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La nuova Ferrari tra corse e ricorsi

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Lo storico greco Polibio teorizzò il tempo ciclico nella storia umana. Secoli dopo Giambattista Vico espresse la medesima visione attraverso il concetto dei “corsi e ricorsi”. Proiettando il tutto nella Motor Valley si potrebbe convenire che anche la storia della Ferrari conferma queste tesi e la situazione della squadra corse 2021 sembra ricalcare quella di qualche decennio precedente. Anzi, facciamo pure di 47 anni fa tondi tondi.

Un’annata da dimenticare

Quella 1973 era appena stata archiviata come una delle annate più deludenti nella storia del cavallino rampante. Le vetture di Maranello erano state impegnate parallelamente su due fronti: il Mondiale Sportprototipi e, ovviamente, quello di Formula 1. Tra le biposto a ruote coperte la Scuderia era reduce dalla trionfale stagione 1972. La 312 PB evoluta aerodinamicamente il bis iridato sembrava probabile più che possibile. A fine anno invece le vittorie di tappa furono solo un paio e fu la Matra a portare in Francia quella corona mondiale che il “Drake” percepiva come qualcosa di suo. A mettere sale sulla ferita giunse anche la sconfitta di Le Mans dove le vetture di Maranello, pur velocissime, vennero battute dalla MS670B di Pescarolo e Larrousse. In Formula 1 la situazione fu, se possibile, ancora più preoccupante.

Mai così in basso

Nella massima formula la mai troppo competitiva 312 B2 venne sostituita dal Gran Premio di Spagna dalla nuova B3, che in comune con la precedente monoposto aveva solo il consueto motore 12 cilindri piatto a spingerla. La nuova vettura era nata a seguito di un momentaneo allontanamento di Mauro Forghieri dalla direzione tecnica e al suo posto giunse Sandro Colombo a portare idee innovative. Il disegno della vettura fu realizzato dai tecnici Caliri e Rocchi, ma il telaio venne costruito materialmente in Inghilterra dallo specialista Thompson. Si trattava di una monoscocca e non di un telaio in tubi, costruzione ben conosciuta a Maranello ma ritenuta obsoleta. Per recuperare sulle avversarie inglesi si decise così di affidarsi ad uno specialista d’oltremanica. Il risultato fu semplicemente disastroso. La nuova vettura si dimostrò del tutto sbagliata e a complicare le cose ci si misero anche risorse economiche non illimitate in un periodo di agitazioni sindacali. Solo a Monza la Ferrari iscrisse nuovamente due vetture dopo avere saltato le gare di Zandvoort e Nurburgring. I rapporti con la prima guida Jacky Ickx erano ormai irrimediabilmente compromessi ed il belga non mostrava più attaccamento alla causa, mentre il suo compagno Merzario cercava di ottenere il massimo da una situazione ai limiti del sostenibile.

La svolta

A fine anno la classifica del mondiale costruttori fu impietosa: la Scuderia era sesta con soli 12 punti. Dietro la crisi c’era una motivazione nota solo a posteriori: Enzo Ferrari aveva dovuto forzatamente trascurare l’attività della squadra a causa di un problema di salute e si sa, quando manca il “manico” anche l’organizzazione mostra i suoi limiti. Rientrato in piene forze sul finire dell’annata non perse tempo per riprendere in pugno la situazione. Stop alle collaborazioni estere e rientro di Forghieri con “pieni poteri” alla direzione tecnica. “Furia” non si fece pregare per mettere le mani sulla B3, che rientrò in pista ampiamente migliorata. La gestione sui campi di gara venne affidata ad un giovane molto vicino alla famiglia Agnelli che stava mostrando doti manageriali fuori dal comune unite ad una profonda passione per i motori. Il suo nome era Luca Cordero di Montezemolo, anzi Luca di Montezemolo come veniva più sinteticamente chiamato all’epoca. Il nuovo direttore sportivo si fece subito notare dal grande pubblico partecipando alla celebre trasmissione radiofonica “Chiamate Roma 3131”. In quella occasione, da semi-sconosciuto, difese a spada tratta l’operato della Scuderia nelle risposte ai tifosi che esprimevano il loro malcontento telefonicamente. Ma a mostrare le doti di carisma del nuovo arrivato vennero evidenziate da una storica decisione. Fu infatti lui a caldeggiare con il commendatore la scelta di concentrare tutte le non immense risorse del Cavallino sulla Formula 1 per tornare ai vertici, ritirandosi dal Mondiale Sportprototipi e prepensionando così l’innovativa 312 PB/74. Sicuramente una decisione del genere procurò più di qualche mal di pancia al Commendatore ma, col senno di poi, si rivelò lungimirante.

