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Alexandre Villaplane, il campione che vendette l’anima a Hitler – 03 mag

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13 luglio 1930. Allo stadio “Pocitos” di Montevideo, davanti a un migliaio di spettatori, ventidue uomini stanno per dare inizio alla grande storia dei Mondiali di Calcio: non sono gli unici a dire il vero, visto che in contemporanea su un altro campo, il glorioso “Gran Parque Central”, anche Stati Uniti e Belgio si sfideranno.
Rimane comunque, quella che si svolge al “Pocitos” tra Francia e Messico, una partita storica: non solo una delle prime due del Mondiale, ma anche quella dove viene siglato il primo gol di sempre nella lunga epopea della Coppa del Mondo. Lo sigla Lucien Laurent, operaio della Peugeot, e l’incontro termina 4 a 1 per gli europei. L’attaccante francese, tuttavia, pur essendo l’autore della storica rete, non è il protagonista della nostra storia. Per trovarlo bisogna andare qualche decina di metri indietro e arrivare fino al centrocampo. Ed eccolo, il nostro uomo: Alexandre Villaplane, centromediano metodista, capitano e leader dei francesi. Giocatore sopraffino. Anima nera come la notte.


Ai cronisti presenti, Villaplane dichiara che è il più bel giorno della sua vita. C’è da crederci, visto che appena venticinquenne è stato scelto per la sua attitudine alla leadership come capitano della Francia. Un fatto storico, se vogliamo: Alexandre è il primo francese di origine africana a vestire la maglia dei “Bleus”.
Nato ad Algeri, il 12 settembre del 1905, durante l’infanzia si trasferisce in Francia con la famiglia. È molto bravo con il pallone tra i piedi, così bravo che nemmeno maggiorenne passa dal Sète ai rivali del Nimes: “ingaggiato”, sì, anche se ai tempi in Francia non esiste il professionismo e le società e devono inventare qualche escamotage per avere per sé i migliori.
È il caso di Lucien Laurent, dunque, ed è anche il caso di Villaplane. Con una differenza sostanziale: il primo effettivamente lavora, il secondo non fa mistero di essere dov’è per i soldi e grazie al suo grande talento.
In ogni città dove andrà a giocare, Alexandre Villaplane dimostra di sapersi inserire senza problemi soprattutto nei “bassifondi”: club, bordelli, bar e soprattutto ippodromi sono i luoghi dove è possibile incontrarlo frequentemente. Il talento però c’è, non ci sono dubbi. Nella sua posizione di centromediano metodista, un ruolo che richiede carattere, coraggio e tecnica, deve essere il primo a fermare gli attacchi avversari e anche il primo a far ripartire l’azione con lanci lunghi e precisi alle punte. Un ruolo delicato, il perno della squadra, che oltre alle doti già citate richiede un grande senso della posizione e una notevole personalità, visto che chi gioca da centromediano è il “direttore d’orchestra” della squadra.

È bravo, Alex, molto bravo. Aggressivo nei contrasti tanto da esaltare le folle, il migliore nel gioco aereo di tutto il Paese e uno dei più bravi d’Europa nei passaggi.
Oltre a questo, è soprattutto abile nel prevedere lo svolgersi degli eventi e nel comandare i compagni. Doti che, come vedremo, gli torneranno molto utili soprattutto al di fuori del campo da calcio.


Ma per ora restiamoci, in quel rettangolo d’erba dove Villaplane è assurto a protagonista: quando arrivano i Mondiali del 1930, i primi della storia in Uruguay, è appena passato dal Nimes al Racing Club di Parigi, che vuole diventare la squadra più forte di Francia. Il lavoro offertogli è anche migliore di quello al Nimes, e così ovviamente anche lo stipendio. Accetta senza pensarci due volte, aumenta la sua fama sia sui campi di gioco che nei bar, nei cabaret e laddove si scommetta. Ama scommettere sui cavalli, Alex.
Non solo su quelli, si scoprirà.
È logico per tutti che sia lui a guidare la Francia ai primi Mondiali in Uruguay: i “Bleus” partecipano per volere del presidente della FIFA Jules Rimet, ideatore della manifestazione e francese pure lui, e si comportano piuttosto bene. Dopo aver sconfitto il Messico, perdono di misura contro l’Argentina, ai tempi la squadra più forte al mondo dal punto di vista tecnico, appena per 1 a 0 in una partita molto controversa. Abbattuti, vengono sconfitti anche dal Cile (sempre 1 a 0) ed escono dal torneo, e così come finisce quella competizione, così finisce anche l’esperienza di Alex con la Nazionale, dal momento che la Francia gioca raramente a quei tempi e i Mondiali successivi si svolgeranno quattro anni dopo.


