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TOP 11: Le partite più scioccanti nella storia dei Mondiali – 10 lug

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Il clamoroso 7 a 1 con cui la Germania ha sconfitto il Brasile padrone di casa l’8 luglio 2014 entra di diritto nei risultati più clamorosi mai verificatisi in una Coppa del Mondo. Ma in che posizione? Scopritelo nella mia personale classifica delle 11 partite più scioccanti mai giocate ai Mondiali di calcio!

#11 – UNGHERIA b. EL SALVADOR = 10 – 1 (15/06/1982)
Dopo essere stata, negli anni ’50, probabilmente la Nazionale più forte del pianeta, l’Ungheria ebbe un rapido ed inesorabile declino iniziato con l’invasione delle truppe sovietiche nel paese nel 1956 che causò la fuga di molti campioni e proseguito con il mancato ricambio generazionale necessario per rimanere nell’elite del calcio mondiale. El Salvador, d’altra parte, vantava una sola partecipazione ai Mondiali prima di questa gara, ai Mondiali del 1970, conclusa con 0 punti e 0 reti realizzate: l’obbiettivo del piccolo paese centro-americano era quello di migliorarsi, fosse anche realizzare un solo gol. Così, il 15 giugno del 1982, quando le due nazionali si trovarono di fronte nella gara inaugurale del Gruppo B del Mondiale di Spagna, El Salvador partì a testa bassa in attacco. L’Ungheria non era più uno squadrone, ma di certo era superiore tecnicamente e tatticamente all’avversario, e così non le fu difficile sbloccare la gara già dopo 4′ con Niylasi e chiudere i primi 45 minuti sul 3 a 0 in virtù delle reti di Pölöskei e Fazekas. Il secondo tempo vide El Salvador sempre aggressivo e puntualmente infilato dagli attacchi magiari, che però dopo aver segnato altre due volte (con Tóth e ancora Fazekas) parvero fermarsi, quasi impietositi dagli ingenui avversari. Al minuto 64 però ecco che El Salvador segnò: una fuga di Jorge “Màgico” Gonzàlez, uno che in molti giuravano fosse forte tecnicamente quanto Maradona, riuscì in qualche modo a far pervenire il pallone sui piedi di Luis Ramirez Zapata, che da pochi passi non sbagliò. Resosi conto dell’avvenuto, l’attaccante del Deportivo Platense festeggiò con entusiasmo, con i compagni che tentavano di calmarlo temendo la reazione ungherese che infatti non tardo ad arrivare: in poco più di 20 minuti l’Ungheria segnò ancora 5 reti (3 con il neo-entrato Làszlò Kiss, una ancora con Niylasi e una con Szentes) rendendo la festa dei salvadoregni amara. Il 10 a 1 finale, infatti, è il maggior scarto negativo in una gara ai Mondiali. 

