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Il Personaggio della settimana – Romolo Tavoni, da Maranello a Monza

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Il nuovo ospite

A volte gli incontri con la storia sono casuali ed inattesi proprio come mi accadde con Romolo Tavoni. Lo riconobbi subito quando lo vidi arrivare per la prima volta negli studi televisivi del Processo al Gran Premio condotto dall’amico Alberto Bortolotti. Dopo gli anni in cui la trasmissione si svolgeva all’Autodromo di Imola ero ormai diventato una presenza fissa, una specie di spettatore privilegiato al quale per pura simpatia era concesso di assistere alla diretta da dietro le quinte. Poi una sera vidi scendere dalla una Fiat Croma bianca un nuovo ospite. Il viso tradiva l’età prossima agli ottant’anni, ma la sua figura alta ed esile si muoveva con gesti rapidi e decisi. L’espressione era sempre seria, quasi corrucciata, ed era accompagnata da un tono di voce potente e piuttosto alto mentre salutava come un vecchio amico il suo coetaneo Marcello Sabbatini, maestro di giornalismo ed opinionista fisso della trasmissione. Fu proprio Marcello, che ormai mi aveva “adottato”, a presentarmi il nuovo arrivato. Ma in realtà lo avevo riconosciuto al primo sguardo.

Da uno sportello alla direzione sportiva

Non potevo non ricordare i lineamenti di quel volto. Romolo Tavoni era un pezzo importante della storia della Ferrari, anzi dell’automobilismo italiano. Diplomatosi ragioniere e subito assunto come bancario, fu il direttore della sua filiale ad indirizzarlo come segretario presso uno dei migliori clienti. Si trattava del Commendator Ferrari, colui che stava ampliando la sua attività di costruttore di automobili sportive diventando sempre più conosciuto grazie alle competizioni. Era il 1950, Romolo aveva appena 24 anni e nessuna esperienza nel mondo dell’automobile, ma accettò l’impegno come segretario di quel personaggio dal carattere difficile. Proprio quell’uomo non stava creando soltanto un’industria ma anche e soprattutto un mito planetario. In più, tra una sfuriata serale con annesso licenziamento seguita da una riassunzione al mattino successivo, stava creando anche un dirigente fidato: il ragionier Tavoni. Un dipendente così valido che, dopo le prime stagioni in affiancamento a Sculati ed Amorotti, divenne il direttore sportivo della squadra corse, il rappresentante del Commendatore sui campi di gara per cinque stagioni tonde dal 1957 al 1961. Non furono anni facili. La responsabilità di trattare i premi di partenza e le tragedie che privarono la Scuderia dei suoi piloti più promettenti pesarono su Romolo. Non solo professionalmente ma anche privatamente: ricordava spesso l’amicizia sincera che lo aveva legato a Mike Hawthorn e gli incubi dopo la tragedia di Portago alla Mille Miglia. Nonostante tutto questo, sotto la sua responsabilità giunsero due Campionati del Mondo di F1, una Coppa Costruttori F1, quattro Campionati del Mondo Costruttori Sport, tre Coppe di Formula 2 e quattro per vetture Gran Turismo. Oltre al passaggio al motore posteriore sulle vetture da corsa, che per Ferrari rappresentò una specie di “rivoluzione copernicana”.

Un breve filmato del Gran Premio d’Italia 1961, glorioso e tragico per la Ferrari diretta da Tavoni (mscheeres su YouTube)

La cacciata da Maranello e la rinascita a Monza

Proprio dopo il trionfale 1961 giunse il giorno della “cacciata degli dei”, una fastidiosa vicenda legata alle lamentele dei dipendenti per i comportamenti della moglie di Ferrari nei loro confronti. Un maldestro tentativo di risolvere la situazione portò al licenziamento in tronco di tutti i vertici tecnici ed amministrativi e Romolo si ritrovò così da dirigente (il più giovane della provincia di Modena come amava ricordare) a disoccupato nello spazio di poche ore. Dopo una breve e non fortunata esperienza tra i fondatori della ATS, per Tavoni si aprirono le porte dell’Autodromo Nazionale di Monza. Fu proprio al circuito incastonato nello splendido Parco Reale il luogo in cui mostrò tutto ciò che aveva appreso al fianco del “Drake”. Il suo biglietto da visita in Brianza fu l’invenzione, insieme a Luigi Bertett, della Formula Junior Monza, madre di tutte le categorie addestrative dalla metà degli anni Sessanta. Ad essa fece rapidamente seguito la 1000 chilometri che dal 25 aprile 1965 sarebbe diventata una grande classica dell’Endurance mondiale. Trent’anni al vertice, anche come direttore di gara, fino alla soglia dei settant’anni. Quando, come diceva lui, era ora di lasciare spazio ai più giovani.

