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Sinisa Day – Vukovar, dove tutto iniziò

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Nel festeggiare, il 20 febbraio, le 51 primavere del tecnico Sinisa Mihajlovic, dobbiamo giocoforza ricostruire il suo passato ed i luoghi che lo hanno visto nascere e crescere. Sinisa è il simbolo di una terra che per oltre cinquant’anni ha visto convivere etnie, religioni e Paesi che in passato si erano spesso scontrati tra loro. Uno stato federale che il generale Josip Broz Tito, tenne in pugno per 35 anni, un Paese che stava a cavallo della cosiddetta “cortina di ferro”, era tutto fuorché il tipico Paese satellite dell’Unione Sovietica. Da questa si era distaccata nel primissimo dopoguerra, uscendo di fatto dal Patto di Varsavia, per questa ragione la Jugoslavia veniva definita come una vera e propria spina nel fianco dell’URSS e tra i paesi non allineati. La politica di Tito permise alla Jugoslavia un certo avanzamento in campo economico e permise anche un certo dialogo religioso, ciononostante, governò il paese sotto un pugno di ferro fino al 1980, anno in cui morì. Dal 1974, temendo le eventuali spinte nazionaliste, aveva rafforzato una forma di autonomia nelle province serbe del Kosovo e della Vojvodina, in questo modo, indebolendo la Serbia, pensava di poter mantenere un vitale equilibrio interno nell’organismo federale. Non durò. Già meno di un decennio dopo la sua morte, le spinte nazionaliste dei vari stati iniziavano ad innescare un ordigno che ben presto sarebbe deflagrato in tutta la sua spaventosa potenza. In questo clima, a Vukovar, una ridente cittadina croata di 40 mila abitanti, sorta sulle sponde del Danubio e sul confine tra Croazia e Serbia, vede la luce Sinisa Mihajlovic. È il 20 febbraio del 1969. La Jugoslavia ha da poco meno di un anno, a Roma, perduto la finale dell’Europeo del 1968. Nella ripetizione della gara decisiva, Riva e Anastasi fissano il punteggio finale sul 2 a 0 per l’Italia. Sarà l’ennesimo trofeo mancato dalla Jugoslavia, una nazionale colma di campioni, più simile al Brasile che alla classica nazionale europea, sempre ad un passo dalla consacrazione, una consacrazione mai raggiunta. Una nazionale che pare sprecare, per il puro gusto di sprecare. Non a caso, per la partita d’addio alla nazionale verdeoro, disputata il 18 luglio 1971, Pelè, scelse proprio la nazionale della Jugoslavia. Ma ritorniamo a Sinisa, come dicevamo, egli ben rappresenta questa unione di popoli. Nasce in una cittadina croata, ma la popolazione e ben spartita tra serbi e croati. Così come, croata e la madre e serbo il padre, un autotrasportatore che morirà all’età di 69 anni, con il figlio lontano da casa, sarà uno dei grandi rimpianti di Sinisa, non aver potuto rivedere il padre per un’ultima volta. Sinisa Mihajlovic cresce in una modesta famiglia, ricorderà sempre che uno dei cibi più prelibati, durante la sua infanzia, era una banana, che di tanto in tanto, la madre, divideva tra lui ed un fratello. Queste difficoltà in seguito ne forgeranno il carattere, fino al risultato che noi abbiamo potuto scorgere sui campi di gioco ed in seguito dalle panchine delle squadre che ha guidato. Durante la sua infanzia passava tante giornate su un campo da calcio a Vukovar, ricorderà sempre le porte prive di reti e gli innumerevoli tiri in porta ed il pallone da recuperare infinite volte per calciarlo ancora e ancora fino al tramonto. Non a caso verrà poi definito nel Bel Paese, il Re dei calci piazzati. Da ragazzo militò anche nella squadra di basket, lo chiamavano “mani di cotone” perché era molto dotato sui tiri da 3 punti. Poi la passione per il calcio prese il sopravvento. Passa alle giovanili del Vojvodina, dove infine debutterà in prima squadra a 17 anni. Sono anni turbolenti, la spoleta della bomba è ormai saltata, mancano pochi anni alla dissoluzione della Jugoslavia e alla guerra civile, ma intanto, un ragazzo dai lunghi capelli, vola sulla fascia del campo da gioco ed incanta tutti per la sua grinta e potenza. 

Mario Fadda

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