#10 – ALGERIA b. GERMANIA OVEST = 2 – 1 (16/06/1982)
Il giorno dopo Ungheria – El Salvador, nel Mondiale del 1982 andò in scena un’altra partita storica: l’Algeria, alla prima partecipazione alla Coppa del Mondo, superò infatti nella sorpresa generale la fortissima Germania Ovest destinata ad arrivare in finale e ad arrendersi solo all’Italia di Bearzot. Sicuramente sottovalutati dai quotati avversari, le “Volpi del Deserto” colpirono a inizio ripresa, quando un bel contropiede mise la punta Belloumi solo davanti al portiere tedesco Schumacher, il quale respinse il tiro ma nulla poté sulla successiva ribattuta in rete di Rabah Madjer, futuro “Tacco di Allah” con proficue esperienze in Europa. Punti nell’orgoglio, i tedeschi reagirono con rabbia e al 67° minuto trovarono il pareggio con Karl-Heinz Rumenigge, lesto a girare in rete un cross rasoterra dalla sinistra di Magath. Proprio quando i teutonici pensavano di aver preso le misure dei sorprendenti avversari, però, arrivò l’incredibile: Salah Assad fuggì sulla sinistra, un minuto dopo il gol di Rumenigge, e mise un cross rasoterra in mezzo all’area dove Belloumi, arrivato di gran carriera, colpì al volo. 2 a 1, e il risultato non cambiò più fino alla fine. L’Algeria perse la successiva gara con il Belgio e poi vinse anche contro il Cile, ma fu eliminata perché nell’ultima gara del girone Austria e Germania si accordarono per l’unico risultato che avrebbe qualificato entrambe in favore degli africani, l’1 a 0 tedesco. Dopo il gol di Hrubesch all’11°, infatti, le due compagini europee si esibirono in una squallida melina con il solo scopo di concludere la gara. La rabbia degli africani fu fortissima, tanto da costringere la FIFA a cambiare il regolamento: le ultime due gare di ogni girone, da allora, si giocano in contemporanea proprio per evitare brogli come quelli avvenuti nella “Partita della Vergogna” che eliminò l’Algeria, “colpevole” di lesa maestà nei confronti dei tedeschi allora già due volte Campioni del Mondo.

#09 – COREA DEL SUD b. ITALIA = 2 – 1 d.t.s. (18/06/2002)
Negli ottavi di finale dei Mondiali del 2002, l’Italia trova i padroni di casa della Corea del Sud. I giornali locali, nei giorni precedenti, danno per sicuro il passaggio del turno dei beniamini locali e, durante la partita, i tifosi coreani esibiscono lo slogan “Again 1966!”, a ricordo dell’1-0 rifilato dalla Corea del Nord agli Azzurri nel mondiale inglese di quell’anno. Nel film ufficiale del mondiale 2002, Trapattoni dichiarerà di ricordare che l’arbitro non rispose ai saluti dei giocatori italiani prima di entrare in campo.
L’incontro inizia e la difesa dell’Italia, senza Nesta che patisce i postumi dell’infortunio e Cannavaro che sconta una giornata di squalifica, vacilla nei primi minuti: la Corea potrebbe approfittarne per andare in vantaggio su rigore al 4º, ma Buffon intuisce la traiettoria del tiro di Ahn e devia in calcio d’angolo. L’Italia si riassesta e va in gol al 18º, con un colpo di testa realizzato da Christian Vieri (al quarto centro personale, nono complessivo ai Mondiali) su calcio d’angolo. Nel secondo tempo, nonostante le difficoltà ambientali e qualche scontro al limite (Zambrotta subisce un brutto fallo da Choi Jin-Cheul e s’infortuna, Del Piero si prende una gomitata a gioco fermo da Kim Tae-Young, Maldini un calcio in testa non sanzionato dall’arbitro, l’ecuadoriano Byron Moreno), l’Italia argina le avanzate coreane e sfiora a più riprese il raddoppio; a due minuti dalla fine, però, Seol Ki-Hyeon pareggia approfittando di una leggerezza di Christian Panucci.
Si va così ai tempi supplementari e Moreno dapprima espelle Totti per simulazione e dopo annulla erroneamente per fuorigioco un gol marcato da Tommasi. Poi, a chiudere la partita, ci pensa Ahn di testa: anche stavolta la difesa azzurra non è impeccabile e a sbagliare è soprattutto Coco che si lascia sfuggire il giocatore del Perugia. Per la Corea del Sud si tratta di un’impresa storica: era dal 1966 che una squadra asiatica non accedeva ai quarti di finale di Coppa del Mondo. Anche quella volta, era stata l’Italia ad essere eliminata e a passare il turno era stata l’altra Corea, quella del Nord. La partita è stata oggetto di discussioni a causa dell’arbitraggio, anche se molti giornali anche italiani sottolinearono i numerosi errori sotto porta da parte degli azzurri: a rendere ancor più controversa la figura dell’arbitro Moreno arriverà una radiazione nel 2003 per altri presunti illeciti durante una gara del campionato ecuadoriano e un arresto nel 2010, quando trovato in possesso di sei chili di eroina all’aeroporto “JFK” di New York, viene condannato a 30 mesi di reclusione.