Nel 1934 Villaplane avrebbe comunque appena 29 anni, ma il problema è che quell’anno sarà già un ex-calciatore. La sua vita sta per cambiare infatti, una trasformazione incredibile che farà emergere la sua anima più nera.
Nel 1932 il professionismo diventa ufficiale in Francia: il piccolo club dell’Antibes punta a diventare una super potenza e pensa bene di ingaggiare, come primo acquisto di sempre, proprio Villaplane. Chiede la luna, si dirà poi. E la luna ottiene.
Sul campo la squadra è valida: ai tempi il campionato francese è diviso in due gironi e la vincitrice di ciascuno di questi va in finale, dove viene assegnato il titolo nazionale. L’Antibes sconfigge tutti gli avversari del suo girone e in finale regola il Lille.
È titolo nazionale? No. Emerge un tentativo di corruzione, il manager viene squalificato e il titolo revocato. Si dice che gli ideatori del malaffare siano proprio tre giocatori dell’Antibes: Villaplane è uno di questi, e insieme ai due compagni viene allontanato dal club.
Al Nizza non pare vero di ingaggiarlo, ma dopo pochi mesi già se ne pente: quello che una volta era un tornado in campo, ora è un misero venticello. Demotivato, poco grintoso, distratto. Salta spesso gli allenamenti, beve e viene visto sempre negli ippodromi in compagnia di gente poco raccomandabile. Terminata la stagione viene allontanato e finisce addirittura in seconda serie, al “Bastidienne de Bordeaux” che è allenato dal suo primo allenatore al Sète, lo scozzese Victor Gibson: che ci prova, a riportarlo con la testa al campo da gioco, ma non ci riesce e si arrende in appena tre mesi, allontanandolo dal club.
Così, mentre gli ex-compagni della Nazionale disputano i Mondiali del 1934 nella vicina Italia, Villaplane torna a far parlare di sé quando vengono fuori corse di cavalli truccate in cui lui è coinvolto in prima persona. Finisce in galera, quello che fu il primo Capitano della Francia, e da lì sarà un continuo dentro e fuori dal carcere: Villaplane è infatti una persona senza scrupoli e opportunista, il calcio è un lontano ricordo ma non quello che il calcio portava, e cioè i soldi. Conduce una vita dispendiosa, una vita che può essere vissuta solamente compiendo crimini.


Nel 1940 la Francia viene invasa dalle truppe naziste e Villaplane si trova in prigione per contrabbando d’oro. Ne esce un giorno, per mano di Henri Lafont, un criminale che è riuscito a ingraziarsi i tedeschi grazie ai suoi legami con il mercato nero parigino e cacciando i leader della Resistenza. Egli ha formato un gruppo di criminali al servizio dei Nazisti che passerà alla storia come la Gestapo francese e di cui Villaplane diventa in breve tempo un membro influente.
Sono mercenari, puntano esclusivamente a fare più soldi possibili in una situazione che ha portato la disperazione nei loro compatrioti. Cacciano, catturano e torturano ebrei, partigiani e ogni altra sorta di “nemico del Reich”. Le loro fila si allargano, i raid si intensificano: a Mussidan, nel 1944, catturano undici uomini della Resistenza. Sono ragazzi, dai 17 ai 26 anni, vengono torturati, uccisi e gettati in un fosso. Villaplane preme il grilletto più volte, in quell’occasione: ormai è a suo agio nella sua nuova “squadra”, sta scalando velocemente i ranghi e ha dimenticato ogni forma di coscienza e di patriottismo, ordinando ai suoi uomini di non avere pietà. Così, la Gestapo francese, nel frattempo divenuta “Brigata Nord Africana”, avvicina gli ebrei in fuga promettendo di farli fuggire in cambio di soldi e poi uccidendoli e derubandone anche i cadaveri una volta ottenuta la fiducia delle vittime.
Una volta, venuto a sapere grazie ad una soffiata della presenza di un ebreo nascosto da un anziana contadina, si reca sul posto con incredibile ferocia: colpisce più volte la donna, che però non ne vuole parlare. Ordina allora ai suoi uomini di prendere due contadini a caso, li fa torturare e infine uccidere. Nel frattempo altri uomini trovano l’ebreo, che viene catturato. La donna che lo nascondeva viene derubata di tutto quel che possiede.


Ci mettono grande impegno, Villaplane e i suoi uomini. Almeno fino a quando l’ex-capitano della Francia non capisce che le sorti della guerra non stanno andando a favore del Reich ma, anzi, la caduta è vicina. Si impone un cambio di strategia, ed è così che la sua brigata comincia a compiere plateali atti di pietà e a svolgere comizi nei piccoli paesi. Sostiene, Alexandre, che lui non è responsabile di quanto è successo. “La guerra è stata terribile, ci ha ridotto come delle bestie. Guardate me, cosa sono stato costretto a fare: un vero francese obbligato ad indossare una divisa tedesca! Sono qui per salvarvi! Stanno venendo ad uccidervi, ma io vi salverò!”
Per 400.000 franchi, ovviamente.
Non funziona, non può funzionare. Il 25 agosto del 1944 il Generale Dietrich von Choltitz, contravvenendo agli ordini di Hitler, si arrende. Il 26 agosto Parigi è libera, i collaborazionisti vengono tutti catturati, e tra questi c’è anche Alexander Villaplane, l’uomo che aveva guidato la Francia al primo Mondiale di calcio della storia, che aveva esaltato le folle con la sua classe prima di precipitare in una spirale di opportunismo, tradimento, avidità e crudeltà.


In francese ‘pallone’ e ‘pallottola’ vengono detti con lo stesso termine: ‘balle’.
L’ultima ‘balle’ nella vita di Alexandre Villaplane, “SS Maometto” per i nazisti, è quella che ne termina la vita, a 39 anni, il 26 dicembre del 1944 a Fort Montrouge. Fucilato per alto tradimento e la responsabilità diretta di almeno dieci omicidi. Nessuno verserà una lacrima per quel diabolico essere che era, appena pochi anni prima, uno dei primi eroi del calcio francese.

EDITING: Eleonora Baldelli

Fonti: Wikipedia, theguardian.com

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