Pensionato ma non troppo

Già i giovani. Erano un’idea fissa di Romolo che infatti si incuriosì subito alla mia presenza in quello studio televisivo volendo sapere tutto su di me e sulla mia esperienza nel mondo dell’automobilismo. Intimoriva con il piglio deciso che aveva assorbito negli anni accanto a Ferrari, ma capii rapidamente quanto nei fatti fosse al contrario capace di mettermi a mio agio dando sfogo alla passione. Perché Romolo era una miniera di storia alla quale potevo attingere a piene mani ma allo stesso tempo uno stimolo a guardare avanti, a migliorarmi, alla curiosità che sembrava essere una sua risorsa inesauribile. Ci mise molto poco ad interessarsi alla mia esperienza personale e le nostre telefonate diventarono un’abitudine che lo rendeva felice. Arrivò ad aprirmi le porte della sua villetta di Casinalbo, il suo paese natale a due passi da Formigine. Lui che era sempre stato così riservato sulla sua vita privata, custodita gelosamente lontano dall’immagine professionale che manteneva quando usciva dalle mura domestiche. Così, tra chiacchiere in poltrona ed un pranzo offerto in un ristorante della sua campagna, tra un filetto all’aceto balsamico ed un bicchiere di Lambrusco (era autorevolmente capace di far bere anche un astemio convinto come il sottoscritto), i racconti del passato si mescolavano alle analisi del presente. Ma sempre “con lo sguardo dritto e aperto nel futuro”. Chiacchiere di motori ma anche di vita, perché se le corse sono la vita allora in mezzo alle corse può finirci l’esistenza intera. Tutto questo era Romolo Tavoni, per i pochi ai quali concedeva il privilegio di farsi conoscere.

Un commiato unico

Era diventata una consuetudine per me inviargli via lettera il calendario agonistico dell’Autodromo di Imola all’avvio di ogni stagione. Nonostante i tre decenni vissuti in prima linea a Monza, Romolo, da uomo di sport nato e formato nella “Motor Valley”, adorava il circuito del Santerno. Lo considerava speciale e più volte aveva affermato: «A Monza ci chiedevamo come facesse Imola ad avere sempre più pubblico di noi!».
Ad ogni mia lettera seguiva una risposta scritta a macchina con la sua carta intestata e chiusa da una splendida firma. Poi nei giorni successivi sarebbe sempre arrivata una lunga telefonata in cui, con la sua voce decisa, esprimeva con forza le sue idee su come impegnarci alla crescita della nostra pista. Perché, come diceva lui, “è sempre bello sentire gli amici”. Non ha mai smesso di approfondire ogni aspetto delle corse, con passione e competenza. Gli avevo chiesto più volte di incontrarci nelle nostre ultime telefonate, ma scusandosi mi diceva: «Sai, soffro di labirintite, passo intere giornate a letto. Non vorrei farti venire fino qui per poi non poterti ricevere come meriti!». Quest’anno per la prima volta la mia lettera per Casinalbo è rimasta incompiuta, perché Romolo se n’è andato lo scorso 20 dicembre con la riservatezza e la signorilità che ha avuto per tutta la vita. L’ultima volta che ci siamo sentiti mi ha regalato una frase che aveva il sapore di un commiato: «Se un giorno sentirai che è morto Tavoni, non preoccuparti. Perché sappi che sono morto sereno!».

Forse uno dei modi più belli per salutare la vita e per insegnarmi qualcosa.

Un abbraccio Romolo.

 

 

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