#08 – GERMANIA EST b. GERMANIA OVEST = 1 – 0 (22/06/1974)
All’appuntamento Mondiale del 1974 che si svolgeva nella Germania dell’Ovest, sia i padroni di casa che i “cugini” della Germania dell’Est erano stati inseriti nel girone numero 1 ed entrambe, prima della sfida “fratricida” si erano già qualificate: i tedeschi occidentali avevano sconfitto Cile e Australia, mentre gli orientali avevano pareggiato con i centro-americani e vinto contro gli australiani. La gara era dunque decisiva solo per stabilire chi sarebbe passato come primo, ma era comunque di grande importanza storica: fu infatti l’unico confronto tra le due Nazionali per tutta la durata della divisione che contrapponeva appunto la parte tedesca filo-americana (Ovest) a quella filo-sovietica (Est) anche se c’erano stati dei precedenti a livello olimpico e giovanile. La gara fu dominata dalla Germania Ovest, destinata poi a vincere il Mondiale grazie a fuoriclasse come Beckhenbauer e Gerd Muller, ma la Germania Est difese con buon ordine e si affidò alle parate del suo estremo difensore Croy e anche alla fortuna, che la salvò dalla capitolazione quando un tiro su cui il portiere non era arrivato colse il palo. Proprio sul finire della gara, però, il difensore Kurbjuweit lanciò la punta Sparwasser che controllò di testa e poi superò in velocità Vogts e Höttges e quindi, giunto di fronte a Maier, segnare il gol della vittoria. Il pubblico ammutolì, mentre la risicata tifoseria orientale (che aveva potuto assistere alla gara grazie a dei permessi speciali del governo, di solito restio a concederli) festeggiava e cantava. Si dice che Sparwasser fu ricompensato al ritorno in patria con un auto e una casa, ma lo stesso attaccante smentì. Quella del 1974 fu l’unica partecipazione ad un Mondiale della Germania Est.

#07 – SENEGAL b. FRANCIA = 1 – 0 (31/05/2002)
La Francia che si presenta al Mondiale del 2002 da campione in carica è una squadra zeppa di campioni. Con un età media di quasi trent’anni, comprende tutti i protagonisti di una rosa che nel 1998 ha conquistato per la prima volta il Mondiale e che nel 2000 si è ripetuta conquistando gli Europei. Sono campioni veri, giocano nei migliori club del mondo e l’undici titolare può vantare oltre 650 presenze in Nazionale. Il Senegal è invece all’esordio in un Mondiale, si è qualificato nella sorpresa generale e la maggior parte dei suoi giocatori appartiene a squadre di basso livello del campionato francese. Francese è anche l’allenatore Bruno Metsu, convertito all’Islam e con lunghi capelli riccioli che lo fanno sembrare un nostalgico della beat generation.
Sulla carta non c’è partita, ma quello che sta per accadere nella partita inaugurale dei Mondiali di Giappone e Corea del Sud dimostrerà che nel calcio il termine “sulla carta” ha ben poco significato.
