Calcio
Tutto calcio che Cola #21: “…e alla fine vincono i tedeschi.” – 14 lug
Doveroso ultimo numero dedicato ai Mondiali 2014, che ieri sera hanno incoronato la Germania come Campione del Mondo FIFA. E mi scuso per la banalità del titolo, tratta da una frase che come molti sapranno disse Gary Lineker dopo la sconfitta ai rigori della sua Inghilterra contro la Germania in quel di “Italia ’90”. “Il football è un gioco semplice. 22 uomini inseguono un pallone, e alla fine vincono i tedeschi.”
Frase da allora abusata ma che però, prima di ieri sera, non aveva poi tanto senso utilizzare: era proprio dal 1990 infatti che la Germania non si issava sul tetto del mondo. Con quello di quest’anno, sono quattro i titoli mondiali vinti (1954, 1978, 1990 e 2014) che vanno aggiunti a quattro finali perse (1966, 1982, 1986, 2002) e ad una serie di piazzamenti che in generale hanno reso quella tedesca la Nazionale più continua della storia di questa competizione.
Non dovrebbe sorprendere quindi l’affermazione di quest’anno, e infatti non sorprende. Ovvi favoriti dopo la scintillante umiliazione inflitta a chi il Mondiale lo organizzava e secondo tutti avrebbe dovuto vincerlo, gli uomini di Löw sono venuti a capo in finale di un’Argentina mai doma ma che certamente lungo tutto il torneo aveva fatto poco per convincere i critici.
E’ comunque la vittoria della Germania, non la sconfitta di Messi. Che ha si fallito l’appuntamento con la storia e con un trofeo che, vinto, lo avrebbe senz’altro messo sul piano degli altri grandissimi del passato, ma che non può essere giudicato per una partita e un errore nell’unica occasione avuta. Il calcio ha la straordinaria capacità di trarre il meglio ed il peggio dalle persone, e ieri sera sono infatti stati moltissimi quelli che hanno festeggiato la sconfitta di Leo, colpevole solo di avere un talento tanto grande da suscitare invidie e frustrazioni. Oggettivamente, giudicare male un giocatore che a soli 27 anni ha vinto fior di titoli, coppe e palloni d’oro segnando valanghe di gol pur non essendo una punta classica è qualcosa che esce dalla critica calcistica per scadere nel qualunquismo più becero.
Ma è ovvio, Messi non ha inciso come tutti ci saremmo aspettati e come gli argentini avrebbero sperato. Incapace di sorreggere da solo tutto il peso del gioco offensivo di una squadra che il tecnico Sabella ha sempre schierato guardinga per ovviare a evidenti limiti difensivi e che l’infortunio di Di Maria ha ovviamente contribuito ad accentuare: il giocatore del Real Madrid, infatti, era diventato ultimamente l’uomo in più dell’albi-celeste, capace di cantare e portare la croce, ed era ovvio che il carneade Perez non avrebbe saputo fare altrettanto. Va pur detto che giocando così maluccio, l’Argentina questo Mondiale avrebbe pure rischiato di vincerlo: se Higuaìn avesse segnato in quella clamorosa occasione, se Messi avesse incrociato meglio quel tiro, se Palacio avesse controllato meglio quel pallone…
La storia non si scrive con i “se”, però. E’ andata come è andata, ma un grande artista va giudicato per quello che sa esprimere nell’arco di un’intera carriera, non per un’opera venuta male.
E’ andata come è andata.
E ha vinto la Germania.
Della quale ora tutti magnificano il progetto a lungo termine, la fiducia nei giovani, la bellezza di un campionato che a dire la verità tutto questo appeal non ce l’ha mai avuto, paragonato a quello inglese o a quello spagnolo. Espressione, questo si però, di un movimento dall’ottimo livello a sua volta espressione di un paese grande, organizzato, dove gli errori o le mancanze vengono individuati e corretti, dove sembra esserci poco spazio per l’improvvisazione. Ma avesse vinto l’Argentina? Avremmo lodato un calcio povero e che vede i propri talenti sempre più giovani espatriare in Europa? Avremmo mostrato entusiasmo per un calcio che da anni non esprime più squadre memorabili e che ha visto cadere in B appena pochi anni fa anche il grande River Plate? Dove la programmazione non supera la stagione?
Germania e Argentina sono arrivate a questa finale del Mondiale seguendo due strade diverse, agli antipodi, eppure la differenza l’ha fatta il gol di Götze a pochi minuti dalla fine. Quando i tedeschi sono stati quelli descritti da Lineker, hanno fatto cioè i tedeschi: freddi, determinati e concentrati fino all’ultimo secondo. Un risultato meritato e certo non frutto del caso, ma che tuttavia non può essere spiegato con un semplice progetto a medio-lungo termine operato dai capoccioni germanici anni fa. Una vittoria che più semplicemente va forse ascritta a chi, come sempre, ha avuto la migliore congiunzione di talento, intuito, tecnica e fortuna, componente fondamentale nel calcio da che mondo è mondo.
