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Ferrari : Poteva andare peggio

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In questi giorni ha tenuto banco sulle prime pagine dei giornali e sulle bacheche dei social il contatto avvenuto tra Sebastian Vettel e Charles Leclerc a 5 giri dal termine del GranPremio del Brasile. Le responsabilità sono molteplici e vanno ricercate sia nei piloti che nel muretto Ferrari; Vettel ha stretto troppo verso il centro della carreggiata per occupare la miglior traiettoria possibile per l’entrata in curva, Leclerc dal canto suo ha lasciato troppo poco spazio al compagno di squadra una volta che era già stato superato, infine il muretto non ha preso nessuna iniziativa, nonostante fosse palese che Leclerc, con gomme nuove, avrebbe potuto avere un altro passo se messo davanti ad un Vettel intestardito nel cercare di andare a riprendersi la posizione su Albon, senza contare che entrambi i piloti, distanti soli 19 punti in classifica, si stavano giocando la possibilità di arrivare terzi in questo mondiale di formula 1, e dimostrare quale fosse la vera prima guida della squadra. Ecco, chi è la prima guida?

Quanto successo ad Interlagos non è una novità della Formula 1 e di certo fa tanto più clamore quanto è pesante il nome della scuderia a cui accade. L’avere in squadra due “prime guide” è una soluzione che da sempre ha due risvolti: porta sana competitività tra i piloti (e spettacolo per gli spettatori), come dimenticare la stagione 2016 Mercedes, con Rosberg ed Hamilton che si divisero equamente praticamente tutte le vittorie di quel campionato, si scontrarono in Spagna ed arrivarono all’ultima gara del campionato con tutto ancora da decidere. L’altra faccia della medaglia è che basta una scintilla per trasformare la competitività in faida. Le ultime due vittime di questo gioco di potere sono stati proprio Leclerc e Vettel, ma solo nove anni fa lo stesso tedesco si fece protagonista di un altro caldissimo duello con l’allora compagno di squadra in RedBull Mark Webber con esito parallelo a quello odierno: nessuno dei due vinse il campionato. Poi andando ancora a più ritroso nel tempo come non citare i dualismi tutti Ferrari tra Villeneuve e Pironi o Lauda e Reutemann. Tamponamenti e incomprensioni non mancano nemmeno quando le gerarchie sono più definite e possono capitare anche in momenti ben più delicati di quello di domenica, , come nel 2017 a Singapore tra Vettel e Raikkonen. Ma di solito, avere un Barrichello, un Berger, un Irvine o  un Bottas che coprono le spalle ad un pilota che deve solo pensare a vincere, porta più benefici a tutti.

In fondo lo scontro tra Leclerc e Vettel poteva andare peggio. Poteva succedere ad inizio stagione a gerarchie difficili da male interpretare, con Leclerc a fare da pulcino accanto al tedesco quattro volte campione del mondo; se fosse successo in quella occasione, l’esito sarebbe stato tutto a sfavore del pilota monegasco che avrebbe dovuto accontentarsi di essere relegato a soldatino semplice agli ordini della squadra, a cui sarebbe stata richiesta una guida più docile ed il cui talento avrebbe rallentato ad affiorire. Poteva succede all’inizio della prossima stagione, in una situazione ancora non chiara, in cui magari ad entrambi i piloti sarebbe stato richiesto il massimo, andando a spezzare i rapporti tra questi e aggravarne irreparabilmente il carico nervoso, andando a pregiudicare una stagione appena cominciata. Invece, alla fine, possiamo sorridere: è successo ieri, ad interlagos, a giochi chiusi, dove la gara è stata si incredibilmente entusiasmante, ma in cui a casa si portava solo la gloria e qualche punto a bocce ferme, la lista dei vincitori finali era già stata stilata.

Che la Ferrari debba fare chiarezza e stabilire delle gerarchie, o almeno un codice comportamentale, è chiaro tanto loro quanto a noi, Mattia Binotto al termine della gara aveva commentato così: “ho parlato con entrambi i piloti, devono capire che le cose succedono in due. Ognuno dei due piloti era libero di gareggiare al meglio, in quanto il secondo posto in classifica costruttori era già sicuro, ma così non va bene”. Ben venga il confronto, il dialogo, si raccolgano le riflessioni di tutti e si mettano per l’anno prossimo le basi per portare in dote un capitale umano, oltre a quello meccanico, capace di ragionare come un corpo unico per il bene della Ferrari.

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