I campioni di tutto francesi sono infatti una squadra stanca, logorata dai tanti impegni ad alto livello e dalle tensioni interne razziali che erano già presenti dal 1998 ma che venivano messe in secondo piano grazie al carisma dell’allora CT Jacquet e poi, dopo le dimissioni di quest’ultimo, dalla leadership del capitano Zinedine Zidane, che però è assente per infortunio. I senegalesi invece sono una squadra rozza tecnicamente ma fortissima fisicamente e la cui esuberanza è tenuta a bada da Metsu, che si dimostra quindi un bravo stratega e non solo figura pittoresca. La Francia è sorpresa, viene messa alle corde dalla velocità di Fadiga e Diouf ma il palo colto da Trezeguet la illude che sarà una gara in discesa e la induce a sottovalutare l’avversario. Al 30° il Senegal recupera un pallone a centrocampo, Diouf scatta sulla fascia sinistra e centra un cross rasoterra sul quale si avventa con prepotenza in scivolata il colossale centrocampista Papa Bouba Diop: Barthez respinge il tiro come può, ma Diop da terra ribadisce in rete. Il mondo calcistico è sotto shock, la Francia prova a reagire ma senza combinare un granché, il Senegal resiste con tenacia e più il tempo passa e più l’ansia attanaglia i campioni in carica. Quando l’arbitro degli Emirati Arabi Ali Bujsaim fischia la fine si capisce che è finita un epoca per la Francia: i “Bleus” infatti usciranno dal torneo senza segnare un singolo gol e ci metteranno qualche anno a tornare ad alti livelli, mentre il Senegal arriverà fino ai quarti di finale della competizione per poi eclissarsi. L’artefice di quel miracolo, Bruno Metsu, si è spento lo scorso ottobre vittima di un cancro non ancora sessantenne. 

#06 – CAMERUN b. ARGENTINA = 1 – 0 (08/06/1990)
Dodici anni prima di Senegal – Francia, il delitto perfetto si era già consumato ai Mondiali. Stessa vittima (i campioni in carica), stesso killer (una squadra africana) e stesso luogo, ovvero la gara di inaugurazione del torneo. A Italia ’90 l’Argentina si presenta come campione in carica e come una delle favorite: la squadra di per se è buona ma non buonissima, però può vantare tra le sue fila Diego Armando Maradona, miglior giocatore dell’epoca e probabilmente il migliore di sempre. Il Camerun invece gode di credenziali quasi nulle, anche perché se i “Leoni indomabili” vantano già una partecipazione ai Mondiali (1982, fuori al primo turno ma senza sconfitte) è anche vero che mai un’africana ha superato il primo turno. Ci si potrebbe aspettare un massacro quindi, ma quel che i tifosi del rinnovatissimo stadio “San Siro” va contro ogni aspettativa. Certo l’Argentina domina, ma è un dominio sterile e ben poche sono le occasioni da gol per gli albi-celeste. Maradona viene fermato da sistematici raddoppi di marcatura e da interventi energici al limite (e spesso oltre) del regolamento. Il pubblico milanese è tutto per il Camerun, atteggiamento dovuto all’antipatia verso Maradona, idolo del Napoli e per questo inviso ai tifosi del nord. Al 15° della ripresa, per un brutto intervento, viene espulso il difensore Kana-Biyik ma gli africani non demordono. Anzi, pochi minuti dopo (è il 67°) su un cross dalla sinistra deviato dai difensori argentini Oman-Biyik (fratello dell’espulso) vola in cielo: il colpo di testa non è irresistibile a dire il vero, ma il portiere Nery Pumpido ha un’incertezza fatale, il pallone gli sfugge e scivola in fondo alla rete per la gioia incontenibile degli africani. Negli ultimi venti minuti il forcing argentino è sterile e porta solo ad un’altra espulsione per il Camerun quando Massing stende in malo modo Caniggia. Nel finale sono anzi gli africani a sfiorare il raddoppio con Mbouh. Quando la gara finisce la gioia degli africani è incontenibile. Sull’onda dell’entusiasmo, il Camerun passa il primo turno (prima africana di sempre) e arriva fino ai quarti di finale; l’Argentina invece sarà brava a riorganizzarsi e arrivare addirittura in finale, dove si arrenderà solo per un discusso rigore concesso alla Germania Ovest.

