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Calcio

La Grande Ungheria: il Miracolo di Berna – 28 Dic

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Siamo all’ultimo atto della nostra storia, la fine amara della Grande Ungheria, l’Aranycsapat, la Squadra d’Oro. Dopo la vittoria dell’Olimpiade (La Grande Ungheria: Formazione della squadra ed Olimpiadi – 07 Dic), dopo l’umiliazione degli inglesi (La Grande Ungheria: Le sfide con l’Inghilterra – 14 Dic) e dopo aver dominato il Mondiale del 1954 fino alla finale (La Grande Ungheria: Il Mondiale di Svizzera 1954 – 21 Dic), davanti ad una formazione non alla sua altezza, ormai il destino sembra segnato: l’Ungheria vincerà il Mondiale. E invece no. Ecco il Miracolo di Berna.

 

Ci eravamo lasciati pronti per la finale del Mondiale 1954, che avrebbe  dovuto incoronare l’Ungheria come Campione del Mondo. Gli avversari della “Squadra d’Oro” sono infatti i tedeschi occidentali, che dopo essere stati umiliati per 8 a 3 proprio dai magiari appena due settimane prima hanno passato il turno stendendo per 7 a 2 la Turchia ed hanno quindi superato la Jugoslavia ai quarti di finale (2 a 0) e l’Austria in semifinale con il rotondo punteggio di 6 a 1. Nonostante queste convincenti prestazioni, la critica è unanime nel ritenere l’Ungheria la sicura vincitrice finale, visto il fresco precedente tra le due squadre, l’imbattibilità magiara che come detto dura da ben quattro anni – con in mezzo le lezioni di calcio rifilate agli inglesi – e il diverso spessore degli avversari incontrati.
Sebes non sa se schierare Puskás: “il Colonnello” manca proprio dalla gara contro i tedeschi per infortunio, sembra aver recuperato ma sulla sua tenuta fisica non può dirsi sicuro. Alla fine si fa convincere da Kocsis (che lamenta marcature personali troppo rigide in assenza del compagno di reparto) e dallo stesso Puskás, che non vuole mancare nel giorno in cui l’Ungheria passerà alla storia del calcio issandosi sul tetto del mondo. Va detto che la scelta di schierare “il Colonnello” non è accettata da alcuni compagni, che ritengono che debba giocare la finale chi se l’è guadagnata e chi soprattutto può garantire una perfetta tenuta fisica, e anche se la parola di Sebes è legge è significativo che la squadra non sia più così unita come quando il torneo iridato è cominciato.

Il 4 luglio del 1954, al “Wankdord Stadion” di Berna, sotto gli occhi di 60.000 spettatori e dell’arbitro inglese William Ling, va in scena una partita che è destinata ad entrare nella storia del calcio. Il  mattino un forte acquazzone ha bagnato il campo (leggenda vuole che alcuni inservienti svizzeri, per conto dei tedeschi, abbiano ulteriormente bagnato il terreno di gioco con degli idranti) rendendolo molle e pesante e quindi più adatto al gioco della Germania Ovest, che tecnicamente è ben lontana dallo splendore magiaro ma che fisicamente è forse superiore e che quindi in un campo del genere si trova avvantaggiata. La pioggia è poi nota in Germania come “il tempo di Fritz Walter”, visto che il fenomenale capitano dei tedeschi, colto da malaria in giovane età, era rimasto infastidito dalla luce solare e dava il suo meglio quando il maltempo imperversava. Ex-prigioniero di guerra, sopravvissuto ai campi di prigionia, Walter è un giocatore fantastico, completo e di gran classe, il vero leader in campo della squadra di Herberger, di cui é il fedelissimo.

Puskás smentisce inizialmente chi sostiene sia in precarie condizioni fisiche (pur se continua a zoppicare in modo evidente) segnando dopo appena 6 minuti il gol del vantaggio magiaro, gol bissato pochi minuti dopo da Czibor, abile ad approfittare di un pasticcio tra Kohlmeyer e il portiere Turek. Cronisti e tifosi tedeschi, con la squadra sotto di due reti dopo nemmeno dieci minuti di gara, sono funerei: hanno perso la guerra, hanno perso nei gironi, perderanno anche questa partita, e bisogna solo sperare che il passivo non sia troppo pesante.

