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La tragica storia di John Thomson, il principe dei portieri – 23 ott

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A guardarlo bene, quel ragazzino che lavorava in miniera non aveva certo il fisico di un portiere. Eppure qualcuno lo definiva un fenomeno, una cosa mai vista. Steve Callaghan, scout per conto del Celtic Glasgow, era giunto in quel piccolo paesino di minatori vicino a Fife esclusivamente per lui. Lo aveva visto ergersi sopra a tutti in una partita di poco conto quando il Wellesley Juniors aveva affrontato il Denbeath Star.
Quel ragazzino di diciassette anni, che al termine della gara firmò per la squadra più importante di tutta la Scozia, era John Thomson. In molti pensavano che sarebbe diventato un campione ma nessuno poteva immaginare che sarebbe divenuto una leggenda del calcio.

Correva l’anno 1926 e la vita del giovane John era arrivata a una svolta: dire addio a un futuro che per molti in paese era già scritto – lavorare in miniera – e andare nella grande città, Glasgow, a difendere i colori di quella che si stava affermando come la più grande squadra scozzese.

Erano anche i tempi in cui il football, benché già molto popolare, non era ben visto da tutti: la madre di John, in particolare, lo considerava uno sport brutale e violento e aveva sempre cercato di dissuadere il figlio dal praticarlo. John, tuttavia, non poteva certo rinunciare a questa grande occasione.
Non era alto né aveva il fisico di un portiere nemmeno per gli standard dell’epoca. James Boyle, un amico, lo aveva descritto così: “[Thomson] aveva un corpo sottile e asciutto e se si girava di lato si riusciva a vederlo a malapena”. Il suo fisico esile che gli proferiva agilità e i suoi costanti allenamenti lo resero però capace di compiere interventi che lasciavano a bocca aperta chiunque lo vedesse giocare, e che in breve tempo gli fecero guadagnare il soprannome di “Principe dei portieri”.

Nel 1927, appena maggiorenne, complice una prestazione negativa del portiere titolare Peter Shevlin, che aveva preso tre reti evitabili nella larga vittoria dei Celtic contro il Brechin City per 6 a 3, arrivò il debutto in prima squadra: l’allenatore Willie Maley non ebbe alcun dubbio nel promuoverlo titolare, poiché sin dalla prima partita (contro il Dundee) le sue prestazioni furono impressionanti. Mantenne il proprio posto tra i pali, aiutando la sua squadra a raggiungere il secondo posto finale in campionato dietro i Rangers Glasgow e diventando determinante nella vittoria della Coppa di Scozia, ottenuta superando in finale per 3 a 1 l’East Fife, squadra rappresentante la zona dove era nato e cresciuto. 

Quelle piccole mani (“mani d’artista”, le definì il compagno di squadra e leggenda del Celtic, Jimmy McGrory) compivano già miracoli tra i pali, in un calcio che allora proteggeva il portiere meno di adesso sui duri contrasti che il ruolo richiedeva: ma oltre ad essere un fenomeno tra i pali, Thomson si distingueva anche per l’enorme coraggio che lo spingeva a gettarsi in uscita sui piedi degli attaccanti avversari e a compiere pericolosi tuffi da un palo all’altro, spesso sfiorando i sostegni della porta.
Il suo biografo, Tom Greig, scrisse nel suo libro “My search for Celtic’s John”: “Thomson aveva piccole mani con dita forti e sottili. Possedeva anche una grande forza nei polsi e negli avambracci. La combinazione di questi attributi fisici fu la base per le sue straordinarie capacità di parata e presa.”

