Calcio
Tutto Calcio che Cola #34: Il calcio ricordi i suoi morti (4^ e ultima parte) – 25 nov
Nel mese di Novembre, dove si usa ricordare i morti, vorrei ricordare i calciatori italiani che per i motivi più diversi sono morti durante il loro periodo di attività, per ricordare chi è stato grande e chi non ha potuto esserlo per via del destino. I calciatori sono anche e soprattutto uomini, e come tali soggetti alle fortune e sfortune della vita.
(Prima parte)
(Seconda parte)
(Terza parte)
Antonio D’Angelo era un centrocampista di buona sostanza, che aveva esordito nemmeno ventenne nel Bari – dove era cresciuto – per poi giocarvi per cinque stagioni. Aveva poi indossato le maglie di Salernitana e Taranto, e nel mercato invernale del 1980 era finito al Rende, ambiziosa società cosentina arrivata in C1. Non esordì mai con la nuova maglia, visto che morì in un tragico incidente stradale proprio mentre raggiungeva la sua nuova squadra, ad appena ventisette anni.
Dopo due anni di “pausa”, la morte ritorna all’alba del 1983: vittima Enzo Scaini, “il gigante buono”, poderoso centrocampista amato dalle folle per l’impegno e la devozione, che sopperivano a qualità tecniche che non gli valsero mai l’esordio in Serie A. Scaini fu comunque un buon giocatore da B, diventando un idolo del Sant’Angelo e poi indossando anche le maglie di Monza, Campobasso, Verona, Perugia e Vicenza. Fu proprio indossando la maglia della “Lanerossi” che si infortunò gravemente durante una gara contro il Trento in C1, rompendosi i legamenti. L’operazione di ricostruzione in ospedale riuscì perfettamente, tuttavia circa un’ora dopo l’intervento – per motivi che alla fine sono rimasti nebulosi – morì improvvisamente non ancora trentenne. E purtroppo non è finita qui: alla fine del 1983 scompaiono i due difensori centrali del Lecce, Michele Lorusso e Ciro Pezzella. Assurda la dinamica: i due muoiono in un incidente stradale mentre si recano a Bari, obbiettivo il treno per Varese, dove i salentini avrebbero giocato in trasferta. Il resto della squadra era andato in aereo, ma Lorusso e Pezzella avevano preferito il treno per paura di volare.
Il finire dell’anno si rivela essere fatale anche nel 1987, che vede due scomparse tragiche nelle modalità. Andrea Cecotti, dopo un inizio da giovane promessa nell’Udinese, aveva poi visto la sua carriera normalizzarsi in vari prestiti senza costrutto in giro per l’Italia prima di rilanciarsi con Massese e Alessandria. Nella stagione ’87/’88 tentava il rilancio della Pro Patria quando, durante una gara in trasferta a Treviso, dovette uscire per quel che sembrava un comunissimo fastidio alla gamba: negli spogliatoi però la situazione non migliorò, il fastidio divenne formicolio, il formicolio una semi-paralisi. Condotto in ospedale (diagnosi: trombosi carotidea alla gamba sinistra con conseguente embolo al cervello) entrò in coma irreversibile e morì cinque giorni dopo, venticinquenne, lasciando la moglie e la figlia di pochi anni.
Nemmeno un mese dopo questo shock, ecco la morte annunciata di Bruno Beatrice, “il mastino” che aveva fatto le fortune di Ternana, Fiorentina, Cesena, Taranto e Siena. Era malato da due anni di una gravissima forma di leucemia, che lo aveva trasformato nella pallida e grottesca controfigura del guerriero che era una volta. Successivi casi di malattia accaduti ad altri compagni nella Fiorentina fecero insospettire la procura di Firenze, che indagò sull’abuso di farmaci e raggi Roentgen che avvenivano nel club Viola in quegli anni. Fortemente indagato fu l’allenatore di allora, Carlo Mazzone, ma poi come purtroppo spesso accade in Italia il tutto finì in una bolla di sapone per la sopraggiunta prescrizione, visti i lunghi tempi del processo.
Nel 1989 è la volta di Donato Bergamini, talentuoso centrocampista del Cosenza che una sera, improvvisamente, abbandona il ritiro del club e viene ritrovato morto sulla statale 106 Jonica. Si parla da subito di suicidio: il giocatore, apparentemente senza motivo, si sarebbe gettato sotto le ruote di un camion in corsa, morendo sul colpo dopo essere stato trascinato per diverse decine di metri. Archiviato in fretta e furia, il caso viene riaperto dall’ex-calciatore Carlo Petrini, che nel suo libro “Il calciatore suicidato” del 2001 cita tutte le contraddizioni che fin da subito non avevano convinto amici, familiari, tifosi e compagni di squadra. Attualmente la morte di Bergamini è di nuovo agli atti di legge, passata da suicidio a omicidio, di cui è fortemente sospettata la fidanzata d’allora, Isabella Internò.