#05 – COREA DEL NORD b. ITALIA = 1 – 0 (19/07/1966)
L’Italia si presentava ai Mondiali del 1966 in Inghilterra con gran voglia di riscattare la controversa eliminazione al primo turno patita nel 1962: come CT era stato scelto Edmondo Fabbri, fautore del “miracolo-Mantova” (portato in Serie A dalla Serie D in solo 5 stagioni) che aveva costruito una squadra bella a vedersi e dotata di molto talento. Gli azzurri superarono all’esordio il Cile (vendicando così la sconfitta del 1962) ma giocando non bene, così Fabbri strigliò la squadra e la rivoluzionò, schierando nel secondo impegno contro la solida URSS una squadra senza ne capo ne coda che venne superata per 1 a 0. Non tutto era perduto, tuttavia: nell’ultima gara l’Italia affrontava la debole Corea del Nord, che aveva perso per 3 a 0 contro i sovietici e aveva pareggiato negli ultimi minuti contro il Cile. Bastava un pareggio contro quelli che Valcareggi, inviato dal CT a spiarli, definì “gente che si muove sul campo come tanti Ridolini”. Ma i nordcoreani non erano certo comici: erano si molto mediocri tecnicamente, ma venivano da un ritiro lungo ben tre anni dove avevano affinato al massimo le proprie capacità fisiche e organizzative. Il ritiro era stato voluto dal sovrano Kim Il-Sung, noto per le punizioni a cui sottoponeva chi lo deludeva, e salutando la squadra in partenza per l’Inghilterra il sovrano aveva chiesto “almeno una vittoria o due”. 
Insomma, i nordcoreani erano determinatissimi a vendere cara la pelle e a cercare la vittoria, mentre l’Italia sottovalutò l’impegno: Fabbri mandò in campo Bulgarelli nonostante la bandiera del Bologna fosse malconcio fisicamente, e infatti questi dopo mezz’ora alzò bandiera bianca, lasciando la squadra in 10 visto che ai tempi non erano previste sostituzioni. Per quanto superiori, gli italiani non riuscivano ad avere un gioco convincente e fallirono un paio di palle gol con Perani, mentre i modesti ma volenterosi asiatici con il passare dei minuti da quanto correvano sembravano essere in superiorità non di un solo uomo, ma anche di tre o quattro. Nonostante tutto, però, nessuno si sarebbe aspettato quello che accadde al 42° minuto, nessuno ci avrebbe sperato nonostante buona parte dei tifosi inglesi tifassero Nord Corea anche per la somiglianza delle maglie degli asiatici con quelle del Middlesbrough – dove si svolgeva la gara.
Pak Doo Ik, ricevuta la palla sul centro-destra appena fuori l’area italiana, fece partire un rasoterra su cui Albertosi in tuffo disperato non poté far niente. Gol, 1 a 0. La partita in pratica finì lì, troppo spaesati gli azzurri per reagire, troppo gasati ed energici gli asiatici per mollare. L’Italia fu quindi subito eliminata e al suo ritorno in patria fu accolta con lanci di pomodori dal pubblico inferocito. Si sparse la leggenda che Pak Doo Ik non fosse altri che un dentista, ma molti anni dopo questa cosa fu smentita: colui che giustiziò l’Italia e che diede da allora un nuovo significato alla parola “Corea” era un soldato e in seguito fu un apprezzato professore di ginnastica. 

