Calcio
Il punto sul Campionato – 21 Gen
SERIE A – 20° Giornata
Una grande squadra la si vede anche nei momenti in cui è meno brillante: la Juventus esce dalla sfida con la Sampdoria, prima di ritorno, con 3 punti frutto della diciottesima vittoria su venti gare, vittoria che ribadisce – e si, ce ne era bisogno – che lo Scudetto può solo perderlo lei.
Certo i bianconeri qualcosa hanno rischiato, di fronte a una Sampdoria sfacciata e di carattere e assolutamente rinata nello spirito dopo l’arrivo in panchina di Mihaijlovic. La differenza come spesso accade nel calcio la fanno i campioni, e così ecco Pogba aprire la gara con un assist e chiuderla con quello che oramai è il suo marchio di fabbrica, una bomba da fuori imparabile; ecco Buffon, che subisce due gol ma ne sventa altrettanti, e fa sorridere pensare che c’è stato chi ne mise in dubbio il rendimento e nemmeno troppo tempo fa; ecco soprattutto il magnifico Arturo Vidal, decisamente il miglior centrocampista in Italia e uno dei migliori al mondo, che prima segna con un incursione delle sue e poi è bravissimo a realizzare un rigore che lui stesso si è procurato. Siamo a gennaio e questo giocatore, che non manca di farsi sentire in mediana quando il pallone lo hanno gli altri e non pecca certo in fase di costruzione (vedasi assist divorato da Llorente che avrebbe potuto chiudere la gara prima di quando lo fa Pogba) ha già segnato 10 reti, un enormità. Personalmente lo ritengo il vero top-player a disposizione di Conte, l’unico incedibile, con tutto il rispetto e l’ammirazione che si devono a un talento purissimo come Pogba e ad altri punti fermi di questa Juve. Che, come detto, si invola decisa a vincere il terzo scudetto consecutivo.
Se ancora il titolo non è certezza lo si deve solamente alla Roma di Rudi Garcia, bravissima a riprendersi dopo la sconfitta allo Juventus Stadium e che regola in scioltezza un Livorno desolante. I toscani sono poca, pochissima roba per la Serie A, e invece di cambiare allenatore la società bene avrebbe fatto a cercare qualche rinforzo degno di questo nome. Chiaro che se ad una squadra in un momento grigio come i labronici contrapponi una squadra brillante e determinata come la Roma di questa stagione, il risultato non può che essere una partita a senso unico e che si conclude 3 a 0 solo perché i giallorossi ad un certo punto alzano il piede dal pedale: non prima di aver chiuso la pratica con l’ennesimo gol di Destro – finalmente ritrovato – e le reti di Strootman, che potrebbe essere forse l’acquisto dell’anno, e di Ljaic, che sbaglia tanto ma tanto crea. La Roma gioca con la leggerezza di chi ha poco da perdere, in chiave scudetto, e questa potrebbe essere la sua forza: certo, dare per scontato il terzo posto sarebbe un errore, ma obbiettivamente a parte la Juve chi può arrivare davanti alla squadra di Totti?
Probabilmente non il Napoli, ancora una volta deludente e che si fa strappare meritatamente il pari da un Bologna rinato – almeno nello spirito – grazie a Ballardini: mi sfugge come Pioli non trovasse il modo di mettere Bianchi in condizione di giocare, rimane il fatto che “Rolandone” è un giocatore che a questi livelli può ancora dire la sua, e la doppietta con cui mette in croce i campani è lì a dimostrarlo. Non un Bologna bello ma un Bologna di carattere, quel che serviva e che voleva la curva, a fronte di un Napoli lezioso ma inconcludente e incredibilmente fragile in fase difensiva, un limite che la squadra di Benitez pagherà caro in termini di corsa-scudetto, soprattutto perché il messaggio pare arrivare a tutti tranne che ai diretti interessati, e cioè i dirigenti azzurri che continuano a battere il mercato con acquisti ottimi – Jorginho – ma che non risolvono il problema alla base.
