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Calcio

La Grande Ungheria: Le sfide con l’Inghilterra – 14 Dic

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La settimana scorsa abbiamo iniziato il ciclo di articoli sulla Grande Ungheria, l’Aranycsapat, la Squadra d’Oro. Siamo partiti dalla nascita e dalle Olimpiadi del 1952 (La Grande Ungheria: Formazione della squadra ed Olimpiadi – 07 Dic), mentre nell’articolo di oggi, vi parliamo delle sfide tra Ungheria e Inghilterra, che seguirono la vittoria delle Olimpiadi, e del “calcio socialista” che fece tremare gli inventori del football.

 

Nello scorso articolo abbiamo parlato di “calcio socialista“. Ma cos’è il “calcio socialista”?
Visto con gli occhi di oggi, in fondo, niente di particolare: tutti i giocatori in campo partecipano ad entrambe le fasi di gioco, prodigandosi nel recupero del pallone e – a volte un istante dopo – proiettandosi nella metà campo avversaria in fase offensiva. Ma quel che ai nostri occhi oggi appare la normalità, per quei tempi è rivoluzione, pura utopia.

Davanti al portiere Grosics, Sebes ha arretrato il tecnicamente modesto Zakarias al fianco di Lóránt, mossa che permette agli esterni Buzánszky e Lantos di dedicarsi a compiti più prettamente di supporto; Bozsik è rimasto nel suo ruolo di centromediano, mentre le due ali Tóth e Czibor sono state arretrate di qualche metro, nel vivo dell’azione, in modo da permettere agli interni di centrocampo di proiettarsi in avanti agendo come vere e proprie punte. La chiave di volta è Nandor Hidegkuti, che partendo davanti a Kocsis e Puskás finisce per arretrare alle loro spalle. Trovatosi libero dal marcatore diretto che non può seguirlo fino a centrocampo per non lasciare sguarnita la difesa, può servire i compagni nel frattempo avanzati o concludere egli stesso. Come detto un idea rivoluzionaria, che trasforma il “Sistema” (equiparabile ad un 3-2-2-3 moderno) in un antesignano del 4-2-4 (per approfondire questi moduli vi consigliamo: Moduli: dalla Piramide alla Clessidra – 12 Ott) e del “Calcio Totale” (per approfondire l’argomento del “Calcio Totale”, vi consigliamo: Moduli: Calcio Totale e Tiki Taka – 23 Nov) che vent’anni dopo gli olandesi faranno proprio, pur se il suo fautore Rinus Michels non farà mai mistero di essersi ispirato proprio ai magiari. Il risultato in campo è strabiliante per bellezza ed efficacia, e pur mostrandosi una squadra estremamente offensiva sono poche le azioni di contrattacco che chi affronta Puskás e compagni può imbastire, preso com’è dal cercare – spesso invano – il modo di contenere gli avversari. E se è vero come è vero che Sebes è sorretto in questa sua idea da una generazione di calciatori fortissimi casualmente nati tutti in quegli anni in un piccolo Paese quale è l’Ungheria, è altrettanto vero che dietro c’è un idea ben precisa: la “Squadra d’Oro” infatti non vuole limitarsi a vincere, ma deve stravincere, esportando nel mondo il socialismo attraverso il pallone.

L’Inghilterra ne percepisce l’immensa forza a Wembley, il tempio del calcio, il 25 novembre del 1953 in quella che passa alla storia come “La partita del Secolo: i padroni di casa hanno perso sul suolo amico solo una volta prima di allora – contro l’Irlanda – e quel che rimane del proprio orgoglio di “maestri del football”, minato dalla pessima esibizione ai Mondiali del 1950, è proprio il fatto di essere praticamente imbattuti in casa. Questo per l’alone di “mito” che ancora circonda i suoi giocatori e per il fatto che le rare occasioni in cui si degna di giocare contro qualcuno lo fa alle sue condizioni: che si giochi alla fine di novembre non è un caso, essendo questo il periodo più freddo e piovoso in Gran Bretagna, un clima al quale i calciatori inglesi sono ben abituati a differenza di chi arriva da fuori. L’Inghilterra, che può schierare una formazione con molti fuoriclasse, pecca però di superiorità: negli anni ha sempre rifiutato di adeguarsi a moduli tattici e sistemi di allenamento stranieri, ed è per questo che si schiera con l’ormai vetusto “Sistema” inventato da Herbert Chapman, un modulo a “WM” che vede i giocatori rigidamente legati ai dettami tattici del proprio ruolo di competenza. L’Ungheria (che si presenta appunto da Campione Olimpica e imbattuta da ben 24 gare) ha invece come detto mutuato il “Sistema” inglese arretrando la punta centrale a fantasista/rifinitore: l’interprete di questo ruolo è Hidegkuti, che si muove sulla trequarti libero da marcature e che dopo appena un minuto gela gli oltre 100.000 spettatori presenti segnando il gol del vantaggio magiaro. La reazione rabbiosa degli inglesi, che pareggiano dopo un quarto d’ora con Sewell, è però disordinata e fisicamente dispendiosa. La truppa di Sebes non si scompone, torna subito in vantaggio ancora con Hidegkuti e poi è Puskás a mettere a segno una doppietta: memorabile il primo di questi gol, con “il Colonnello” (chiamato così per via del ruolo che ricopre nell’esercito ungherese) che umilia con una finta il capitano inglese Billy Wright, bandiera del Wolverhampton e conosciuto ai tempi come uno dei difensori più forti al mondo, che prima della gara riferendosi a Puskas aveva caricato i compagni così: “Vedete quel ciccione? Lo faremo a pezzi, e con lui tutti i suoi compagni…”.