Diciamocela tutta: non è stato un bel Mondiale. Il tatticismo è stato esasperato, il fallo tattico una costante – tra l’altro raramente punita – ma certo si può dire che a differenza di qualsiasi altra competizione in questo torneo non c’è spazio per le sorprese. Ad un Mondiale fino ad oggi non è mai avvenuto che una Grecia o una Danimarca della situazione si imponesse. Ci ha provato il Costa Rica, eliminato solo ai rigori da un’Olanda dove ha spiccato la geniale e fortunata intuizione di Van Gaal, che ha cambiato il portiere prima dei tiri dal dischetto ottenendo in cambio parate fondamentali. Il fatto però che l’Olanda abbia faticato così tanto con una squadra sicuramente rivelazione ma in ogni caso abbastanza modesta ridimensiona sicuramente anche l’Argentina, che gli ‘orange’ li ha superati anch’essa solo ai rigori dopo una delle partite più noiose di cui ho memoria.
Ed il 3 a 0 con cui gli olandesi hanno schiantato il Brasile nella finale del 3° posto la dice lunga sia su tutti i limiti (tecnici, caratteriali ed ambientali) dei brasiliani sia sul 7 a 1 che la stessa Germania campione del mondo ha inflitto in semifinale ai padroni di casa. Vera delusione di questo torneo, i brasiliani sono arrivati quarti laddove Italia e Spagna, per dirne due, sono uscite al primo turno. Eppure se bisogna pensare ad una squadra che non ha rispettato le attese, più che agli azzurri e alla “Furie Rosse” si deve guardare agli uomini di Scolari, prigionieri di un’arcaicità tattica che senza abbastanza talento è stata solo resa più evidente: David Luiz è buon difensore ma non può valere certo 50 milioni, i terzini notoriamente non sanno cosa sia la fase difensiva, il povero Fred è stato ingiustamente attaccato ma certo non può ricoprire senza imbarazzo il ruolo che in passato fu di un certo Ronaldo, Julio Cesar sarà un caso ma gioca in Canada. C’è stato Neymar, vero: fino all’infortunio, pur con alti e bassi, il talento del Barcelona si è dimostrato giocatore vero, forse l’unico dei verde-oro insieme a Thiago Silva, non a caso pure lui assente nella disfatta contro i tedeschi.
Brasile deludente anche perché superata la Croazia grazie ad un rigore regalato, ha sofferto contro il Cile rischiando l’eliminazione su tiro di Pinilla, 5 o 6 reti nell’ultima stagione al Cagliari, e avendo la meglio solo ai rigori. E contro la Colombia è parso che Rodriguez (splendido giocatore, ma novità solo per chi il calcio lo segue distrattamente) e compagni avessero un eccessivo timore piuttosto che il merito andasse ascritto ad una squadra che i due gol della vittoria li aveva trovati in modo abbastanza casuale e su calcio da fermo. E chissà come sarebbe andata con Falcao abile e arruolato…
Concludendo, ha vinto la squadra più forte. Su questo possono esserci pochissimi dubbi. Non sempre nel calcio succede, ma succede più spesso di quanto tanti tifosi e appassionati dell’ultima ora siano portati a credere. Ha vinto la Germania dell’insuperabile portiere Neuer, dell’ottimo moto perpetuo Lahm, del giocatore-ovunque Schweinsteiger (per me miglior giocatore del torneo, checché ne dica la FIFA) e di tanti giocatori offensivi dal talento spropositato e dalla completezza tecnica e fisica invidiabile. Götze, l’autore del gol decisivo; Müller, l’attaccante-non attaccante del futuro; Mesut Özil, divino quando in giornata, cosa non avvenuta spesso in Brasile però; gli ottimi Kroos e Schürrle, che a pensare che ogni tanto vanno in panchina (come l’infortunato Reus, altro gran talento) si capisce la forza di questa Germania. Su tutti l‘eterno Miroslav Klose, l’unico “bomber vecchia maniera”, che al suo ultimo Mondiale ha potuto finalmente alzare la Coppa.
La vittoria di Löw e dei suoi arriva dunque meritata, come spesso accade nel calcio e come sempre, alla fine, accade ai Mondiali. E se come detto non sempre una buona programmazione è necessaria per arrivare in alto (Argentina e Brasile notoriamente programmano ben poco, eppure nella storia del calcio hanno vinto) è indubbio però che di sicuro non guasta. A maggior ragione non guasterebbe in un Paese come il nostro, che vive del passato e improvvisa il presente, nel calcio e non solo. E in cui ancora oggi qualcuno si consolerà pensando “però con noi i tedeschi perdono sempre” senza considerare che mentre in Germania Kroos e Götze giocano titolari nel Bayern Monaco che vuole conquistare l’Europa, in Italia Berardi dopo una stagione da 15 gol viene lasciato al Sassuolo da una Juve ansiosa di mettere le mani su Morata. Senza considerare, inoltre, che mentre in Italia si rischia per l’ennesima volta di cambiare (Prandelli, Abete) per non cambiare niente (Mancini? Tavecchio?) in Germania qualcuno si prepara ad un’Oktoberfest anticipata. Sarà un caso?
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