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I ronzini di Ferrara e quell’asino di Bulgarelli

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Credere in Dio. Amare incondizionatamente un’altra persona. Affidare il proprio destino a un uomo politico. Fumare. Giocare d’azzardo. L’elenco delle cose che non faremmo, se ci affidassimo al nostro cervello (chi ce l’ha), può proseguire all’infinito, e ciascuno di noi lo potrebbe arricchire di nuove voci. Sarà che il mio, di cervello, ha subito gravi danni dodici anni or sono, fatto sta che oggi più di ieri mi trovo a seguire volentieri i consigli di un altro organo, il cuore. Che non calcola i rischi: ti fa godere i risultati. Che non pensa mai al peggio, semplicemente perché lui rappresenta il meglio. Insomma, per tanto è palloso il cervello, per quanto è vivo, emozionante, allegro il cuore. Fra le cose che il cervello ti direbbe di evitare, c’è per esempio il fatto di andare il 2 agosto, con 34 gradi e un’umidità da sud-est asiatico, all’ippodromo di Ferrara. Perché è troppo caldo pure per le lucertole, perché le zanzare invitano le amiche per l’happy hour ai miei danni, perché c’è parecchia strada da fare, perché l’ippica è morta, perché quello di Ferrara non è un ippodromo. Anzi, direi che non lo sia mai stato, neanche quando vigeva la Legge Mangelli e Vivaldo faceva le boccacce a tutti. Su questo, cervello e cuore la pensano allo stesso modo, ma il cuore, che vuole avere l’ultima parola (lo adoro per questo), accende un ricordo, e tutti i ragionamenti fatti vengono cancellati. Il ricordo risale a una quarantina d’anni fa. A cavallo di Ferragosto, il Bologna ha in programma un’amichevole a Ferrara. Mio padre è il direttore sportivo del Bologna, “deve” esserci, o forse no, “vuole” esserci, perché quando riesci a fare della tua passione la tua professione non esiste più coercizione. Morale della favola: è caldo, come è sempre stato caldo d’estate a Bologna (e quindi smettetela di rompere i maroni). Io e lui, a casa, ad annoiarci. A un certo punto, l’illuminazione: leggendo Stadio, scopre che quel pomeriggio si corre a Ferrara. Io neanche sapevo che ci fosse l’ippodromo, a Ferrara. “Che ne dici, Marco, di partire prima, andare alle corse e poi allo stadio?”. Come dar da bere agli assetati… Partiamo: lui elegante come sempre, perché a rappresentare il Bologna non si va vestiti da straccioni; io sono straccione come un comune adolescente in piena estate, ma in fin dei conti non ho obblighi di rappresentanza. Arriviamo: l’ippodromo è come lo vedete oggi, solo con le tribune agibili (adesso sono “pericolanti” dal 2012…). Intorno a noi, ieri come oggi, aria da sagra paesana; in pista, ieri come oggi, un branco di ronzini, perché i cavalli buoni mica vengono a correre qui col rischio di farsi male. Di diverso, ieri rispetto a oggi, addirittura due picchetti funzionanti, uno con quel simpaticone di Maccaferri, che si mette a bestemmiare se ti appoggi, e l’altro con Cotti, che scrive le quote con una calligrafia da amanuense benedettino. Giochiamo, perdiamo: nessuna novità, d’altronde siamo lì per divertirci, mica per diventare ricchi. A pomeriggio inoltrato, il colpo di scena: mi piacerebbe dirvi che ci siamo arricchiti, invece vi racconto di un cielo che improvvisamente diventa nero e rovescia su Ferrara (noi compresi) ettolitri di pioggia. Siamo fradici: per me non è un problema (per nessun adolescente lo sarebbe); per lui, che deve rappresentare la società, sì. “Dai, Marco, facciamo un salto a casa che devo cambiarmi”. Di nuovo in macchina, stavolta direzione Via Marconi 45, rapido cambio e oplà, eccoci allo stadio. Andiamo negli spogliatoi, si fa avanti quel paravento di Bulgarelli, il capitano, che ridacchiando ci saluta: “Buonasera, ragioniere, sa che dal pullman mi era sembrato di vederla andare verso Bologna? Ho pensato che non ci volesse veder giocare…”. Mio padre non rispose, come faceva quando non poteva dire la verità, gli diede un buffetto sulla guancia e tirò innanzi. Giacomino non poteva conoscere la storia, ma aveva capito che era successo qualcosa di imbarazzante e ne aveva approfittato per fare l’asino. Ecco, allora, perché anche oggi ho dato retta al cuore e sono andato all’ippodromo di Ferrara. È stato come se ci fossero Maccaferri, Cotti, Bulgarelli, soprattutto mio padre. Se ti interessa, babbo, oggi non ha piovuto, neanche una goccia (mannaggia). E ti dirò che ho pure vinto qualche euro: chemmefrega, non ero mica lì per arricchirmi. Ero lì per coccolare un dolce ricordo…

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