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Christmas Tale – Avventura nella neve

Avventura nella neve – Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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Una domenica d’inverno sulle montagne cuneesi

Cammino accanto a lui.
Sono due le cose che mi sono sempre piaciute: camminare e stare insieme a lui. Lui che mi guarda. Lui che mi sorride. Ed io che mi sento felice.
Intorno a noi solo monti. E bianco. Così bianco che se ti fermi a guardarlo per un po’ quasi ne rimani abbagliato, visto che il sole di inizio inverno manda i suoi raggi a riflettersi sulla neve la quale si scioglie facendo sprofondare un pochino i nostri piedi.
Camminiamo. A fatica ma camminiamo. Non fa molto freddo, anche se, di tanto in tanto, da quelle montagne si alza un vento piuttosto fastidioso che spazza la vallata. Un vento strano. Un vento caldo. Troppo caldo, visto che siamo in inverno.

Mi allontano di qualche passo. Lo guardo da pochi metri. Lui mi sorride, mi chiama, mi chiede di avvicinarmi. Le sue parole sono confuse. All’improvviso, un rumore si alza dalla montagna. Un rumore che non avevo mai sentito e che spero di non sentire mai più. Un rumore che mi incute una grandissima paura, più di quando di notte c’è il temporale e si sentono i tuoni sempre più vicini.
Lui invece sembra non accorgersene e continua a sorridere. Probabilmente il vento tira dalla parte opposta. Probabilmente…. non so. Vorrei avvisarlo, ma lui non riesce a sentirmi. Maledizione! Perché? Perché non riesci a sentirmi?!?
Alzo gli occhi. Vedo che qualcosa si muove sulla montagna al di sopra di noi. Sembra neve che si è staccata e che ora scende velocemente verso la valle. Si vedono blocchi di neve enorme. Si vedono sbuffi di vapore che sembra fumo bianco, ma che fumo non è. Mi ricorda quella volta in cui, dovevamo essere in Liguria, vidi per la prima volta il mare. Ma non era quel mare calmo che si vede nelle foto che mettono sui muri per la pubblicità, ma un mare in tempesta. Un mare che faceva paura. Molta paura, almeno a me che non ero abituata a vederlo.

Il rumore diventa sempre più insopportabile. Ora anche lui se n’è accorto. Guarda la montagna e si accorge che tutta quella neve si sta dirigendo verso di noi. Sembra lenta, ma in realtà è velocissima. Forse troppo veloce per noi.
L’istinto mi dice di correre verso la montagna, in direzione opposta. Anche lui cerca di correre. Lo vedo. E’ dietro di me di qualche metro. Ma è lento, troppo lento. Continuo a correre. Poi mi fermo, mi volto, guardo verso di lui. Dovrei tornare indietro, cercare di aiutarlo, trascinarlo via da lì, penso.
Ma all’improvviso il bianco ed il silenzio scendono anche su di me.

Sono viva. Questa è l’unica cosa che so. Sono anche sana? Forse sì, visto che mi sembra di reggermi normalmente in piedi sulle mie gambe. Certo sento molto freddo ed ho dolori dappertutto. Ma credo sia normale dopo che una montagna di neve ti si è scaraventata addosso.
Per un attimo mi sento sollevata, ma dura poco. All’improvviso il panico si impossessa di me. C’è troppo silenzio qui. Che fine ha fatto lui? Volgo lo sguardo in tutte le direzioni ma non vedo e non sento nulla. Solo monti. E neve. E silenzio.
Io sono viva, certo, ma lui è la sotto. Sepolto sotto una coltre di neve. Forse è morto. Forse è ancora vivo, anche se non riesco a sentirlo. Ma se non mi sbrigo a tirarlo fuori da lì, morirà di sicuro. Non si può certo campare a lungo là sotto al gelo, senza cibo e senza nulla da bere se non la neve stessa. E se lui muore muoio anch’io. La mia vita non ha senso senza di lui. La mia vita non è niente senza di lui. Se era scritto che lui doveva andarsene così, almeno il destino poteva portarci via entrambi. Questo penso.

Mi avvicino al punto nel quale l’ho visto per l’ultima volta. Capisco che lui è lì sotto, anche se non riesco a comprendere se sia ancora vivo. Cerco di chiamarlo: niente. Cerco di scavare nella neve per vedere se riesco a tirarlo fuori in qualche modo: niente. Mi sento stanca e disperata. Non mi resta altro da fare che starmene qui a vegliarlo, in attesa che scenda la notte e che il freddo e la fame portino via anche me.
Freddo, fame, neve e presto arriverà anche il buio. La notte porterà via tutto quello che resta di me. Tutto quello che resta di noi. I nostri ricordi. Le nostre storie. Le nostre vite.