Questo Napoli invece che inseguire un improbabile scudetto deve anzi guardarsi le spalle, dove arriva sempre più lanciata una Fiorentina finalmente non spuntata e che contro il Catania trova una gran “prima” da parte di Matri, meteora al Milan e bomber ritrovato in riva all’Arno. Probabilmente non sarebbe servito l’attaccante lodigiano per aver ragione di un Catania spento e confuso, già infilato dal gol dell’ex-promessa del calcio mondiale Mati Fernandez, ma i due gol del nuovo acquisto fanno senza dubbio dormire più sereni i tifosi viola, che ancora attendono di vedere in campo Mario Gomez. Ecco, con il recupero del bomber tedesco – e poi più in la, magari, con quello di Pepito Rossi – la Fiorentina può davvero tornare ad ambire ad un terzo posto perso tra polemiche e rimpianti la scorsa stagione e che quest’anno sembrava difficilissimo da agguantare. Certamente non sarà facile, ma è indubbio che i viola hanno perso una dimensione provinciale, diventando una squadra che può giocarsela quasi con chiunque, e del resto sono stati i soli a sconfiggere la Juventus in questa stagione.
Requiem per l’Inter di Mazzarri e Tohir, invece: la sconfitta patita col Genoa, pur se sfortunata, ha fatto emergere tutti i limiti di una squadra sfiduciata e sfortunata, mal costruita in sede di mercato e – parere personale – anche mal gestita dal tecnico, che pure appare il meno colpevole. Non può essere colpa di Mazzarri se i suoi sbagliano tutto lo sbagliabile – complice anche un ottimo Perin, tornato grande prospetto – e si fanno infilare come polli all’ultimo secondo. Semmai la colpa può essere quella di accettare passivamente l’immobilismo di una società che non pare muoversi sul mercato, e che quando lo fa sembra far rimpiangere che il suddetto mercato sia aperto. La cessione di Guarin alla Juve in cambio di Vucinic, che mentre scrivo pare in dirittura d’arrivo e che solo una mezza rivolta popolare ha rallentato, è un capolavoro di autolesionismo: dare un titolare a quelli che in teoria nei prossimi anni vorresti fossero rivali diretti, in cambio di una loro riserva più logora e anziana, è da manuale di “cosa non fare nel calciomercato”. Sinceramente stento a capire la strategia – se una strategia c’è – dietro a questa scelta, considerando anche che se Guarin ha mezzi tattici limitati lo stesso non si può dire per quel che riguarda i suoi mezzi fisici ed atletici: di contro hai un giocatore come Vucinic, finissimo campione quando si parla di tecnica pura ma da anni facile alla demotivazione e portato all’infortunio, e oltretutto con un ingaggio mica da ridere vista l’età. Comprensibile che il popolo nerazzurro si ribelli, soprattutto se tutto ciò arriva in combo con risultati scadenti (una vittoria su sette gare) e con un mercato che per altri versi pare proprio non decollare. D’Ambrosio per Pereira potrebbe migliorare la situazione, ok, ma sono ben altri i colpi che la Beneamata abbisogna.
C’era molta attesa per il nuovo Milan di Seedorf, più però per il lato pittoresco che per quello tecnico, dato che in 3 giorni nessuno da un volto ad una squadra. I tre punti sono arrivati, contro un Verona volitivo ma spuntato dal mercato (Jorginho) e dall’influenza (Toni) che ha giocato comunque la sua onesta gara, ma sinceramente grossi passi in avanti non se ne sono visti, tanto che per spuntarla i rossoneri hanno dovuto attendere quasi la fine dell’incontro e l’incredibile ingenuità di Gonzalez, che stende Kakà quando la palla sembrava ormai sul fondo e che di fatto regala un rigore che Balotelli non può sbagliare. Discreta però la prova del Milan 2.0, che mostra un Honda che può crescere ed essere utile alla causa e soprattutto un Balotelli che – rigore a parte – si rende pericoloso più volte. Forse – e dico forse – le basi per una rinascita ci sono, che magari non porterà in alto ma che può ancora fare intravedere un campionato con un senso.
Ottimo il Torino, che sconfigge il Sassuolo sotto una pioggia battente grazie al solito duo Cerci-Immobile e che conferma quanto di buono detto sul ritrovato “spirito granata”. Ottime anche le prestazioni di Parma e Lazio: i ducali trovano la vittoria grazie a Cassano, che si dimostra essere un “quasi-campione” non solo nel senso negativo del termine, ma anche quando trova quei colpi che a 18 anni facevano prevedere per lui un futuro brillantissimo. Viene da ridere pensando al fatto che ogni volta che gioca bene ci sia chi ne chieda il ritorno in Nazionale, cosa che non avverrà, ma è indubbio che in un campionato di medio livello – dal punto di vista tecnico – come quello italiano un talento come Fantantonio sia sempre un piacere da vedere. E Donadoni, tecnico serio e preparato, merita sicuramente un altra chance ad alti livelli, visto il bel lavoro fatto in Emilia.