Nel 1994 a morire sono due giovani attaccanti, entrambi in incidenti stradali: a gennaio tocca al ventiquattrenne Francesco Pisicchio, mezzapunta che stava facendo la gavetta tra seconda e terza serie. Rientrando da una discoteca si schianta con l’auto morendo insieme a due amici. A ottobre è invece la volta di Giuseppe Campione, talento precoce (esordio in A a nemmeno 16 anni) del Bologna in prestito alla S.P.A.L., che è vittima di un incidente mentre al volante dell’auto c’è il compagno Antonio Soda.
Il 1995 verrà ricordato invece come l’anno della scomparsa di Andrea Fortunato, giovanissimo talento che nel ruolo di terzino sinistro sembra poter essere alla Juventus l’erede di Antonio Cabrini: esploso nel Genoa, con i bianconeri (che lo acquistano per la bella cifra di 10 miliardi di lire) è subito protagonista di un’ottima annata, mentre nella seconda stagione subisce un’involuzione netta e improvvisa che viene spiegata poi con la scoperta di una gravissima forma di leucemia. Fortunato lotta un anno prima di spegnersi, ad appena 24 anni, creando sgomento nei tanti appassionati di calcio che vedono così morire un giovane campione.
È giovanissimo anche Federico “Chicco” Pisani, talento esploso nell’Atalanta, che ad appena 23 anni muore nel 1997 in un incidente d’auto con la compagna e a cui viene poi intitolata la curva nord dello stadio bergamasco. Tragica e prematura anche la fine di Niccolò Galli, che a 17 anni si schianta su un guard-rail perdendo il controllo del proprio motorino nei pressi del centro tecnico del Bologna, dove gioca nelle giovanili dopo esperienze a Torino, Parma, Fiorentina e Arsenal. Il figlio dell’ex-portiere della Nazionale Giovanni Galli muore per via di un tubo d’acciaio lasciato in posizione pericolosa, diversi responsabili vengono individuati e condannati ma poi – triste leit-motiv – sopraggiunge la prescrizione che annulla tutto. Di lui rimane un gran ricordo in tutti, soprattutto nel compagno Fabio Quagliarella, che sempre in carriera indosserà il numero 27, il numero di “Nicco”, peraltro ritirato in segno di lutto dal Bologna.
L’anno successivo è ancora un incidente a portarsi via sia il potente attaccante congolese del Chievo Jason Mayélé che il difensore del Brescia Vittorio Mero, un lutto quest’ultimo che porta all’annullamento della gara di Coppa Italia delle rondinelle contro il Parma che si sarebbe svolta proprio pochi minuti dopo la fatale notizia. Questi lutti, accaduti a due giocatori di Serie A, fanno passare in secondo piano la successiva morte, ancora per colpa di un incidente, del difensore del Thiene Massimiliano Ossari, che porta il bilancio dei morti del 2002 a tre.
Per quasi due anni il calcio non deve più piangere nessuno, poi nel dicembre del 2004, poco prima di Natale, arriva l’ennesimo incidente, complice la nebbia, che si porta via il centrocampista Andrea Tagliaferri, che gioca con la Carrarese. Assurda invece la scomparsa di Federico Crescentini, cresciuto nel Piacenza e nazionale sanmarinese: nell’inverno del 2006 il giovane si trova ad Acapulco, Messico, in vacanza con un’amica quando un onda anomala li travolge portandoli al largo. Istruttore di nuoto, Crescentini riesce a salvare la ragazza, ma poi scompare nell’oceano, risucchiato dalle onde. Il suo corpo viene ritrovato dopo due giorni. Aveva 24 anni, la stessa età di Gionata Mingozzi, che nel 2008 muore schiantandosi contro un autoarticolato dopo aver perso il controllo del suo mezzo, stroncando così prematuramente una carriera che lo aveva visto raggiungere anche la Sampdoria.
Il 2012 è invece l’anno in cui il calcio piange il suo ultimo morto, uno dei più noti, Piermario Morosini: cresciuto in mezzo a incredibili difficoltà (i genitori muoiono presto, il fratello disabile si suicida, la sorella – anch’essa disabile – gli rimane a carico) Morosini mette nel calcio tutta la rabbia e la determinazione che derivano da una vita difficile. Non è un fenomeno ma è forte, fisicamente e caratterialmente, raggiunge l’Udinese che lo gira poi a varie squadre in prestito. L’ultima tappa è Livorno. Muore indossando la maglia amaranto durante una partita contro il Pescara, accasciandosi improvvisamente in terra per una inaspettata crisi cardiaca. Viene trasportato in ospedale – non senza qualche difficoltà – ma i medici non possono che constatarne il decesso, giunto per via di una rara cardiopatia genetica. La sua è l’ultima morte a sconvolgere il mondo del calcio, che da allora decide di dotare ogni stadio di un defibrillatore e che intensifica i controlli sulla salute dei calciatori, per evitare di dover piangere altre morti.
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