E se fosse ancora vivo? D’improvviso, mentre sto per addormentarmi sulla neve, vengo colta da questo pensiero. E se fosse ancora vivo? Questa voce continua a rimbombare nella mia mente come un tamburo che non la smette di battere. No, non posso permettermi di arrendermi così se lui fosse ancora vivo. Devo fare qualcosa. Devo assolutamente muovermi da qui e andare alla ricerca di qualcuno che ci possa aiutare.
Una ricerca disperata, lo so bene. Non ho la minima idea di dove ci troviamo. Il sole se n’è andato e tra un po’ farà buio. Il tempo inizia anche a peggiorare. Ma io non ho niente da perdere. Proprio niente. Morire per morire è meglio farlo andando alla ricerca di aiuto, piuttosto che arrendermi senza neppure combattere.

Mi guardo intorno. Cerco di capire quale sia la direzione da prendere. Se solo riuscissi a raggiungere il paese più vicino, potrei incontrare qualche persona, indurla a chiamare i soccorsi, farla venire qui per tirarlo fuori da là sotto. Ma è una parola. Come ho detto non ho la minima idea di quale sia la direzione da prendere. Ancora una volta mi affido all’istinto e, anche se le forze sono poche visto che non tocco cibo da ore, mi metto in movimento seguendo le tracce che stamattina avevamo lasciato sulla neve. Cammino prima lentamente, poi in maniera più convinta.
Mi infilo nel silenzio delle montagne. Sento che la totale ed oscura disperazione di prima comincia ad essere squarciata da un piccolo raggio di sole.

Anche il silenzio si squarcia. D’improvviso percepisco un rumore di passi. Sarà qualche animale, penso. Qualche bestia pericolosa alla disperata ricerca della cena che, in mancanza di meglio, si accontenterà di queste quattro ossa infreddolite.
Sento che il rumore si avvicina. Capisco che sono delle persone. Sì, delle persone che parlano tra di loro, anche se io non riesco a capire quello che si stanno dicendo. Quelle persone potrebbero essere la mia salvezza, la nostra salvezza. Eccole. Ora le vedo. Sono laggiù in fondo alla valle, apparentemente vicine, ma in realtà piuttosto lontane. Devo cercare di farmi notare, di farmi sentire, di attirare la loro attenzione. Se ci riesco, magari mi vengono incontro ed io potrei a condurli là dov’è accaduto l’incidente.

“Ehi…riuscite a sentirmi?!?…sono quassù…..aiutoooo….ho bisogno di voi!”cerco di urlare. Ma niente. Questo maledetto vento soffia nella direzione opposta ed impedisce alla mia voce di arrivare fino a loro. Cerco persino di far cadere verso valle un mucchio di neve. Se solo uno di loro si voltasse, forse potrebbe vedermi e sarei salva.
In effetti, uno di loro, il più giovane, dà l’impressione di aver sentito qualcosa. Si volta, guarda dietro di sé quasi nella mia direzione. Quasi, appunto. Non riesce a vedermi, si volta nuovamente e prosegue la sua marcia insieme a tutto il resto del gruppo. Tra non molto loro potranno rilassarsi al caldo delle loro case, mentre io continuerò a starmene qui persa nella neve e nell’oscurità che ormai tutto avvolge.

La tentazione di arrendermi è forte e si impossessa nuovamente di me. Ma non posso e non voglio fermarmi adesso. Ho camminato per ore e forse, dico forse, nella direzione giusta. Certo le forze sono sempre di meno, il freddo aumenta e inizia anche a scendere qualche fiocco di neve. Ma devo continuare a resistere. Fino a che le mie forze non mi abbandoneranno completamente. A quel punto morirò, ma almeno potrò dire di non avere rimpianti. Morirò ma saprò di averle tentate tutte. Fino all’esaurimento delle mie poche forze. Fino alla fine.

Continuo a camminare nella direzione verso cui mi sto muovendo da tantissimo tempo. Continuo a non vedere nessuno. Ogni tanto percepisco qualche rumore. Credo che siano semplicemente degli animali, non so. Tanto, anche se un lupo o qualche altra bestia mi dessero la caccia cosa avrei da perdere a questo punto? Assolutamente niente, questo è chiaro.
Sento che ormai sto per mollare. Le forze non ci sono più. Ora mi metto qui e riposo un attimo, penso; ben sapendo che fermarsi vorrebbe dire morire.
E’ proprio in quel momento che, alzando gli occhi davanti a me, mi pare di scorgere una luce. Una luce seguita da un rumore che sembra proprio quello di una macchina. Poi ancora una luce, e lo stesso rumore di prima solo un po’ diverso. Ma certo! Quella che si vede là in fondo è proprio una strada! Se la raggiungo sono a posto, penso dentro di me.

Utilizzo le ultime energie che ho in corpo per raggiungere la strada. Una strada asfaltata bella larga che porta a non so quale paese. Per alcuni minuti attendo lungo la strada che arrivi qualche automobile, ma non si vede niente. Poi, all’improvviso, ecco due fari e il rumore di motore. Una macchina bianca bella grande si intravede là in fondo. Cerco di farmi notare, ma questa, ammesso che mi veda, prosegue per la sua strada ancora più forte di prima. Passano altre macchine, ma questi maledetti, quando mi vedono, anziché rallentare accelerano. Niente da fare. Pensavo che raggiungendo la strada avrei ottenuto anche la salvezza, ma evidentemente non era così. Purtroppo.
Ma questa strada dovrà pur portare da qualche parte, se ci passano tutte quelle macchine, penso tra me e me. Se seguo la direzione delle auto arriverò ad un qualche paese, prima o poi. Certo. Prima o poi, ma chissà quanto prima e quanto poi.
Comunque continuo a camminare. Ad un certo punto vedo delle luci sullo sfondo. Una chiesa e qualche casa illuminata a festa, visto che siamo nel periodo del Natale. Non ci sono dubbi: quello è proprio un paese! Adesso riuscirò di sicuro a farmi notare da qualcuno. E troverò il modo per trascinarlo sul luogo in cui è avvenuta la valanga. A salvarlo. Forse.