Invece, inaspettatamente, la Germania Ovest torna in partita. Lo fa senza perdersi d’animo e continuando a giocare con calma, conscia che la gara dura 90 minuti: prima Morlock (10° minuto) sfrutta un errato retropassaggio di Zakariás a Grosics e accorcia le distanze, quindi al 18° minuto il talento discontinuo Helmut Rahn trova il pareggio deviando un calcio d’angolo battuto magistralmente da Fritz Walter.
Ma cosa succede agli ungheresi? Cosa accade alla più grande squadra mai vista?
Nonostante il gol iniziale,  Puskás non è al meglio della condizione e si vede, tocca pochi palloni e senza la libertà mentale di chi sta bene fisicamente. Il terreno pesante, inoltre, non solo ha svantaggiato gli eleganti palleggiatori magiari livellando la disparità tra le due squadre, ma ha dato il pretesto ai tedeschi di sfoggiare delle nuove scarpette da calcio dotate di tacchetti removibili: regolando la dimensione ed il numero di questi, si possono avere prestazioni migliori su campi proibitivi. L’autore di questa fenomenale invenzione è Adolf “Adi” Dassler, creatore della Adidas e che può dire di essere entrato in questo modo nella storia del calcio.
Più che passa il tempo e più appare evidente che l’Ungheria non è più così smaccatamente superiore ai rivali, che oltretutto sono esaltati dall’aver azzerato il doppio svantaggio in così poco tempo. Ci si mette anche la sfortuna, che al 23° fa si che la botta a colpo sicuro di Hidegkuti si stampi sul palo anziché terminare la propria corsa in rete. Il primo tempo si conclude con il punteggio di 2 a 2, i tedeschi sono carichi come molle ma l’Ungheria è decisa a non interrompere il proprio sogno, la propria imbattibilità, a mezzo passo dal traguardo.

Nel secondo tempo i magiari scendono in campo decisi a regolare una volta e per tutte gli stoici tedeschi occidentali. Al 60° stupenda azione corale dei magiari: Hidegkuti lancia Kocsis, dribbling a rientrare di “Testina d’Oro” e palla a Puskás in mezzo all’area avversaria. “Il Colonnello” è acciaccato, ma la classe è cristallina: “velo” che spiazza la difesa tedesca, in corsa arriva Tóth che però vede il proprio tiro a colpo sicuro respinto prima da Turek e poi da Kohlmeyer, con i due che si fanno perdonare così l’errore che aveva portato al secondo gol ungherese. La partita si infiamma, l’Ungheria ha il predominio, coglie una traversa con Kocsis di testa ma si espone ad un letale contropiede tedesco con Grosics che è miracoloso su Rahn, che in Nazionale ha abbandonato la lunaticità che ne contraddistingue le prestazioni solitamente. Puskás gioca da fermo, ma la sua classe è immensa: lancio telecomandato per Czibor, il portiere tedesco Turek ci mette una pezza, la palla finisce sui piedi di Hidegkuti che tira immediatamente ma coglie solo la base esterna del palo. È il preludio all’epilogo del match, che giunge del tutto inaspettato: un cross dalla trequarti è respinto fuori area dalla difesa ungherese, Rahn raccoglie la palla al volo, finta il tiro con il destro, rientra e piazza il pallone di sinistro alle spalle di Grosics. Siamo all’84° minuto, la Germania Ovest è in vantaggio per 3 a 2!

La reazione della “Grande Ungheria”, la squadra imbattibile, è furiosa. Pochi minuti dopo Puskás si avventa con le ultime forze che le precarie condizioni fisiche gli lasciano su un lungo lancio in profondità di Bozsik e supera Turek di sinistro. È gol, ma l’arbitro Ling annulla per un fuorigioco che ai più appare inesistente tra le veementi proteste ungheresi. C’è ancora tempo per un’ultima azione, Czibor triangola con un compagno e spara a botta sicura in rete, ma Turek si supera e con i pugni devia il pallone in calcio d’angolo, esaltando i tifosi tedeschi presenti tra cui il telecronista Herbert Zimmerman, che lo aveva definito precedentemente “un Dio del calcio”.