Nel 1928 le sue magistrali prestazioni nell’Old Firm, il derby contro i Rangers, gli valsero fama nazionale. I giornalisti erano concordi nel trovarsi di fronte a un predestinato, qualcuno che sicuramente avrebbe rappresentato il futuro della Scozia tra i pali. Il suo coraggio era ai limiti dell’incoscienza, esaltava la folla ma lo portò anche a prendersi dei rischi che prima o poi avrebbero presentato il conto: nel 1930, in una gara contro l’Airdrieonians, si procurò un infortunio che gli costò la perdita di due denti e la frattura della mandibola e di alcune costole. A un amico che gli chiese cosa gli passasse per la testa nel compiere certi interventi al limite, Thomson rispose da vero portiere, da vero scozzese: durante il gioco i suoi occhi erano fissi sul pallone e l’istinto lo portava a tentare di conquistarlo a tutti i costi. In seguito a questo tremendo infortunio, la madre tentò di dissuaderlo dal continuare a giocare ma il piccolo grande eroe dei Celtic riprese il proprio posto tra i pali e appena quattro mesi dopo arrivò la prima convocazione in Nazionale, in una gara che la Scozia vinse facilmente per 2 a 0 contro la Francia. Il 25 ottobre del 1930 Thomson difese i pali del suo Paese nella sfida contro il Galles, prima gara del Torneo Interbritannico che si svolgeva tra i Paesi membri del Regno Unito: finì 1 a 1, mentre nel 1931, nella seconda gara del Torneo, arrivò un pareggio a reti bianche contro l’Irlanda del Nord a cui Thomson contribuì in maniera significativa.
L’apice della sua breve carriera internazionale arrivò qualche mese dopo contro l’Inghilterra del fortissimo centravanti “Dixie” Dean: nonostante una grande pressione territoriale, gli inglesi vennero bloccati da questo piccolo ma fortissimo portiere di neanche ventidue anni, che frustrò ogni tentativo di andare a segno dei Leoni di Sua Maestà. Gli scozzesi agirono di rimessa, segnarono due reti e vinsero, agganciando così l’Inghilterra in cima alla classifica e vincendo il Torneo a pari merito proprio con i Maestri.

L’ultimo squillo di tromba nella carriera di John Thomson fu la seconda vittoria nella Coppa di Scozia che il Celtic conquistò sconfiggendo in una doppia finale il Motherwell. Quell’estate la squadra si imbarcò in una tournée negli Stati Uniti, dove Thomson riscuoté un grandissimo successo, venendo definito il miglior portiere del mondo da molti che lo videro all’opera in alcune parate davvero impressionanti. Si dice che l’Arsenal fosse interessato al suo acquisto, ma né il Celtic né Thomson sembrarono davvero intenzionati a portare avanti una trattativa. Quel piccolo portiere tolto alle miniere dall’occhio lungo del manager dei Celtic, infatti, era ormai un eroe nazionale, fidanzato con Margaret, figlia di un noto imprenditore, e meditava di mettere radici a Glasgow.
Il futuro non poteva sembrare più luminoso.

Durante un Old Firm, l’antico derby di Glasgow tra le due squadre più forti di Scozia, i cattolici Celtic e i protestanti Rangers, tutto cambiò improvvisamente. Thomson e i compagni non avevano alcun timore reverenziale nonostante gli ottantamila scatenati tifosi dei Teddy Bears, sul cui campo, “Ibrox Park”, si giocava furiosamente e senza sosta.
All’inizio del secondo tempo Sam English si involò verso la porta dove Thomson uscì a valanga come di consueto nel tentativo di strappargli il pallone dai piedi e finì per impattare violentemente sul ginocchio dell’avversario. La botta fu tremenda, tutto lo stadio trattenne il fiato e si poté udire distintamente solo un grido, disperato, di una donna. Era Margaret, la fidanzata, che assisteva alla gara insieme a Jim, fratello di John, in tribuna. Di quello scontro è rimasta persino una testimonianza video: a 1:09 si può vedere lo scontro e il grido disperato di Margaret.

Il pubblico, dopo un istante di silenzio, cominciò a esultare per l’infortunio del temuto portiere avversario, che non si rialzava. Il capitano dei Rangers, Dave Meiklejohn, si accorse subito di quanto grave fosse la situazione e invitò i propri tifosi al silenzio. Mentre i barellieri lo portavano fuori dal campo, Thomson parve per un attimo riprendere conoscenza, fissando il punto in cui era avvenuto l’impatto.

