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Tutto calcio che Cola #15: Non si può morire di calcio – 26 Giu

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28 ottobre 1979: venuto ad assistere al derby romano grazie all’abbonamento del fratello Angelo impegnato con il lavoro, il tifoso laziale Vincenzo Paparelli viene colpito al volto da un razzo navale volato per oltre 160 metri e che ne causa, poche ore dopo,  la morte davanti agli occhi della moglie. In sua memoria viene posta una targa, che finisce però rubata durante i lavori di “Italia 90”, mentre appaiono orrende scritte di ultras romanisti che sperano in altri “10, 100, 1000 Paparelli”.

29 gennaio 1995: scoppiano scontri tra tifosi del Genoa e del Milan, i tifosi rossoneri fuggono inseguiti da quelli rossoblù, ma ad un certo punto tornano indietro e affrontano i rivali. Claudio Spagnolo, genoano e 24enne, viene pugnalato all’addome da un tifoso rossonero, Simone Barbaglia. Muore poche ore dopo, la partita viene sospesa, il calcio si ferma per riflettere.

24 maggio 1999: in collera per la sconfitta in trasferta della Salernitana contro il Piacenza, che significa addio alla permanenza in A, i tifosi campani devastano il treno messogli a disposizione per tornare in città, tirano diverse volte il freno d’emergenza, scatenano tafferugli quando questo ferma a Napoli e lanciano pietre ad ogni stazione addosso alle persone che attendono di salire sul treno. Giunti in prossimità di Salerno, dopo 12 ore, qualcuno di loro decide di appiccare un fuoco dopo aver svuotato gli estintori a bordo del mezzo: l’idea è di creare un diversivo per non essere arrestati una volta giunti in stazione. La situazione sfugge loro di mano, le fiamme divampano e bruciano un intero vagone, in molti si salvano gettandosi dai finestrini ma quattro di loro non ce la fanno. Vengono ritrovati carbonizzati e irriconoscibili, due di loro sono cugini minorenni. 

20 settembre 2003: Sergio Ercolano, vent’anni, era alla sua prima partita in trasferta, il derby Avellino-Napoli. Morì cadendo da un altezza di dieci metri dopo il crollo di una struttura di plexiglass: stava cercando di scappare, nel panico, durante gli scontri tra polizia e tifosi.

24 giugno 2014: mentre l’Italia calcistica trepida per le prestazioni di Ciro Immobile, capocannoniere della Serie A e uomo deputato da tutti per aiutare la Nazionale contro l’Uruguay ai Mondiali di calcio, un altro Ciro, a Roma, è in lotta tra la vita e la morte. Si tratta di Ciro Esposito, tifoso del Napoli, ferito 53 giorni prima da un colpo di pistola sparato da un ultras romanista, Daniele De Santis detto “Gastone”, già noto peraltro alle forze dell’ordine. I medici hanno da subito tentato di salvarlo, ma la ferita nel frattempo si è infettata: dieci interventi chirurgici non bastano, e dopo quasi due mesi di dolore alternati a qualche fugace lampo di speranza, Ciro perde la sua battaglia. Aveva 29 anni, si sarebbe presto sposato. La sua famiglia fino all’ultimo gli è rimasta accanto, fino a quando all’alba del 25 maggio la battaglia è finita.
Ciro Esposito è morto, un altro nome da aggiungere ai tanti, troppi, del passato. Morto per una fede che qualcun altro come lui ha vissuto in modo malato, sbagliato. Non si può sparare a un ragazzo per strada solo per la diversa fede calcistica. Sono parole ovvie e scontate, parole che però non vorremmo più scrivere. Qualcosa dovrà cambiare, anche se siamo in Italia, anche se in passato niente è cambiato, anche se il mondo dei tifosi – di un certo tipo di tifosi – sembra intoccabile e se osi metter loro dei limiti vieni interpretato come uno che ce l’ha con l’intera categoria.
Scrivo sapendo invece il contrario: ci sono tanti uomini veri, che sicuramente sono addolorati e furiosi con quanto successo. Da questi deve partire il cambiamento, dall’isolare chi ha comportamenti violenti. Perché a volte per volontà, a volte per pura casualità, la violenza può causare episodi come questo, come quello di un ragazzo nemmeno trentenne che non potrà vivere la vita che il destino aveva in serbo per lui. La vita non andrebbe sprecata per nessuna fede, che sia questa politica, religiosa o calcistica.
Concludo con le parole del mio amico Mario, tifoso del Napoli.

Il calcio è un divertimento, forse, escludendo la sfera privata, il più apprezzato al mondo. Forse è finto, truccato o dopato, ma a me e a milioni di altri la cosa interessa relativamente. Ecco, chi rovina il calcio dovrebbe essere condannato non solo in misura dello specifico reato in questione, ma anche per aver rovinato un momento di gioia per tantissime persone.”

Chi ama il calcio non può che sentire, in questo momento, un vuoto. Un vuoto infinito. Addio Ciro, che la terra ti sia lieve. 

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