#04 – GERMANIA OVEST b. UNGHERIA 3 – 2 (04/07/1954)
Due settimane prima di quella finale dei Mondiali del 1954, Germania Ovest e Ungheria si erano già scontrate nel girone eliminatorio: i magiari avevano vinto con il mostruoso risultato di 8 a 3, mostrando al mondo il motivo per cui venivano chiamati “la Squadra d’Oro”. Sotto la guida dell’innovativo CT Sebes, che predicava un antesignano del “Calcio Totale” che sarebbe esploso in Olanda vent’anni dopo, l’Ungheria non solo era rimasta imbattuta per più di tre anni ma aveva umiliato per ben due volte anche l’Inghilterra. Era una squadra leggendaria, che aveva nel cannoniere Puskas e nel fantasioso Hidegkuti le sue stelle più luminose. Era arrivata in finale eliminando Brasile e Uruguay dopo delle vere e proprie battaglie, entusiasmando il pubblico. La Germania Ovest era invece una squadra dove il talento non traboccava ma che aveva la tipica mentalità tedesca che avrebbe permesso al paese di rinascere dalle macerie della guerra : non mollare mai, lavorare sempre duramente, che il lavoro paga. Quando le squadre scesero in campo a Berna, tuttavia, tutti sembravano sapere come sarebbe andata: troppo forte l’Ungheria, quasi imbattibile. E infatti al 6° minuto Puskas, incerto fino all’ultimo per via dei postumi di un infortunio, mostrò perché veniva considerato il più grande bomber dell’epoca superando il portiere Turek e siglando l’1 a 0, bissato due minuti dopo da Czibor, lesto ad approfittare di un pasticcio del portiere, scontratosi con il compagno Kohlmeyer.
La partita sembrava finita, ma invece tutto cambiò. Si dice che furono gli scarpini diversi indossati dalle squadre: gli ungheresi avevano tacchetti fissi, mentre i tedeschi avevano tacchetti intercambiabili più adatti al campo reso pesante dalla pioggia. Si dice che il campo, già pesante per la pioggia, fu abbondantemente innaffiato da un custode simpatizzante Germania per sfavorire i più tecnici ungheresi. Si dice che di mezzo ci fu il doping, visto che molti tedeschi dopo la gara furono ricoverati per dolori al fegato. Si dice.
Quel che si sa è che la Germania alzò la testa e invece di crollare reagì, dimezzando le distanze con Morlock dopo appena due minuti e pareggiando al 20° con Rahn. Uno spettacolo incredibile, 4 gol dopo 20 minuti, un doppio vantaggio annullato, una gara indimenticabile che passerà alla storia come “il Miracolo di Berna”. Perché comunque miracolo fu, con la Germania che fu salvata dalla furia magiara da Turek e da un palo (e, a sentire gli ungheresi, da un arbitro compiacente) e con il gol vincente segnato sempre da Rahn a cinque minuti dal termine. A gara conclusa, gli ungheresi vagavano sotto shock per il campo, mentre i tedeschi potevano per la prima volta dopo anni sentir risuonare il proprio inno e alzare la loro prima Coppa del Mondo. Quella gara segnò la nascita della Germania come superpotenza calcistica ed il declino rapido e inesorabile dell’Ungheria, che non tornò mai più sugli altissimi livelli raggiunti da Puskas e compagni.

#03 – STATI UNITI D’AMERICA b. INGHILTERRA = 1 – 0 (29/06/1950)
Da quando era nata la Coppa del Mondo, l’Inghilterra non si era mai degnata di parteciparvi, considerandosi troppo superiore e concedendo al massimo un amichevole al vincitore del torneo, gara che spesso finiva per vincere un po per le condizioni climatiche in cui questa si svolgeva (tipicamente inglesi) e un po per l’alone leggendario che avevano agli occhi del resto del mondo i calciatori inglesi, “maestri” e inventori del football.
Nel 1950 l’Inghilterra decise finalmente di uscire dal suo isolamento per andare a prendersi la Coppa del Mondo, e lo fece allestendo una squadra zeppa di campioni come Mortensen, Finney e il primo “Pallone d’Oro” della storia Stanley Matthews. Dopo aver sconfitto in scioltezza il Cile, gli inglesi si trovarono di fronte, come avversari, gli sconosciuti Stati Uniti d’America. Gli americani erano una squadra allestita alla bell’e meglio dal CT William Jeffrey, che aveva pescato tra diversi italo-americani e completato con alcuni stranieri con vaghe ascendenze a stelle e strisce. Ovviamente, mentre gli inglesi erano i maestri del football, gli americani erano tutti rigorosamente dilettanti.