Mi avvicino al portone di una delle case all’inizio del paese. Dal fatto che sia illuminata capisco che dentro ci dev’essere per forza qualcuno. Cerco in tutti i modi di farmi sentire, finché finalmente la porta si apre. Appare una signora abbastanza anziana, con una faccia rotonda e rossa. Subito ho l’impressione che voglia chiudere la porta e cacciarmi via. Io, intanto, continuo ad agitarmi per dirle che mi serve aiuto, che lassù c’è un uomo intrappolato sotto la neve e che potrebbe essere ancora vivo. La donna chiama un’altra persona: un uomo corpulento che indossa una camicia a quadrettoni e porta una barba ispida. Lui mi guarda. Mi ascolta. Capisce.

Vedo che si attacca al telefono e, dopo qualche minuto, arrivano altri due uomini. Anche loro grandi e grossi come lui. Tutti e due hanno con sé un cane di quelli grossi che, mi hanno detto una volta, sanno come fare a trovare una persona sepolta sotto la neve.
Saliamo tutti su una macchina enorme, che però è diversa dalle altre macchine, perché non sa andare sull’asfalto ma sulla neve ci va eccome!
Io ricordo perfettamente la strada che ho fatto per scendere fino al paese dove ho trovato gli uomini che mi stanno aiutando. Li guido senza esitazione nel punto in cui è accaduto l’incidente. Anche se subito non sono sicura di esserci arrivata, perché mi sembra strano che ci abbiamo messo così poco tempo a raggiungere quel punto, mentre io per arrivare al paese ci ho impiegato diverse ore. Ma il luogo è quello, non ci sono dubbi.
I cani scendono dalla macchina e iniziano ad annusare ed a scavare. Gli uomini, che prima avevano  messo in macchina delle grosse pale, scavano a loro volta. E anch’io cerco di dare una mano per come posso, visto che ormai di forze me ne sono rimaste ben poche. Scavano, scavano per lungo tempo, finché…..finché ecco che si vede affiorare dalla neve una mano….poi un piede…..poi tutto il corpo….il mio cuore batte talmente forte da scoppiare: è lui! E’ proprio lui!

Quasi non riesco a controllare i miei movimenti. Devo andare da lui. Devo vedere se è ancora vivo. Devo abbracciarlo. Baciarlo. Uno degli uomini cerca di tenermi lontana, ma io gli faccio capire che è meglio lasciarmi libera di andare da lui. Dal mio grande amico che è rimasto là sotto e che forse è ancora vivo.

Intanto dal cielo si sente un rumore forte, ma diverso da quello del tuono e anche da quello della neve che si sposta e copre ogni cosa. Si sente anche un forte spostamento d’aria. Alzo gli occhi e vedo un grosso volatile che non avevo mai visto prima. Un volatile strano e rumoroso che si posa sulla neve. Da esso scendono due uomini vestiti di bianco che si avvicinano al mio amico portando una valigetta. Lo guardano. Lo toccano, mentre io me ne sto in disparte perché capisco che loro sono quelli che potrebbero salvarlo. Poi, uno dei due uomini fa di sì con la testa, mentre l’altro tira fuori dalla valigetta dei pezzi di metallo che non riesco a capire a cosa servano. I due uomini si mettono ad armeggiare come per montare qualcosa. E quel qualcosa diventa presto un lettino. I due uomini fanno salire il mio amico sul lettino e si dirigono verso lo strano volatile di prima.

“E’ ancora vivo! Forse ce la farà!” urlano rivolgendosi verso di me o forse verso gli uomini del paese che sono venuti fino qui.

Il volatile si mette a far girare le pale che ha sopra la testa e si lancia verso il cielo mentre io lo guardo andarsene verso non so dove.

L’uomo della casa giù in paese, quello che mi ha capita e che ed è venuto fin qui con me, mi si avvicina. Mi mette una mano sulla testa e mi accarezza.

“E’ ancora vivo! Se la caverà! Ed è tutto merito tuo! Ora andiamo a mangiare qualcosa che sarai sicuramente affamata!”

Io lo guardo dritto negli occhi. Vorrei sorridere come lui, ma non sono in grado di farlo. Però guaisco e muovo la coda. Sono certa che lui saprà capire che lo sto ringraziando e che in questo momento mi sento davvero felice come mai lo ero stata prima nella mia vita.

Uscito precedentemente su www.toronews.net nel Natale del 2011

 

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