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Imola, una storia lunga quarant’anni

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Disse un giorno un certo Juan Manuel Fangio: “Questo tracciato mi ricorda Zandvoort, in Olanda, però lo trovo più ricco e allegro ed è tanto bello che, pur essendo difficile, non stanca mai”. E che non stancasse mai se ne sono resi conto gli appassionati negli ultimi anni, privi dal 2006 del Gran Premio di San Marino (o d’Italia, nel 1980, o dell’Emilia Romagna in questo week-end), il secondo appuntamento italiano in calendario che era come andare di nuovo alla Mecca per i fedeli… della Rossa, s’intende. E invece le logiche del business hanno prevalso, si è andati a correre in circuiti totalmente anonimi perché qualcuno versava tanti dané, dimenticandosi di far benzina alle vetture con l’unico elemento imprescindibile: la tradizione. 

Imola ha la metà degli anni di Monza, più o meno, in quanto ad anzianità in Formula Uno. Anno 1980 appunto, primo GP inserito nel mondiale. Si corre come GP d’Italia, per un anno al posto di Monza, ma poi dal 1981 trova collocazione come GP di San Marino. E’ l’inizio di una lunga storia, più breve della pista del parco Lambro, ma senza nulla da invidiare in quanto a intensità e cose accadute. Ci fu un prologo però: anno 1979, Gran Premio “Dino Ferrari”, in onore dello sfortunato figlio di Enzo morto giovanissimo, e ci fu già qualcosa da raccontare: vince la Brabham di Lauda, con un certo Gilles Villeneuve che prova a superare l’austriaco e ci rimette l’ala anteriore. Villeneuve e Imola: nel 1982, alla sua ultima gara sul Santerno, la conclusione più amara, con l’amico e compagno di squadra Pironi che se ne infischia del cartello “Slow” sventolato dal muretto, ossia mantenere le posizioni, e supera il canadese andando a vincere. Nella gara successiva, a Zolder, nel tentativo di prendersi la rivincita su Didier, trova la morte in uno scontro con la March di Jochen Mass.

Imola italiana, solo una volta: 1985, vittoria di De Angelis, che un anno dopo in Francia vola via lasciando un mondo di lacrime. Due anni prima, aveva vinto Tambay sulla Rossa: il pubblico, al di là delle reti, fece il gesto dell’ombrello a Patrese, che uscì di pista lasciando strada libera alla Ferrari del pilota parigino. E poi arriva il grande dualismo: un altro francese, contro un brasiliano tutto cuore e determinazione. Prost contro Senna, e su questo asfalto ha origine tutto: anno 1989, incidente di Berger al Tamburello (stesso punto di Piquet nel 1987 e di Alboreto nel 1991), nuova partenza e un altro accordo violato. All’altezza della Tosa, Ayrton supera il compagno Prost con la McLaren, seppur fosse stato stabilito di non modificare le posizioni al primo giro. E’ la consacrazione di una rivalità dura, amara, spigolosa: Prost il politico, Senna il brasiliano al quale importava rispondere in pista. L’epilogo di quel Mondiale è un botto tra loro, a Suzuka, restato storico. Senna squalificato, Prost campione. Si saluteranno proprio qui, da amici, la mattina del 30 aprile 1994, quando Ayrton mostra alla tv francese, dove Prost è commentatore dopo essersi ritirato, cosa vuol dire fare un giro curva per curva, collegato via radio dall’abitacolo. “Ok, ora partiamo… ma prima un saluto al mio amico Alain. Ci manchi, Alain”. 

Di quel week-end nero di 25 anni fa tutto è stato detto e scritto. Resta il finale di una storia meravigliosa, la morte di un capo, di un leader, che pareva immortale. La sua statua, al parco delle acque minerali, dove Senna è raffigurato col capo reclinato, è la sua miglior immagine. Malinconia, profonda introspezione, fede in Dio. E poi, in pista, un demonio. Senza dimenticare Roland Ratzenberger, l’austriaco che aveva soldi solo per cinque gare e finisce contro la curva Villeneuve (ancora lui) dopo aver perso l’alettone anteriore. Spirando praticamente sul colpo. 

Dal 1995 il circuito cambia, niente più curvone in piena, quel Tamburello che, come detto, aveva fatto parecchi danni nelle precedenti edizioni. Inizia il regno di Schumacher: 6 vittorie, record del circuito, la prima però solo nel 1999. L’ultima, nel 2006, nell’ultima recita del circuito del Santerno. E come dimenticare il successo del 2003, nel giorno in cui era scomparsa la madre, sua e del fratello Ralf, che salgono insieme sul podio, senza festeggiare nulla. Enzo Ferrari la definiva “un piccolo Nurburgring”, e probabilmente lo era. Imola è tornata, anche se purtroppo solo per una stagione e senza pubblico. Ma è quanto basta per risvegliare il mito. 

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