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Calcio

Storie: Leonidas, l’immortalità in un gesto – 01 Gen

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Leônidas, l’immortalità in un gesto

Quasi ogni calciatore sogna un giorno di giocare i Mondiali con la maglia del proprio paese. Infatti, quasi tutti i più grandi calciatori della storia sono stati protagonisti nella Coppa del Mondo, a lungo e forse anche a tutt’oggi la vetrina più importante che il calcio offra.
Eppure ci sono stati grandi calciatori che ai Mondiali non hanno lasciato il segno: alcuni per essere parte di un movimento calcistico incapace di offrire una Nazionale abbastanza competitiva, ed è il caso del gallese Giggs, del nord-irlandese Best, dello svedese Ibrahimovic, del liberiano Weah e di molti altri.
Il grandissimo Alfredo Di Stefano (da molti considerato il più grande calciatore della storia, più di Pelé e Maradona) giocò sia con la Spagna che con l’Argentina, ma senza lasciare il segno: per entrare nella storia ha però vinto 5 Coppe dei Campioni consecutivamente, trascinando un Real Madrid zeppo di campioni sul tetto del mondo.
Ma il giocatore di cui oggi vorrei raccontare qualcosa, sconosciuto ai più in quanto simbolo di quel calcio dei pionieri mai abbastanza conosciuto, pur avendo deluso con la sua Nazionale in ben due Mondiali, è riuscito in una edizione ad essere il capocannoniere del torneo.
E poi, per tutti quelli che lo conoscono, è stato colui che ha inventato la rovesciata. Parliamo di Leônidas da Silva, per tutti semplicemente Leônidas, il Diamante Nero.

Nato il 6 settembre del 1913 a Rio de Janeiro, Leônidas comincia a giocare nelle giovanili del Sao Cristovao (dove curiosamente crescerà, decenni dopo, un altro campione, “il Fenomeno” Ronaldo) per esordire in prima squadra appena sedicenne nel 1929: segna una caterva di gol, ben 31 in 29 incontri, e si muove al Sirio Libanes, dove mantiene la stessa media realizzativa (sono 50 reti in 47 partite) prima di trasferirsi alla sua prima squadra importante. E’ il Bonsucesso, dove si distingue segnando in due stagioni 55 reti in 51 incontri e sbalordendo i tifosi con il suo primo gol di rovesciata, chiamata dai brasiliani “bicicleta” per via del movimento che il calciatore effettua eseguendo questo colpo: è lo stesso Leônidas ad attribuirsi l’invenzione di questa giocata, e anche se qualcuno dice che in realtà abbia solo affinato un colpo inventato da un altro giocatore (Petronilho de Brito) nell’immaginario collettivo quello diventa “il suo colpo”.
Segna e incanta, dunque, Leônidas. Ma il calcio brasiliano di quel periodo, dilettantistico e diviso in una moltitudine di stati e federazioni l’una contro l’altra, non favorisce necessariamente l’ascesa di un talento: e così “l’Uomo di Plastica” (altro soprannome datogli per via della sua incredibile flessibilità atletica) emigra in Uruguay per cercare la ribalta, che trova con la maglia del Penarol. Sono 25 gare e 28 reti, e valgono al Diamante Nero la convocazione nella Nazionale del Brasile per i Mondiali che si svolgono in Italia nel 1934.
Quella Nazionale, accreditata da tutti come una delle favorite, ripete però le scialbe prestazioni della precedente edizione del 1930, e sempre per lo stesso motivo: le federazioni Carìoca e Paulista sono in disaccordo sulla scelta dei calciatori da convocare, e i giocatori paulisti non vengono convocati. La Nazionale così è un insieme di buoni giocatori, qualche fuoriclasse e diverse comparse, e come nella precedente edizione (dove non era stato chiamato per lo stesso motivo un altro campione assoluto, Arthur Friedenreich) esce al primo turno, sconfitta dalla Spagna per 3 a 1. Il gol dei brasiliani lo segna, manco a dirlo, proprio Leônidas.

La delusione per il Mondiale andato male è forte, ma al ritorno delle competizioni nazionali il calcio brasiliano ritrova Leônidas, che viene ingaggiato dal Vasco da Gama: è un annata che conferma quanto sia forte “il Diamante Nero”, che mantiene ancora l’incredibile media di un gol (e più) a partita, ma ora è giunto il momento di raccogliere trofei, e con quel Vasco non c’è proprio modo. E così Leônidas cambia ancora maglia, vestendo quella del Botafogo, e circondato da campioni come Carvalho Leite, Pamplona, Nilo e Patesko si conferma bomber di razza: già il Botafogo aveva vinto i tre precedenti campionati Statali, con i gol di Leônidas il quarto titolo consecutivo (evento mai più ripetuto) è una pura formalità.
Eppure quel fantastico centravanti, sembra incredibile, non ha ancora trovato la squadra giusta per creare l’idillio che ti porta ad essere una bandiera del club: quando l’ambiziosissimo Flamengo lo fa suo, la stagione successiva, ecco però che comincia una vera e propria storia d’amore.
Prima di tutto, Leônidas è il primo calciatore di colore a vestire la maglia della squadra. In secondo luogo, aiuta la squadra a crescere nel panorama nazionale e lo fa a modo suo, ovvero a suon di gol: in 5 anni sono ben 153 (in 149 gare!) ed è proprio vestendo la maglia del Flamengo che “il Diamante Nero” si presenta al suo secondo Mondiale, con una squadra brasiliana stavolta determinata a mostrare al mondo la sua reale forza.