La gara iniziò e fu subito chiaro a tutti quale sarebbe stato il copione: l’Inghilterra attaccava continuamente, ma con la flemma e la supponenza di chi si sente davvero troppo superiore. Il portiere Frank Borghi, che nella vita si occupava di pompe funebri e che non calciava il pallone nemmeno nelle rimesse da fondo campo tanto gli era estraneo  il gioco con i piedi, era in giornata di grazia e parò tutto il parabile e oltre, venendo salvato anche dai legni e dalla muraglia che gli americani letteralmente formavano a ridosso della propria area di rigore. Al 38°, in un raro ribaltamento di fronte, Walter Bahr degli USA tentò un tiro verso la porta inglese che l’haitiano Joe Gaetjens, professione lavapiatti e aggregato all’ultimo nella nazionale statunitense, corresse in rete anticipando il portiere Bert Williams. Non esistono fotografie della rete, dato che tutti i fotografi presenti allo stadio si erano messi dietro la porta americana immaginando un diluvio di reti. L’Inghilterra invece non segnò, stordita dal gol, fermata da avversari con il morale alle stelle, strozzata dall’ansia di chi è superiore ma non riesce a dimostrarlo. Quando l’arbitro, l’italiano Dattilo, fischiò la fine gli inglesi erano sotto shock, e così il pubblico presente. I giornali inglesi, ricevendo per telegramma il risultato “England VS USA 0 – 1” pensarono ad un errore, e il giorno dopo qualcuno uscì riportando il risultato di 10 a 1. Sicuramente chi aveva spedito il telegramma aveva dimenticato l’1 davanti allo 0, giusto?
Giusto?

#02 – GERMANIA b. BRASILE = 7 – 1 (08/07/2014)
Vincere la sesta Coppa del Mondo, cancellare il Maracanazo. Questo volevano i tifosi brasiliani dalla propria nazionale nei Mondiali del 2014, che tornavano in Brasile dopo 64 anni. La squadra è stata affidata al CT Luis Felipe Scolari, tecnico rispettato da tutti e che già ha vinto il Mondiale nel 2002 alla guida dei verde-oro. Ed è una buona squadra, quella brasiliana: ha vinto la Confederations Cup l’anno precedente, è carica, giovane e talentuosa, i suoi giocatori sono nei migliori club al mondo. La stella della squadra è Neymar, che però si è infortunato ed è assente nella semifinale che vede i padroni di casa affrontare la Germania. I tedeschi fanno paura, hanno giocatori giovani ma talentuosi, un’ottima organizzazione tattica e sono completi in ogni reparto. Il Brasile, oltre a Neymar, deve rinunciare anche al difensore Thiago Silva, squalificato, ma i tifosi contano sul fattore casalingo, non rendendosi conto che tutta questa passione può soffocare chi ne è l’obbiettivo.
Quando dopo 10′ Thomas Muller, lasciato libero sul secondo palo su un calcio d’angolo, segna il gol dell’1 a 0 tedesco qualcuno può anche pensar male, ma nessuno può sospettare quello che sta per succedere. Quello che accade dal 23° al 29° è surreale: in appena sei minuti il Brasile viene infilato 4 volte da una Germania che sembra giocare ad un altro sport e che quasi si diverte a sballottare gli smarriti difensori brasiliani prima di mettere il pallone in rete. 23°: Klose. 25°: Kroos. 26°: ancora Kroos. 29°: Khedira. Il primo tempo finisce 5 a 0 per i tedeschi, già al secondo gol qualcuno tra il pubblico ha cominciato a piangere, alla quarta rete tedesca lo stadio è ammutolito. In tanti non hanno neanche la forza di protestare, perché è difficile credere a quello che si vede sul campo. Mai nella sua storia il Brasile è stato messo sotto così, e ne la caratura tecnica modesta della squadra, ne le assenze, ne gli errori tattici di Scolari possono giustificare quel che si vede. Il secondo tempo è accademia, il Brasile trova il gol della bandiera con Oscar ma subisce altre due reti che chiudono la gara con un umiliante 7 a 1. Quando la gara si conclude in tanti piangono, tifosi e giocatori, mentre la Germania vola in finale. L’incredibile è successo, una squadra non fortissima tecnicamente ma soprattutto fragile psicologicamente è crollata sotto il peso delle aspettative enormi che un intero paese aveva su di lei. Ancora una volta, come nel 1950 al “Maracanazo”, il Brasile ha sconfitto il Brasile.