I dottori tentarono un’operazione ma il ginocchio di English, avendo colpito con estrema violenza la tempia destra di Thomson, aveva causato la rottura di un’arteria e provocato una rientranza nel cranio profonda cinque centimetri.
Alle 21:25 del 5 settembre 1931, appena ventiduenne, John Thomson lasciò questo mondo, suscitando commozione in tutta la Scozia. Due giorni dopo fu proprio Meiklejohn, capitano dei Rangers, a leggere l’omelia funebre in sua memoria nella Chiesa della Trinità di Glasgow. Trentamila persone raggiunsero Cardenden, il villaggio dove Thomson era nato e dove fu seppellito, per l’ultimo saluto.

Sam English, l’autore del contrasto mortale, venne a lungo ritenuto colpevole della morte del giovane portiere nonostante sia la famiglia di John che le autorità concordassero sul fatto che si fosse trattato di semplice sfortuna. Continuamente offeso dai tifosi di ogni stadio in cui si esibiva, finì per trasferirsi in Inghilterra, senza però mai più ritrovare la gioia di giocare a calcio. 

Finì così la storia di questa stella del calcio scozzese degli albori, che con il suo coraggio e la sua abilità conquistò il cuore di chi lo vide giocare e che seppur brevemente brillò, come pochi dopo di lui hanno saputo fare: John Thomson, il guardiano dei pali dei Celtic Glasgow che il destino beffardo strappò ancora giovane da questa terra per consegnarlo alla leggenda.

“Di tutta la galassia di talentuosi portieri che hanno giocato nel Celtic, il compianto John Thomson fu il più grande. Fu raccomandato al club da un amico del Fife, lo osservammo e ne fummo tanto impressionati da ingaggiarlo quando ancora era un adolescente. Era il 1926. L’anno successivo diventò il nostro portiere titolare e presto fu considerato tra i più bravi del Paese. Purtroppo, la sua carriera doveva finire presto. Nel settembre 1931, giocando contro i Rangers all’Ibrox Park, ebbe un incidente che gli fu fatale. Eppure poté giocare abbastanza da guadagnarsi i più alti onori che il calcio può dare. Un ragazzo amabile, modesto e senza pretese, popolare ovunque andasse. Il suo talento di portiere lo mostrò superbamente in campo. Mai ci fu portiere capace di raccogliere i lanci più violenti con tanta grazia e facilità. In tutto ciò che faceva c’erano un equilibrio e una bellezza dei movimenti da guardare con meraviglia. Tra i ‘Celt’ scomparsi, egli occupa un posto speciale.”

(Willie Maley, allenatore dei Celtic Glasgow dell’epoca)


“Un giovane ragazzo chiamato John Thomson
da Wellesley Fife egli arrivò
per giocare nei Celtic Glasgow
e farsi un nome

Nel quinto giorno di settembre
contro i Rangers egli giocò
dalla sconfitta salvò i Celtic
ah! ma che prezzo pagò!

La palla rotolò nel mezzo
il giovane John corse e si tuffò
La palla rotolò via: il giovane John rimase a terra
Per il suo club questo eroe morì

Ho fatto un giro a Parkhead,
Al caro e vecchio Paradise,
E quando i giocatori sono usciti,
Le lacrime sono sgorgate dai miei occhi.

Per un famoso volto che mancava,
dalla brigata bianca e verde,
E mi hanno detto che Johnny Thomson,
aveva giocato la sua ultima partita.

Addio mio caro Johnny,
Principe dei giocatori dobbiamo salutarti,
Mai più ci alzeremo a incitarti
sui gradoni del Celtic Park.

Adesso i tifosi sono tutti in silenzio,
mentre arrivano da vicino e da lontano,
Mai più inciteranno John Thomson,
la nostra luminosa e splendente stella.

Quindi andiamo, Celtic Glasgow,
alzati e gioca la partita,
Perché tra i pali c’è un fantasma,
Johnny Thomson è il suo nome.”

(“The John Thomson’s Song” – Canto dei tifosi del Celtic)


FONTI:
www.spartacus-educational.com
Willie Maley. Story of the Celtic, 1888-1938. Desert Island Books, 1996

EDITING: Eleonora Baldelli 

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