Anche Reja è un allenatore che è stato sottovalutato per tutta la carriera, eppure le dimostrazioni di bravura si sprecano: ridà gioco e carattere alla Lazio e soprattutto a Hernanes, sconfiggendo un Udinese dove non basta il ritorno al gol di Di Natale a mascherare una squadra fragile e scollata dove quest’anno faticano a materializzarsi talenti degni di nota. Tant’è, con una politica di continuo ricambio come quella attuata dai friulani si deve mettere in conto che un annata storta ci può stare, ed è quello che succede. Reputo comunque i bianconeri decisamente attrezzati per la salvezza, anche se il trend in qualche modo va invertito visto che la difesa concede davvero tantissimo a chiunque abbia di fronte e l’attacco stenta tra le paventate ma mai avvenute esplosioni di Muriel e Lopez e l’età avanzata di Totò Di Natale.
Concludo con una considerazione personale su quanto avvenuto sugli spalti del Dall’Ara durante Bologna – Napoli, conscio che potrei attirarmi le antipatie di parte della tifoseria rossoblù. Ho molta simpatia per il Bologna – e del resto il fatto che scriva qui su questo sito lo testimonia – e per i bolognesi: la città delle Due Torri, per me che sono di Prato, è sempre stata vista come un mito, come il posto dove passare delle belle serate in mezzo a persone simpatiche come poche. Non posso dire di conoscere ogni singolo bolognese, ovviamente, ma quelli che ho conosciuto sono sempre stati persone cordiali e accoglienti, con cui si può parlare anche dopo un minuto di conoscenza e che vivono la vita con il sorriso sulle labbra. Sinceramente stento a ritrovare qualcosa di “tipicamente bolognese” nei cori e negli striscioni visti contro i napoletani. Stento a riconoscere Bologna nei fischi a “Caruso”, grande canzone cantata da un grande bolognese che amava Napoli e i napoletani, che considerava una parte importante e bellissima del nostro Paese, pur con tutte le sue contraddizioni.
Che dire, peccato. E’ stata una grande occasione persa. Di civiltà, di “bolognesità” (mi si passi il termine), di distinguersi in un mondo di pecoroni urlanti e chiassosi. Leggo che sono stati in pochi, e per fortuna non me ne stupisco. Sento dire che “non è per avercela contro i napoletani”, ma più un segno di sfida al sistema, una specie di soliderietà tra ultras contro le “assurde leggi sulle offese territoriali”. Posso capire, ma sinceramente non posso accettarlo. Non posso perché Bologna può e deve essere avanti, perché se è vero che certe leggi sono sicuramente tirate per i capelli, è anche vero che un atteggiamento così non faciliterà le cose.
E’ ovvio che non deve partire da Bologna una lezione di moralità a tutto il tifo “estremo” in Italia, ma poteva essere un bell’esempio di voce fuori dal coro. Per cui, prendendo a prestito il motto di “1000cuori” che è “sempre per unire, mai per dividere”, mi piace pensare che chi legge condanni questo atteggiamento a prescindere.
Perché si può andare allo stadio e incitare i propri beniamini fino alla fine, nel bene e nel male, senza offendere gli ospiti e senza augurar loro eventi di pessimo gusto, anche perché ognuno ha avuto i suoi e sappiamo quanto possono essere terribili.
Siamo tutti italiani, in fondo, e chiunque abbia viaggiato un po’ il Paese sa che siamo tutti differenti ma tutti alla fine uguali. Si può trovare argomenti in comune ed essere amici di chiunque abiti in qualsiasi città, ed internet dovrebbe averci ampliato la mente – ed il cuore – in questo senso.
Siamo tutti un po’ bolognesi, siamo tutti un po’ fiorentini, siamo tutti un po’ romani e siamo tutti un po’ siciliani. Siamo tutti un po’ milanesi.
Siamo tutti un po’ napoletani.
Per fortuna.
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