 

In Olanda dicono che sia uno scherzo, e la speranza di tutti è che sia così e non si tratti di un nuovo “caso-Sonny”. Nel 1991 infatti l’Ajax notò e portò in Olanda un ragazzino inglese di appena sette anni, Luke “Sonny” Pike, nipote del famoso ex-centravanti del Tottenham degli anni ’80 Mark Falco, prelevandolo dalle giovanili del Leyton Orient. Nella terra dei tulipani il bambino divenne un vero e proprio personaggio, partecipando a diversi spot TV e finendo per perdersi nonostante indiscutibili doti tecniche che avevano portato la critica ad accostarlo addirittura a personaggi come Diego Maradona e George Best: a 15 anni un esaurimento nervoso gli fece capire che il calcio non era per lui, almeno non quello di alto livello, convincendolo a continuare nelle serie minori inglesi con le maglie di Stevenage, Enfield, Barnet, Waltham Forest e Dryburgh Saints. Oggi, trentenne, sta cercando di tornare nel giro come allenatore. Auguri.

 


UN ALLENATORE CREATIVO

Ivor Broadis da noi è un nome conosciuto, ma in Inghilterra è chiaramente noto per aver vissuto una carriera leggendaria e piena di avventure. Il fatto che in Italia la sua storia sia sconosciuta è un peccato (a cui tenterò di provvedere al più presto, Ndr) e in effetti basta citare un episodio per capirne il motivo: divenuto allenatore-giocatore del Carlisle ad appena 23 anni nell’immediato dopoguerra – dopo essersi messo in mostra con il Manchester United da giovanissimo – Broadis fu capace di vendere SE STESSO come giocatore al Sunderland per l’allora notevolissima cifra di 18,000 sterline. Nonostante giocasse nei “Black Cats”, Broadis si continuò ad allenare con il Carlisle, scontrandosi più volte con il giovane allenatore che lo aveva sostituito – destinato anch’esso a diventare una leggenda del football – Bill Shankly. In seguito Broadie continuò ad essere una seconda punta favolosa, segnando anche 8 reti in 14 presenze con la maglia dell’Inghilterra e vivendo una vita piena di avventure: oggi va per i 93 anni, ma appena dieci anni fa fu arrestato fuori dallo stadio degli scozzesi del Gretna per porto abusivo d’arma.

 

UN CENTRAVANTI DI PESO. TROPPO DI PESO.

Jhonny Van Beukering era, agli inizi degli anni 2000, la nuova sensazione del calcio olandese: esploso nel De Graafschap, dove aveva segnato più di un gol ogni due partite, era stato inserito dal prestigioso giornale spagnolo Don Balon nella lista dei “100 migliori giovani calciatori al mondo”, insieme ad altri futuri fenomeni come Bale, Götze e Hazard. Tuttavia i successivi passaggi in carriera (NEC Nijmegen, Go-Ahead Eagles) non furono fortunati anche per via di numerosi infortuni. Il Feyenord tentò di recuperarlo ma si scontrò con un carattere arrendevole che aveva trovato nel cibo una fonte di consolazione e che lo portò più volte a fallire in diete mirate a farlo scendere da un peso che aveva superato la tonnellata. Niente da fare, oggi Jhonny, 32 anni, gioca nei dilettanti del MASV Arnhem dopo aver speso le ultime stagioni in Indonesia, terra degli avi dove ha persino raggiunto una convocazione in Nazionale. I suoi ex-ammiratori, delusi, lo hanno trasformato il suo cognome da Van Beukering a “Van Burgerking”.

 

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