Il vecchio e il nuovo

A destare più sorpresa fu tuttavia la decisione riguardo ai piloti. Liquidato il demotivato Ickx ed il “fantino” Arturo Merzario, venne scelta in sostituzione la coppia Clay Regazzoni-Niki Lauda che aveva appena concluso la stagione in casa BRM. Ovviamente la scelta fu oggetto di grandi polemiche, specie per l’appiedamento di Merzario. Come poteva Ferrari permettersi di licenziare un italiano per fare posto ad un austriaco che aveva colto al massimo un quinto posto? La stampa non ci andò tanto per il sottile ma in breve tempo Lauda fece ricredere gli scettici contribuendo con un approccio scientifico e professionale alla crescita della squadra, creando un’ottima sintonia con Forghieri e Montezemolo. Per quanto riguardava Regazzoni invece la situazione appariva del tutto differente. Il ticinese era cresciuto in Ferrari, squadra con la quale aveva colto uno storico trionfo a Monza nel 1970 alla sua quinta gara in assoluto. Con il suo stile di vita un po’ guascone e la sua voglia di gettare sempre il cuore oltre l’ostacolo era in breve diventato il beniamino dei tifosi ferraristi, dai quali era percepito praticamente come un pilota di casa anche per ragioni linguistiche. La sua “cattività britannica” era durata un solo anno, coincidente guarda caso con quello peggiore per la Ferrari ed il pubblico era tutto per lui. Come andarono le cose da lì in poi è fin troppo noto. Le capacità e l’impegno di Lauda trascinarono la squadra ad una ritrovata competitività. Nel 1974 la vittoria mondiale sfuggì a Regazzoni a causa di diverse imprecisioni di squadra e piloti, ma dall’anno successivo si aprì uno dei cicli più trionfali per la scuderia di Maranello ad oltre dieci anni dal titolo di Surtees.

Da ieri ad oggi

All’indomani della presentazione della monoposto 2021 le analogie con 47 stagioni fa appaiono incredibili in numero e circostanze. La Ferrari esce da una stagione chiusa al sesto posto nel costruttori e da un rapporto ormai logoro con un pilota di primo piano, ieri Ickx oggi Vettel, che doveva guidarla verso il titolo ed ha invece chiuso la sua esperienza in rosso con l’amaro in bocca. Accanto a lui gli spazi per un pilota italiano, ieri Merzario oggi Giovinazzi, si sono mostrati irrimediabilmente chiusi. C’è un pilota idolo dei tifosi, ieri Regazzoni oggi Leclerc, che ha conquistato il pubblico con una vittoria al Gran Premio d’Italia e dando sempre il massimo anche in inferiorità tecnica. C’è un nuovo arrivato, ieri Lauda oggi Sainz, con un approccio più metodico e meno spettacolare, pochissimi risultati di rilievo nel Mondiale ma anche grande professionalità e sicurezza nei suoi mezzi. Oggi c’è anche il grande annuncio di un ritorno in gara a Le Mans che sembra ricollegarsi proprio a quel doloroso addio del 1974, mai del tutto digerito. C’è un digiuno dal titolo mondiale che dura ormai da oltre un decennio (anzi facciamo pure tre lustri…) che è secondo solo alla ventennale carestia dell’era pre-Schumacher. Ciò che oggi sembra differente è la presenza di una forte guida tecnica e dirigenziale che l’accoppiata Forghieri-Montezemolo, alle dirette dipendenze del “Drake”, aveva saputo assicurare. Come andarono le cose 47 anni fa lo raccontano i libri di automobilismo. La storia del nuovo corso Ferrari è ancora tutta da scrivere. Le analogie proseguiranno? Ai posteri, come si suole dire, l’ardua sentenza.

 

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