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Nel novembre di 40 anni fa ci lasciava Cesare Negroni

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Cesare Negroni avrebbe cent’anni, ma da quaranta non è più fra noi. Era figlio di Mario Negroni, un’istituzione per la Virtus. Mario era stato ginnasta, quando quella disciplina era al massimo fulgore, poi fu Segretario Generale per tanti anni, con l’ufficio in una stanza semibuia dell’ex Cappella di Santa Lucia. Sua l’iniziativa del libro del 1931 che celebrava i primi sessant’anni della Società. Lavorava spesso nell’ombra, ma era un punto cardine della società, soprattutto nei momenti di difficoltà. Come nel 1928 quando Arpinati volle raccogliere tutte le società nella Bologna Sportiva, fu la dialettica del Segretario Generale a permettere alla Virtus di mantenere la propria autonomia. O  quando nel 1935, con Arpinati non più gradito al fascismo, vi fu la fusione tra Bologna Sportiva e Virtus fu Negroni a far mantenere davanti nella dicitura il nome Virtus e a far rimanere al suo posto il presidente Alberto Buriani. Oppure quando nel 1945, alla scomparsa di Buriani, si adoperò per salvare il salvabile da presidente reggente della S.E.F. (dal 1945 al 1947 poi dal 1957 fu presidente onorario) e a far ripartire l’attività cestistica (presidente della sezione pallacanestro dal 1946 al 1947), cui presto avrebbe trovato un nuovo campo in Sala Borsa, perché la Santa Lucia ad altro era stata destinata. Prima, però, nel 1946 fu l’architetto del primo scudetto: si accordò con Giovanni Bersani, responsabile della sezione pallacanestro della F, iscrisse la squadra al campionato con il nome Fortitudo Sisma, una squadra mista, formata da giocatori di entrambe le formazioni, con Marinelli capitano. Questo perché alcuni dirigenti della Virtus vennero indagati, sospettati di legami con il fascismo, ma in un secondo momento prosciolti e così la Virtus tornò in campo a tutti gli effetti, in tempo per conquistare il primo titolo della pallacanestro. Quella pallacanestro a Negroni così cara, fu infatti il Segretario Generale ad assegnare il campo ai sei ragazzi dell’atletica per fare partire anche alla Virtus quella nuova disciplina alla fine degli anni ’20. L’apporto alla Virtus e alla pallacanestro bianconera della famiglia Negroni non si limita però a Mario: entrambi i figli furono pilastri della V nera dei canestri. Carlo, classe 1925 e tra i fondatori del Gira, vinse cinque scudetti, come Rapini e Binelli, ma nessuno ha fatto meglio, fu nazionale e poi dirigente della Virtus. Il fratello Cesare, di cinque anni più anziano, non aveva la classe di Carlo, ma contribuì comunque alla conquista di due scudetti e rimase sempre un innamorato della V nera. Abitava e lavorava a Rimini (alla Sacramora), amava uscire in mare sul suo motoscafo rosso, ma soprattutto deliziava gli avventori del porto con i suoi racconti di pallacanestro. Non era però un nostalgico dei tempi passati, seppure così gloriosi, si entusiasmava anche per la V nera degli anni ’70. Non esitava a partire per le trasferte: come a Cantù il lunedì di Pasqua 1977, quando le V nere andarono a vincere di un punto la bella della semifinale playoff; come nell’estate del 1979 quando fu annunciato l’arrivo di Jim McMillian e lui, che conosceva tutto del basket americano, disse: “Non McMillen, ma uno ancora più forte”. E noi, che già ci stropicciavamo gli occhi alle prodezze di Tom, faticammo a dargli credito, ma aveva ragione lui. Jim deliziò la platea bolognese per due stagioni, ma Mario non poté godersele fino alla fine. Ogni partita casalinga lo vedeva partire da Rimini direzione Piazza Azzarita e così fece il 26 novembre 1980. La Virtus sconfisse Cantù 93-84, il “suo” Jim fu il migliore realizzatore della partita con 24 punti, ma fu l’ultima volta per Cesare Negroni: subito dopo la gara un infarto lo portò via a soli sessant’anni.

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