#01 – URUGUAY b. BRASILE = 2 – 1 (16/07/1950)
Il Brasile aveva chiesto ed ottenuto l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 1950 per dimostrare finalmente al mondo la propria superiorità: la Coppa del Mondo era sfuggita, in passato, più per via di un eccessiva supponenza che per reali limiti tecnici. La squadra che rappresentava il paese era fortissima, con le stelle della squadra che erano il centrocampista Zizinho ed il centravanti Ademìr. Trascinato dalle reti di quest’ultimo (ben 9 in 5 gare) il Brasile era arrivato all’ultimo atto contro l’Uruguay con critica e opinione pubblica unanimi nel riconoscerlo come prossimo Campione del Mondo. A rafforzare questa tesi, inoltre, l’incredibile “score” di 21 reti realizzate e 4 subite in appena 5 gare ed il fatto che bastasse un pareggio, perché la bizzarra formula (mai più utilizzata) di quel Mondiale prevedeva un girone finale con 4 squadre invece della classica finale. Il girone il Brasile lo aveva dominato, sconfiggendo 7 a 1 la Svezia e 6 a 1 la Spagna, mentre solo la fortuna aveva tenuto in corsa l’Uruguay, che aveva pareggiato con gli spagnoli e vinto 3 a 2 con gli svedesi rimontando due gol negli ultimi 15 minuti con Miguez. Bastava il pareggio dunque, ma nessuno lo voleva, tutti volevano ancora una vittoria per festeggiare un trionfo talmente annunciato che il governo aveva fatto stampare già 22 medaglie d’oro per premiare i giocatori e diversi giornali erano usciti con titoli altisonanti come “ecco i prossimi campioni” e “questi sono i giocatori che oggi vinceranno la Coppa”. Persino il presidente della FIFA, Jules Rimet, aveva preparato il discorso di premiazione solo in portoghese. Qualche anno dopo, lo stesso Rimet ammise la sua leggerezza: “Tutto era previsto, tranne il trionfo dell’Uruguay.”
Già. Perché vinse l’Uruguay. Capace di reagire dopo il vantaggio, all’inizio del primo tempo, siglato da Friaca. Guidato dal suo capitano, “El Negro Jefe” Obdulio Varela, che raccolse il pallone in fondo al sacco e lasciò sbollire i 200.000 brasiliani che avevano assiepato lo stadio, incitando nel contempo i suoi compagni. Che segnarono prima con Schiaffino e poi con Ghiggia, ammutolendo uno stadio prima e, al fischio finale dell’inglese Reader, un intero paese. Rimet consegnò la coppa a Varela in fretta e furia, vi furono suicidi dentro e fuori lo stadio, il portiere brasiliano Barbosa visse il resto della vita trattato come uno iettatore, un appestato, il CT Feola fuggì in Portogallo, il Brasile non giocò per due anni e quando tornò il completo bianco che lo aveva sempre contraddistinto era sparito e non sarebbe mai più ritornato. Tutte cose che ogni appassionato di calcio sa, tutti aneddoti che hanno reso il “Maracanazo” l’evento sportivo forse più importante e conosciuto della storia. Quella partita che uccise il sogno di un popolo, e che più di ogni altra è destinata a rimanere nella memoria di ogni tifoso.  
 

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