Basket
La proposta di Petrucci: tutto cambi perché nulla debba cambiare
Gianni Petrucci ha segnato un’epoca. Il che non significa averla cambiata, tutt’altro. Presidente della federazione Basket dal 1992, con un intermezzo al CONI, e il ritorno in sella alla sua amata pallacanestro. A metà novembre, con 81 voti su 90, a dimostrazione del facile plebiscito, e giusto in tempo per sfuggire alla tagliola della riforma dello sport di Spadafora (ancora in altomare, ovviamente) che avrebbe impedito più di tre mandati per la rielezione, ha ottenuto ancora una volta la fiducia. E così nel 2022 il Petrucci taglierà il traguardo dei trent’anni sempre in poltrona, e per quella data vorrebbe veder realizzata una propostona che ha sfoderato in settimana e sulla quale ci sono più ombre che luci.
La pallacanestro italiana, affogata dai debiti, dai fallimenti, dall’assenza di lungimiranza, da impianti vetusti, ancor prima che dal coronavirus, dovrebbe essere riformata, a detta del numero uno della federazione, nei criteri di accesso al campionato. L’idea avanzata a LBA e LNB è quella di garantire la partecipazione non più solo sul piano sportivo, ma anche su criteri di natura progettuale, economica (!), impiantistica (!!).
Ora, è di questa settimana l’intervista di Datome sul “Corriere dello Sport” che abbiamo riportato. Il fuoriclasse di Milano parla di un alto tasso tecnico in Serie A nei primi anni 2000, cosa che oggi si è eclissata, e l’esperienza sua, degli Scola o dei Logan, viene fuori ed è determinante, così come lo sarà per il neoacquisto virtussino Belinelli. E dunque: in un campionato così alla deriva, che non ha un protocollo anti Covid definito, che non sa se concluderà la stagione e vive alla giornata, com’è possibile stabilire criteri di accesso così ottimistici?
Non fosse altro che dietro l’angolo c’è proprio una situazione in controtendenza: la Virtus Roma, in conclamata difficoltà ormai da mesi, rischia il -3 se entro il 9 dicembre non salderà la quota FIP di 35.000 euro. Con una situazione di questo tipo, come è pensabile che in breve tempo (la riforma Petrucci avrebbe bisogno di due o tre anni per l’attuazione) si possa da zero realizzare progettualità, un impianto nuovo e il tutto con conti a posto? L’utilizzo della bacchetta, della severità e di una finta moralità, del bastone invece che della carota, della inflessibilità presunta, è possibile se le squadre sono già di per sé in grande difficoltà?
La verità è che calcio e basket viaggiano a braccetto. Regole cambiate in corsa, rappresentanza totalmente lontana dalla vera intenzione di cambiare le carte in tavola (Tavecchio contro Albertini, vinse Tavecchio… Gravina in sella alla federazione dopo aver condotto una Lega Pro con 60 milioni di euro di disavanzo, Nicchi ormai presidente degli arbitri a vita), filosofia gattopardesca del “tutto cambi perché nulla debba cambiare”, che ormai pare insita nelle vene di qualsiasi esponente sportivo. E meno male che si è scongiurato, per il momento, il blocco delle retrocessioni: provate a pensare che senso avrebbe avuto giocare partite inutili (come già quasi sono quelle di questi mesi, in palazzi vuoti e desolanti, con le sole urla dei protagonisti in mezzo al nulla, e il forte rumore della sfera che batte sul parquet), con scarti improponibili in una stagione già mezza falsata. L’impiantistica poi, lasciamo stare: insieme a stadi e palestre, i palazzetti non fanno eccezione in quanto a poca ospitalità e versatilità.
Ecco, il basket non fa eccezione. Non si è saputo rinnovare, sia sulle sue poltrone che sul campo, non ha cambiato pelle per conservare il proprio status. Rischia sempre di morire, eppure sopravvive sempre sull’orlo del burrone. Ma verrà un giorno, e il Covid nostro malgrado ha accelerato il processo, in cui non si potrà più tornare indietro. E in tutto questo, a rimetterci, sarà chi lo ama.
(foto di basketmarche.it)
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