Calcio
La Grande Ungheria: Formazione della squadra ed Olimpiadi – 07 Dic
Con l’articolo di oggi, il primo di quattro che usciranno ogni domenica, iniziamo la storia della Grande Ungheria, l’Aranycsapat, la Squadra d’Oro. La squadra che trasformò il calcio “antico” in quello “moderno”, e che servì da ispirazione ai più grandi interpreti del calcio mondiale successivi allo squadrone magiaro. Oggi parleremo della creazione della squadra e della sua prima grande vittoria: le Olimpiadi del 1952.
Forse, in quella che è la storia della squadra che ha cambiato il calcio trasformandolo in quello che è adesso, si può cominciare il racconto dalla fine. È il 23 ottobre del 1956: in Ungheria scoppia la rivolta contro la dittatura di Mátyás Rákosi, autodefinitosi “il miglior discepolo ungherese di Stalin” e leader del Paese per conto dell’Unione Sovietica. In quel momento la più forte squadra ungherese (e forse la più forte squadra al mondo), la Honved, si trova fuori dai confini nazionali per una tournée mondiale: molti dei suoi membri, tra cui i grandissimi Puskás, Czibor e Kocsis, decidono di non rientrare più nel Paese, preferendo l’esilio.
Finisce così, sotto i carri armati sovietici che invadono Budapest, il mito della più grande Nazionale che il calcio abbia mai conosciuto, “l’Aranycsapat“, la “Squadra d’Oro“ che per quattro anni aveva tenuto lezioni di calcio ovunque nel mondo, fallendo solo l’appuntamento più importante, quello con la gloria, quello che l’avrebbe consegnata alla storia in modo ancora più evidente di quanto non sia comunque accaduto.
Del resto la storia del calcio, come ci insegnerà anche vent’anni dopo l’Olanda del “calcio totale” (che da quell’Ungheria attinge molto) non sempre la fanno i vincitori, se non nella mente ristretta di chi crede al risultato sopra ogni cosa.
Gusztáv Sebes non la pensava così: si era ritrovato per le mani, da fresco CT, una generazione di giovani campioni che avrebbero potuto giocare qualsiasi tipo di “football”, ma non era abbastanza. Da giovane era stato un buon giocatore, niente di indimenticabile, tuttavia abile abbastanza da vincere tre campionati con l’MTK Hungária FC e da apprendere le basi per quello che poi sarebbe stato il mestiere che gli avrebbe dato fama planetaria, ovvero l’allenatore. Aveva studiato i migliori, trovando i suoi massimi ispiratori nell’italiano Vittorio Pozzo e nell’austriaco Hugo Meisl: il primo aveva vinto due Mondiali con l’Italia, il secondo aveva creato il “Wunderteam” dell’Austria, che aveva giocato quello che forse ai tempi poteva essere definito il più bel calcio mai visto. Entrambe quelle Nazionali si basavano su dei “blocchi”, attingevano cioè la propria rosa da un ristretto numero di club locali. Approfittando della rivoluzione comunista del 1949, che prese il Paese e che pose proprio Sebes sulla panchina della Nazionale, “Zio Guszhi” (come lo chiamavano i propri calciatori) convogliò i migliori giocatori ungheresi in una squadra, che sarebbe servita come “centro di allenamento” per la Nazionale Ungherese e che avrebbe ben presto superato il Ferencvárosi, saccheggiato dei propri talenti anche per via di una storica antipatia al regime comunista appena instaurato.
Inizialmente Sebes si affida al Sistema, che nel mondo ha sostituito quasi completamente il vecchio Metodo, primo vero e proprio “schema” calcistico: se il Sistema si affidava a 2 difensori, 3 mediani, 2 mezzeali e 3 punte (formando così sul campo un ipotetica “WW” o “2-3-2-3”) il Sistema aveva previsto l’arretramento di un mediano in difesa, formando sul campo un “WM” o anche 3-2-2-3, che prevedeva paradossalmente una capacità di attacco migliore proprio in virtù della difesa rinforzata da quello che poi sarebbe stato l’antesignano del “libero” difensivo (per maggiori informazioni su Sistema e Metodo, vi consigliamo: Moduli: dalla Piramide alla Clessidra – 12 Ott).
La squadra era forte, fortissima: in porta agiva Gyula Grosics (che è venuto a mancare nel corso del 2014), uno dei migliori al mondo nel ruolo e unico fuoriclasse di una difesa che per il resto era abbastanza modesta. I “terzini” erano infatti Jeno Buzanszky a destra e Mihaly Lantos a sinistra, rapidi e più portati ad attaccare che a difendere. Le loro frequenti sortite offensive finivano spesso per lasciare il difensore centrale, il poderoso ma lento Gyula Lóránt, in balìa degli attacchi avversari.
Davanti alla difesa due mediani, uno abile soprattutto a distruggere il gioco avversario (József Zakariás) mentre l’altro estremamente completo e fortissimo in entrambe le fasi (offensiva e difensiva): il suo nome era József Bozsik, e a detta di molti era il miglior centromediano al mondo in quegli anni essendo tecnico, potente e carismatico.
