Basket
17 Gennaio: il punto su Basket City. Tra polemiche e speranze
Con la vittoria di ieri sera a Bayreuth la Virtus Segafredo ha raggiunto il proprio secondo obiettivo stagionale su tre, dando una risposta ai tanti censori – alcuni dei quali addirittura in società – che a cavallo del periodo natalizio avevano avviato le litanie tanto care a certa Bologna perennemente insoddisfatta. È ancorché vero che non si sono raggiunti traguardi esaltanti: alle Final 8 di Coppa Italia la Virtus accede come ottava, in coppa attualmente è prima nel girone, matematicamente annessa alla fase successiva, ma restano ancora troppe partite per imbastire il racconto definitivo di questa avventura europea. È chiara peraltro una cosa, ovvero che la squadra non può fare a meno di Kelvin Martin. Non tanto perché da quando è tornato ci sia stato un quattro su quattro sul piano delle vittorie (prima del suo infortunio la Virtus era a due su cinque in campionato, seppur quattro su quattro in coppa), quanto perché la sua presenza in campo, per l’intensità, la concretezza, l’energia che trasmette, trasforma la squadra, tornata ad essere il bel giocattolino di inizio stagione. Ma è giusto che una squadra dipenda tanto da un solo giocatore? Non si può negare poi che avere inserito Yanick Moreira abbia mutato alquanto le cose: la sua presenza in area, sia in attacco che in difesa, ha dato nuove certezze a una formazione che non avrebbe nel proprio dna la consistenza difensiva, grazie in particolare al paio di tentacoli impressionanti coi quali arpiona palloni su palloni. Quindi prima si erano sbagliate alcune scelte? Domenica si apre invece il girone di ritorno, in campionato, con la Virtus che ha collezionato otto vittorie e sette sconfitte, ha vinto in pratica solo con le squadre attualmente dietro di lei in classifica, se si eccettua il “colpo” ad Avellino, ha subito sedici punti più di quelli fatti; se si aggiunge che in Coppa Italia al novanta per cento l’avventura finirà al primo turno contro Milano, verrebbe da considerare come non si tratti di statistiche ragguardevoli, anzi.
Tutto questo dovrebbe lasciare il tifoso perplesso?
Io credo di no, perché bisogna dare il tempo, alle cose, di maturare. Non scordiamoci che questa è un’avventura in fieri, che occorre avere pazienza perché i risultati, per arrivare ma soprattutto essere duraturi, richiedono passaggi pressoché fisiologici. La Virtus che si direbbe voglia costruire Zanetti dovrebbe assomigliare a quella di Porelli: vogliamo ricordare che per arrivare allo scudetto ci mise anni di preparazione, che lasciò maturare poco alla volta i propri giovani senza stravolgere l’ossatura della squadra con la quale ripartiva dagli spareggi per non retrocedere, modificandone un tassello alla volta stagione dopo stagione? Così rinacque il mito. Col tutto subito magari si ottiene un risultato estemporaneo (qualcuno ricorda l’Eurochallenge?), poi si torna nell’anonimato di tornei da mezza classifica. E qui subentra la questione Pajola, in prospettiva quella Camara, e, chissà, magari uno Jurkatamm o un Oxilia. Ai giovani bisogna dare fiducia, perché crescano; occorre farli giocare permettendo loro di sbagliare senza sentirsi costantemente sull’orlo del taglio. Buffo sentire, dopo la partita contro Lubiana, i commenti entusiasti sul diciottenne Samanic, presumibilmente futuro campione per le doti che ha mostrato di possedere: se fosse stato di Bologna e avesse sbagliato, come ha fatto, il tiro e l’azione decisivi, sarebbe stato messo sulla graticola per la sua “inadeguatezza”, come oggi si sente dire che, se vuoi vincere, Pajola va sostituito con un play esperto. Se vuoi vincere oggi, o per diversi anni in futuro? Cantù vinse lo scudetto nel ’68, poi inserì in quintetto i neanche ventenni Marzorati e Della Fiori e si accontentò di tornare a vincere cinque anni dopo, ma lo fece per un decennio consecutivo, sia in Europa che in Italia, dove aveva rivali terribili. Così fanno le squadre di rango che non hanno petrolieri annoiati alle spalle. Così speriamo che faccia la Virtus, ignorando le chimere di effimere soddisfazioni transitorie, che non potranno, tra l’altro, essere mai troppo consistenti per la differenza strutturale con le corazzate europee. Non trascurando il fatto che i giovani, per crescere veramente, devono fare esperienza ai livelli più alti, perché se ti adatti alle misure di una serie inferiore potrai diventare un campione in quella dimensione, ma difficilmente sarai in grado di fare il salto, gli esempi in tal senso sono infiniti, le eccezioni si contano sulle dita di una mano.
Un passo alla volta, dunque, con pazienza e l’entusiasmo che questa squadra riesce già ad alimentare in talune occasioni.
In casa Fortitudo, invece, il discorso da fare sembra sempre più il contrario: giusto veder crescere l’entusiasmo per quanto sta accadendo e con la promozione già quasi in mano con tanti mesi di anticipo. Solo un suicidio, ora, potrebbe negarla, dato che le avversarie stanno palesando tutte, più o meno, difetti strutturali o di mentalità. Però, attenzione, proprio questo diventa il momento della riflessione più complessa, quella su come impostare il futuro. Il salto di categoria di una squadra perfetta per l’A2 potrebbe rivelarsi doloroso se non si dovessero avviare per tempo le strategie migliorative, illudendosi che una cavalcata trionfale possa fare da viatico a una soddisfacente salita di livello. Gli anni recenti hanno evidenziato che è tutt’altro che impossibile confermarsi anche al piano superiore, ma con un rinnovamento dell’organico adeguato che richiede un progetto tecnico finanziariamente cospicuo e in molti casi sacrifici emotivi nei confronti degli eroi della promozione. Per quanto, ora come ora, sia giustificato anche godere del bel momento che vive la squadra, il più bello certamente da quasi un quindicennio, grazie a scelte finalmente oculate sia nei giocatori che, forse soprattutto, in panchina.
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