Quando l’arbitro fischia la fine dell’incontro il pubblico è attonito, gli ungheresi esausti giacciono sul campo mentre Fritz Walter solleva quella Coppa Rimet che ormai i magiari credevano loro e che hanno visto sfumare invece a pochi minuti dalla fine, nella sola sconfitta patita in quattro anni, per giunta dopo essere stati in vantaggio di due reti.
La delusione in patria è forte, i giocatori tornano a Budapest ma vengono accolti freddamente dal Presidente Rákosi, mentre la stampa di regime già monta casi: Grosics finirà in carcere per presunto spionaggio, mentre il CT Sebes dovrà difendersi da accuse infamanti e assurde (tra cui quella di aver fatto giocare Tóth solo in quanto amante della propria figlia, che per giunta ha appena 11 anni) e vedrà il proprio appartamento in piazza Baross devastato dai tifosi delusi. Rifiuterà di dimettersi ma dovrà farlo due anni dopo, ai primi risultati negativi di una squadra tornata nel frattempo fortissimo, benché segnata nello spirito dalla cocente delusione rimediata in Svizzera.

Ed eccoci alla fine. I carri armati sovietici che invadono Budapest e soffocano la rivoluzione nel sangue, i migliori giocatori della Honved che trovandosi all’estero impegnati nella seconda edizione della neonata Coppa dei Campioni (dalla quale vengono estromessi al primo turno dall’Athletic Bilbao) si trovano in un limbo e quindi decidono di abbandonare il Paese – e di conseguenza la Nazionale. Restano Grosics – nel frattempo riabilitatosi – Bozsik, Hidegkuti e pochi altri, ma la “Squadra d’Oro” è ormai svanita e ai Mondiali di Svezia del 1958 esce al primo turno in un girone non irresistibile, superata non solo dai padroni di casa ma anche dal modesto Galles. Kocsis e Puskás trovano rifugio in Spagna, uno nel Barcellona e l’altro nel Real Madrid. “Testina d’Oro”, che viene raggiunto da Czibor, vince due Campionati, due Coppe di Spagna e una Coppa delle Fiere prima di suicidarsi gettandosi da una finestra nemmeno cinquantenne dopo aver scoperto di avere un cancro allo stomaco. “Il Colonnello”, affiancato al mitico fuoriclasse argentino  Di Stefano, conquista sei titoli nazionali e ben tre Coppe dei Campioni prima di iniziare una carriera da allenatore giramondo che lo porta in Nord e Centro America, in Europa, Medio Oriente e Australia. Torna nel 1993 in Ungheria, dove muore di polmonite nel 2006 all’età di 79 anni.

Grande è l’eredità che la “Grande Ungheria” lascia al calcio, nonostante il sogno mondiale sia stato interrotto dalla volitiva (e, si dirà in seguito, dopata) Germania Ovest: un gioco così spettacolare come fino ad allora non si era mai visto, un gruppo di fuoriclasse abili in tutte le fasi di gioco che ha impartito lezioni di calcio a tutto il mondo. La “Squadra d’Oro” rimarrà nei libri di storia come una grande incompiuta, ma anche come quella squadra che rivoluzionò il calcio, segnando un punto di svolta da quello che il “football” era stato fino alla sua comparsa e quello che è stato dopo la sua disgregazione.

Ferenc Puskás“Dietro alle nostre vittorie non c’erano molti segreti. Giocavamo per il piacere di farlo, tatticamente non esistevano soluzioni particolarmente innovative. La  filosofia era quella, semplicissima, di buttare la palla in fiondo al sacco, sempre e comunque. È vero, gli anni Cinquanta sono stati segnati da molti cambiamenti nell’impostazione tattica delle squadre, e anche noi ne fummo influenzati. Ma la Honved non si è mai persa troppo dietro a questi discorsi teorici. Cercavamo il risultato con naturalezza, impegnandoci fino allo spasimo, correndo fino all’ultimo respiro, senza mai risparmiarci e senza troppe  alchimie tattiche.”

Ferenc Puskás

 

 

In passato abbiamo già trattato di alcuni temi relativi a questa partita, se vi interessa approfondire ulteriormente l’argomento potete leggere anche: “Il Miracolo di Berna”, spartiacque tra due ere – 20 Mar e Cinema nel Pallone: “Il Miracolo di Berna” – 23 Mar. Per approfondire l’argomento del Mondiale 1954, vi consigliamo invece di leggere anche La Grande Ungheria: Il Mondiale di Svizzera 1954 – 21 Dic e I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (5^ puntata): Svizzera 1954

 

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