Sulla linea di centrocampo agivano sull’ala sinistra il funambolico e incostante (ma letale nelle giornate di grazia) Zoltán Czibor, mentre a destra trovavano spazio l’atletismo e la tenace applicazione tattica di Mihály Tóth. Interni di centrocampo, ovvero nella posizione di quelle che oggi sarebbero un misto tra “mezzali” e “trequartisti”, agivano due campioni veri, completi, abili in tutti i fondamentali e molto portati per il gol: Sándor Kocsis era un giocatore dal fiuto del gol inarrivabile, capace di segnare in tutto 75 gol in 68 gare con la Nazionale e di laurearsi miglior marcatore ai Mondiali del 1954, mentre il suo compagno di reparto era l’impareggiabile Ferenc Puskás, per qualcuno (tra cui il futuro compago al Real Madrid Alfredo Di Stefano) il miglior calciatore di sempre e comunque per molti esperti sicuramente tra i primi 10 interpreti che questo sport abbia mai prodotto: dotato di un sinistro letale, pur non essendo una vera e propria punta avrebbe dato spettacolo in tutta Europa per oltre vent’anni segnando alla fine più di 1000 gol; non a caso, la Fifa premia il miglior gol dell’anno con il Puskás Award. Il centravanti era Péter Palotás, giocatore di gran classe che aveva sostituito il bomber Ferenc “Bamba” Deák, la cui storia merita di essere narrata.
Bomber clamorosamente prolifico, Deák era cresciuto nel modesto club del Szentlőrinci: nonostante giocasse in una piccola squadra, aveva segnato montagne di reti, arrivando a mettere in fondo al sacco ben 66 palloni in una sola stagione prima di passare al Ferencvárosi. Poteva essere l’inizio di qualcosa di grande, ma proprio in quell’anno nacque la Honved, che oscurò le altre squadre ungheresi compresa quella di Deák, che per aperta e manifesta ostilità al regime fu escluso anche dalla Nazionale, dove aveva giocato 20 gare segnando 29 reti. Come detto gli era succeduto Péter Palotás, che non era certo uno sprovveduto: avrebbe giocato e segnato sempre e solo per l’MTK Budapest (“seconda squadra” ungherese ed ex-club dello stesso CT Sebes) prima di ritirarsi prematuramente per dei problemi al cuore che lo avrebbero portato alla morte ancora giovane.
Il problema era che, per quanto la squadra fosse forte e in grado di dire la propria su ogni campo, Sebes sentiva che si poteva fare di più. La difesa ad esempio, con le già citate sortite offensive di Buzanszky e Lantos, risultava essere spesso tremendamente fragile, in mediana Zakariás non parlava lo stesso linguaggio tecnico di Bozsik e in attacco Palotás, per quanto bravo, non valeva certo Deák. Inoltre, per dirla tutta, Sebes da bravo uomo di regime non si accontentava di vincere: contava anche il “come”, bisognava trovare un’idea rivoluzionaria, che rendesse la Nazionale ungherese unica e che ne traducesse, in campo, lo spirito. Nacque così l’idea del “calcio socialista“, il cui architrave sarebbe stato un altro giocatore dell’MTK, un uomo destinato a cambiare per sempre il ruolo di centravanti. Il suo nome? Nándor Hidegkuti.
Giocatore dalla classe sopraffina, Hidegkuti giocava benissimo con il proprio club ma ogni volta che finiva in Nazionale si trasformava: teso, nervoso, fuori dal contesto dell’MTK – dove era senz’altro una delle maggiori stelle – finiva per risultare spesso e volentieri addirittura un peso. Era senz’altro un problema di testa, e dopo aver scartato altre soluzioni Sebes, che non voleva rinunciare alla sua classe, si inventò un escamotage che sarebbe passato alla storia: non potendo seguire la squadra in un amichevole che precede le Olimpiadi di Helsinki del 1952, consegna al suo vice, Gyula Mándi, la formazione da utilizzare (con Palotás al centro dell’attacco) e una busta chiusa, da aprire solo pochi minuti prima dell’incontro. Il giorno della gara (avversari i futuri padroni di casa olimpici della Finlandia) Mándi si ricorda della busta solo all’ultimo istante, la apre e vi trova una nota di Sebes. “Hidegkuti gioca al posto di Palotás”, recita la calligrafia del CT. Così Nándor, che nel frattempo si è accomodato in abiti civili in tribuna, viene chiamato in fretta e furia, si cambia e scende in campo: segna due reti e gioca splendidamente, trasformando la squadra. Il segreto? La notte prima della gara, consapevole di non scendere in campo, Hidegkuti – che è molto ansioso – ha dormito serenamente. Nasce così il “calcio socialista” di Sebes. Nasce così la Grande Ungheria, “l’Aranycsapat“, la “Squadra d’Oro“.
Le Olimpiadi (a cui l’Ungheria prende parte con la squadra-base, non essendo il campionato nazionale soggetto a professionismo) vengono stravinte, con i magiari che segnano 20 reti (subendone appena 2) nelle cinque partite disputate, tra cui spicca un sonoro 6 a 0 inflitto ai campioni uscenti della Svezia in semifinale. I giocatori ricevono la medaglia d’oro e vengono premiati con dei fiori consegnati loro dalla prima “Miss Universo” della storia, la 18enne finlandese Armi Kuusela. L’Ungheria è sul tetto del mondo, e viene invitata a dimostrare il proprio valore a Wembley, in Inghilterra, ospite della Nazionale che si vanta di aver inventato il “football” e che pur avendo conosciuto l’umiliazione della sconfitta nei precedenti Mondiali del 1950 (a cui l’Ungheria non ha partecipato per problemi economici) non è mai stata battuta sul proprio campo da una squadra non-britannica.
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