Dopo mezz’ora di gioco l’Ungheria conduce per 4 a 1, e anche se sul finire della prima frazione il mitico Stanley Mortensen riduce le distanze appare chiaro a tutti che la disparità in campo è fin troppo evidente. Nel secondo tempo i magiari segnano due reti (Bozsik e ancora Hidegkuti) e ne subiscono una ad opera di Ramsey, che su rigore segna l’inutile 3 a 6 di una gara che sarebbe potuta terminare con un punteggio ben più ampio, considerando che al termine i tabellini indicano 35 tiri degli ospiti contro gli appena 5 dei frastornati padroni di casa. I cronisti diranno che l’Ungheria gioca “un calcio così bello che 90 minuti non bastano”, mentre Sebes gongolerà ripensando alle parole del Presidente Rákosi, che si era arrabbiato quando aveva scoperto che la gara era stata fissata temendo una figuraccia inevitabile contro “i maestri del football”. 

Sebes sapeva però che razza di squadra aveva tra le mani, la stessa che qualche mese prima aveva annientato l’Italia nella gara d’inaugurazione dello “Stadio Olimpico” di Roma per 3 a 0, finendo con il ricevere un ovazione da parte dei tifosi avversari.

“Oggi abbiamo visto uno stile di gioco, degli schemi, una squadra che non avevamo mai visto prima. Non conoscevamo Puskás, non sapevamo nulla di questi fantastici giocatori, pare che siano marziani. Sono venuti in Inghilterra, sono venuti a Wembley, non avevamo mai perso a Wembley, pensavamo che questa partita finisse 3-0, 4-0 o addirittura 5-0, l’Inghilterra che umilia un piccolo stato. E invece siamo stati umiliati, la nostra difesa veniva trafitta ogni istante, il nostro modulo è risultato impotente contro la loro brillantezza di gioco. Prima di questa partita pensavamo di essere i padroni del calcio, professori che insegnavano a giocare agli altri, ora siamo solo semplici alunni.”

L’Inghilterra non ci sta, esige la rivincita, a Budapest, per rendere pan per focaccia. Tatticamente, ancora una volta per superbia, non cambia niente: nonostante i pareri discordanti di importanti manager come Matt Busby, Don Revie, Bill Nicholson e Ron Greenwood. L’allenatore Walter Winterbottom, nonostante il deludente Mondiale del ’50 e la pesante scoppola casalinga rimediata proprio dai magiari, viene lasciato al proprio posto dalla FA, che è convinta che in fondo quel giorno di novembre a Londra semplicemente i “maestri” erano in una giornata-no.
Non cambia la mentalità inglese, non cambiano i moduli in campo, non cambia l’esito finale. Lantos, Puskás e Kocsis firmano tre reti nel primo tempo, con i frastornati “Leoni di Sua Maestà” che non sembrano azzeccarne una e che stavolta crollano anche sul piano mentale: il secondo tempo è un massacro, ancora Kocsis, poi Hidegkuti e Tóth portano il punteggio sul 6 a 0, esaltando i 90.000 spettatori presenti al Népstadion di Budapest. L’Inghilterra trova il gol della bandiera con Broadis, ma viene colpita ancora da Puskás pochi istanti dopo. Risultato finale: 7 a 1, peggior sconfitta (tutt’oggi) della Nazionale Inglese, che forse realizza in quel momento che è giunta l’ora di smetterla di guardare tutti dall’alto in basso. L’Ungheria, dal canto suo, capisce che negli imminenti Mondiali che si giocheranno in Svizzera la vittoria è il solo risultato possibile: del resto non solo hanno sconfitto “i maestri del Football” ma gli hanno letteralmente impartito una lezione di rara bellezza ed efficacia.

Si, i Mondiali del 1954 sono il prossimo obbiettivo di quelli che da quel giorno vengono chiamati dagli inglesi “The Mighty Magyars”, “i mitici magiari”, che tra i vari meriti che in seguito gli andranno ascritti hanno anche quello di aver svegliato (a suon di reti) gli inglesi dal proprio supponente letargo costringendoli a confrontarsi con il resto del mondo calcistico. Si sentono, in un certo senso, già Campioni del Mondo, gli ungheresi, e del resto è legittimo: prima dell’inizio dei Mondiali sono reduci da 28 gare senza sconfitte, ne hanno vinte 24 segnando la bellezza di 119 reti e subendone appena 26. Numeri impressionanti che non lasciano spazio ad alcun dubbio: l’Ungheria, alla vigilia di “Svizzera 1954”, è la squadra più forte al mondo.

 


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