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Il 21 marzo 1960 nasceva Ayrton Senna
Quanto mai in questo periodo attendiamo la primavera: stagione sinonimo di rinascita, di ritorno alla luce, che in questi dodici mesi segnati dalla pandemia è divenuta un’oasi nel deserto, da cui tutti vorremmo abbeverarci. Uscire e vedere il sole, che aspettiamo da tempo, e che abbiamo dovuto osservare ultimamente molto spesso solo dai vetri delle nostre finestre. Guardare e non toccare. Non sappiamo se ci fosse il sole il 21 marzo del 1960, quando Neide e Milton accolsero la venuta al mondo del piccolo Ayrton Da Silva, secondogenito di una famiglia benestante di San Paolo, Brasile, passato alla storia col cognome del padre, Senna, seppur quel “Da Silva” lo avrebbe accompagnato sin dagli esordi nel motorsport.
C’era invece sicuramente il sole il primo maggio 1994, ancora primavera, tutt’altro che sinonimo di rinascita e luce. Fu un giorno nero, un week-end ancor più scuro, in cui quel bambino che aveva completato 34 giri nella vita e 6 sulla pista di Imola, finì addosso a un muretto, dritto per dritto, forse senza soffrire. Non se lo sarebbe meritato. Non riprese più coscienza e il Maggiore di Bologna divenne il suo ultimo luogo, quello dove il suo cuore smise di battere. Dalla Williams alla Williams: quando il patron Frank lo invitò nel 1983 a un test con una delle sue monoposto, ma lui finì a esordire con la Toleman, a quel ’94 in cui la missione era una sola, quella di riprendersi il Mondiale, di vincere il quarto titolo sul sedile che era stato di Prost, il rivale di una vita.
Ayrton Senna oggi avrebbe 61 anni, era nato tre giorni dopo il giornalista e amico Leo Turrini: una foto li ritrae insieme proprio a Imola, nei giorni dei loro compleanni, quando entrambi diventavano trentenni, nel 1990. Non sarebbe più nella Formula 1 e del resto lo aveva detto nella sua casa di Montecarlo a Pino Allievi, agli inizi di carriera: “Ho un ruolo di visibilità, non mi occuperò più di corse quando mi ritirerò, ci sono tanti problemi nel mondo da risolvere”. Echeggia nell’aria il ruolo di Hamilton oggi, non solo pilota ma ambasciatore in cerca di soluzione per i problemi del mondo.
Lui che non ha praticamente mai visto un Brasile prospero e che lui stesso era una speranza per tutto il Brasile, che guidava con lui ogni domenica, sospinto dalla voce del cronista di “Globo”, Galvao Bueno, passato alla storia quasi quanto lui. “Ayrton Senna do Brasil!” urlava lui quando passava la McLaren sul traguardo, prima e vincente. No, non sarebbe più in Formula Uno oggi Ayrton. E chissà cosa penserebbe di questo carrozzone lontano dai tifosi e schermato dagli uffici stampa. Che dolore, quando arriva primavera.
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