Siamo in Francia, è il 1938 ed il Mondiale, come nell’edizione precedente, si gioca con un torneo ad eliminazione diretta: il destino non c’è andato leggero, con i sudamericani, che al primo turno devono vedersela con la Polonia del bomber Willimowski in un campo ai limiti del praticabile. Passerà alla storia, quella partita, grazie a Willimowski e Leônidas, autori il primo di 4 e il secondo di 3 reti, e se la sfida personale vede vincitore il polacco, la squadra vincente è il Brasile, che la spunta 6 a 5 solo ai supplementari mostrando un gioco fantastico ma grossi limiti difensivi. Una settimana dopo, a Bordeaux, i futuri verde-oro (allora il Brasile gioca con una divisa bianca) se la devono vedere con un altra squadra est-europea, ancora più forte della Polonia: sono i maestri danubiani della Cecoslovacchia, finalisti 4 anni prima e capaci di giocate tecniche degne dei brasiliani.
Leônidas va subito in rete, ma il fuoriclasse Nejedly pareggia e anche i supplementari mantengono questo risultato. Non esistendo i rigori, è necessaria una ripetizione del match, che si svolge due giorni dopo: stavolta i cechi passano in vantaggio ma Leônidas si erge a protagonista della gara prima pareggiando personalmente e poi propiziando il gol della vittoria segnato da Roberto, attaccante del Sao Cristovao, curiosamente proprio la squadra dove “il Diamante Nero” è cresciuto.

E così il Brasile è in semifinale ed ha superato due tra le squadre più forti della competizione: il clima è euforico, c’è fiducia, talmente tanta che la Federazione ha già acquistato i biglietti aerei per Parigi, dove si giocherà la finale. Il CT, Adhemar Pimenta, ha talmente tanta fiducia nei suoi uomini da operare in semifinale un massiccio turn-over, cambiando ben 9 uomini: Leônidas e Roberto rimangono in panchina contro l’Italia, che è però pur sempre la squadra campione in carica e che vanta autentici fuoriclasse nella squadra-tipo. Al “Velodrome” di Marsiglia per i brasiliani si mette subito male, il gioco non fluisce come dovrebbe ed il primo tempo si conclude a reti bianche: nel secondo tempo Colaussi apre le danze per gli azzurri, prima del raddoppio su rigore di Meazza. Non esistono sostituzioni, e così Leônidas è costretto a vedere dalla panchina i compagni stentare a trovare un gioco, ed il gol che dimezza lo svantaggio firmato da Romeu arriva a partita ormai finita. Il Brasile esce così di scena, mentre l’Italia vola in finale dove vincerà ancora, bissando il successo di 4 anni prima.
I brasiliani conquistano il terzo posto sconfiggendo la Svezia per 4 a 2 dopo essere stati a lungo in svantaggio di ben due reti: manco a dirlo è Leônidas il trascinatore, con una doppietta che gli vale il 7° gol nel torneo ed il titolo di capocannoniere della manifestazione.
A onor del vero, anche se per anni la semifinale con l’Italia verrà descritta come l’esempio tipico della supponenza di quel Brasile anteguerra, la rotazione degli uomini più che per snobismo era stata scelta dal CT per via dei numerosi acciacchi e della stanchezza accumulata dai suoi uomini nella doppia sfida contro i cecoslovacchi.
Curiosità vuole che Leônidas anche in questo Mondiale vada a segno con una rovesciata, ma il gol viene inspiegabilmente annullato perché l’arbitro, come buona parte del mondo, non conosce questo gesto tecnico e lo giudica irregolare.


Statua di Leonidas nel museo dello Stadio Morumbi.

A Leônidas rimane il Flamengo, con cui segna e si diverte fino al 1942, quando si trasferisce in quella che sarà la sua ultima squadra, il San Paolo: non è un trasferimento “da bollito”, anzi, “il Diamante Nero” viene pagato caro, ma la società è ambiziosa e da eterna seconda ha deciso di cominciare a vincere. Arrivano anche altri campioni, come Noronha, Bauer, Zeze Procopio e l’argentino Sastre, e inizia così l’epopea del “Rullo Compressore”, lo squadrone che vince ben 5 titoli paulisti in sette anni dando spettacolo in ogni angolo del paese. Nel 1948, 37enne, Leonidas sfoggia per l’ultima volta il suo colpo migliore, la rovesciata, per segnare un gol in un fantastico successo per 8 a 0 dei suoi contro la Juventus – no, non la Juve italiana.
Lascia il calcio nel 1950, all’alba dell’esplosione di Pelé, che sarà a tutti gli effetti il suo erede. Diventa allenatore proprio del San Paolo, ma i risultati sono modesti, quindi diventa radiocronista, ruolo che ricopre per anni prima di una tranquilla vecchiaia. Muore novantenne, al fianco la compagna di sempre Albertina Santos, e viene sepolto nel “Cemitério da Paz”, a San Paolo.

Leônidas è stato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, un concentrato di tecnica, fisicità e inventiva, un attaccante dalla media realizzativa impressionante (quasi 1 gol di media a partita in carriera, 37 in 37 gare con la Nazionale) e funambolo del dribbling, entrato nell’iconografia calcistica per quel gesto, la rovesciata, che se proprio non inventò di sicuro rese famoso: in un paese, il Brasile, che a volte dimentica i suoi idoli visto quanti ne produce, Leônidas è rimasto l’icona di quel calcio dei pionieri, dove i gesti tecnici venivano visti dal vivo e poi raccontati. Molti che lo hanno visto giocare giurano che fosse più forte di Pelé, ma purtroppo un confronto è impossibile visto che appunto ai tempi di Leônidas non esistevano grandi riprese televisive.
Per fortuna esistevano le fotografie, e quell’istantanea del “Diamante Nero” mentre esegue la “sua” rovesciata rimarrà per sempre nella mente di ogni appassionato di calcio.

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