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Fortitudo: la prima volta non si scorda mai

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Non abbiamo mai vinto un c****”, così scandisce la Fossa dei Leoni, scimmiottando, nel pieno stile goliardico dello storico gruppo ultras fortitudino, gli sfottò di più nobili e titolati avversari.

Ma anche quella che per una lunghissima fetta di storia dell’Aquila è stata una vera e propria maledizione, era fatalmente destinata ad essere infranta.

L’anno è il 1998, proprio lo stesso che, triste ironia della sorte, nell’immaginario collettivo del mondo biancoblu passerà alla storia come annus horribilis, soprattutto a causa di un infausto fischio del sig. Tiziano Zancanella che deciderà il finale di gara 5 scudetto.

E’ l’epoca di Basket City alla ribalta della pallacanestro continentale e la Fortitudo targata TeamSystem, reduce da due finali consecutive, ormai assomiglia molto più ad una corazzata finanziata dagli investimenti del presidente-mecenate Giorgio Seragnoli, piuttosto che all’umile squadra che lotta per sopravvivere di appena qualche anno prima.

In panchina siede “il Vate” Valerio Bianchini, pluripremiato allenatore inserito nella Hall of Fame del basket italiano, che ancora oggi, ripercorrendo la propria gloriosa carriera, rimpiange di non aver potuto guidare fino a fine stagione quella squadra: in estate, al top scorer Carlton Myers, erano stati aggiunti il campione d’Europa David Rivers, i nazionali Gregor Fucka e Giacomo Galanda, l’ex Virtus Paolo Moretti e, soprattutto, il 9 volte NBA All Star Dominique Wilkins.

In quegli anni, il formato della coppa nazionale è molto più articolato di quello attuale: vi prendono parte tutte le squadre di serie A1 e A2, con match di andata e ritorno partendo da fine agosto con i sedicesimi di finale. La Fortitudo, seconda classificata nella stagione precedente, accede direttamente agli ottavi, dove si sbarazza facilmente di Montecatini con una doppia vittoria, replicata anche nei quarti di finale contro Varese. Appuntamento dunque a fine gennaio per le final four che andranno in scena al PalaMalaguti di Casalecchio, all’epoca promiscuo campo di casa per entrambe le bolognesi: e il calendario di semifinale prevede proprio il derby con la Kinder.

La Virtus che si presenta quel 31 gennaio, in seguito ad un profondo restyling dall’anno precedente, è capolista in campionato, con un ruolino da schiacciasassi di 16 vittorie su 17 gare; la Fortitudo però segue a ruota e spinta dalla volontà di vendicare la partita di fine novembre, persa per un solo punto.

Contro ogni pronostico della vigilia, l’Aquila, guidata da un super Rivers, gioca un derby di grandissima solidità ed autorevolezza, rallentando solo nel finale con l’uscita per falli del proprio playmaker, ma riuscendo comunque a portare la vittoria in porto grazie ad una mano glaciale dalla lunetta: memorabile il 6/6 dell’ex bianconero Moretti nonostante le paroline d’amore che Danilovic gli sussurra all’orecchio mentre si accinge a tirare.

La Virtus è battuta, l’Aquila è in finale e forse, anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo, questa squadra è davvero pronta per spezzare il lungo digiuno.

La conferma arriva l’indomani contro la Benetton Treviso, unica squadra, almeno sulla carta, che avrebbe potuto provare a spezzare l’egemonia bolognese in Italia e che, se mai servisse una dose extra di motivazioni, qualche mese prima aveva vinto il suo secondo scudetto proprio battendo l’Aquila.

La squadra di coach Obradovic resiste fino a metà del secondo tempo aggrappata al talento di Henry Williams, salvo poi crollare sotto i colpi di Rivers, Myers, Wilkins e di un gigantesco Chiacig sotto le plance. Ad un minuto alla sirena finale, il muro dei settemila tifosi biancoblu è già pronto a riversarsi sul parquet: quasi non c’è più distinzione tra campo e tribune e la panchina di coach Bianchini è ormai invasa, in un tripudio di abbracci, lacrime e cori.

Quando il countdown del cronometro si esaurisce, basta un istante perché dilaghi l’euforia generale, tanto che non si riuscirà nemmeno a celebrare sul campo il rituale della premiazione.

L’immagine di Carlton Myers, in piedi sul tavolo dei giudici di gara, che solleva Coppa Italia e trofeo di MVP davanti al suo popolo trionfante, è un’istantanea da incastonare per sempre nelle menti di tutti coloro che hanno l’Aquila nel cuore, spazzando via in un attimo le delusioni accumulate fino a quel momento.

Poco importa che, da lì a qualche mese, un sadico destino deciderà di inferire agli stessi cuori biancoblu alcuni tra i più profondi dolori sportivi mai provati: ma se lo sconforto e l’amarezza, con il tempo, sono destinati ad essere spazzati via, le vittorie restano per sempre scolpite nella storia.

E in fin dei conti la prima volta, anche se non sarà la più bella, non si può davvero scordare mai.

 

Il tabellino della finale:
TeamSystem Bologna – Benetton Treviso 73-55 (36-35)
TeamSystem: Fucka 6, Myers 19, Wilkins 21, Chiacig 12, Attruia, Galanda 3, O’Sullivan n.e., Gay n.e., Moretti n.e.. All. Bianchini
Benetton: Pittis 4, Marconato 2, Bonora 3, Rebraca 13, Williams 25, Sciarra 2, Niccolai, Rusconi 6, Sekunda, Gracis n.e.. All. Obradovic

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