Basket
62 Anni oggi per Maurizio Ferro, una storia difficile con le V nere
Nato a Venezia il 6 aprile 1959, ma ben presto a Bologna, si avvicina alla pallacanestro da bambino, grazie alle amicizie della madre nell’ambiente dei giocatori della Virtus. Le sue prime simpatie sono per le V nere, ma poi prevale la passione per Gary Schull, storico americano della Fortitudo. L’amore per la F lo porta ad essere tra i fondatori della Fossa, poi giocatore delle giovanili dove assapora i primi derby giocati, anche se sono stracittadine lontano dai riflettori. Arriva alla prima squadra con allenatore John McMillen ma nel 1980 viene ceduto alla Virtus, un trasferimento che fece scalpore, anche perché portò alla Fortitudo il capitano delle V nere Bertolotti. Ferro fu lasciato un anno in prestito alla società di via San Felice. In quella stagione si trovò in una posizione ambigua, giocando in una squadra che amava ma non era più la sua come prima e davanti a tifosi che in molti casi lo consideravano un “traditore”. Il quintetto era intrigante: Anconetani, Ferro, Bertolotti, Jordan e Starks; una formazione però molto a trazione offensiva. L’ex capitano delle V nere e i due americani superavano a volte i trenta punti personali, il primo superò i 500 punti stagionali, mentre i due Usa andarono oltre i 600. Anche Ferro, noto per le sue qualità offensive, ebbe qualche acuto, ma non era più il Maurizio “leggero” delle stagioni precedenti.
Era quindi una Fortitudo capace di segnare molti punti, ma anche di subirne tanti. Ci furono belle partite, tra le quali i due derby entrambi finiti al supplementare; perso quello di andata e vinto quello di ritorno con 20 punti di Jordan e Bertolotti, 25 di Ferro e 26 di Starks. Alla fine la squadra rimase fuori dai playoff, con 14 vittorie e 18 sconfitte, lo stesso ruolino di Forlì, che però approdò alla fase successiva grazie ai tre confronti diretti vinti. Nonostante il terzo attacco del campionato, a un solo punto dal secondo, quello della Squibb Cantù e a due dal primo, quello della Scavolini Pesaro, finì così il campionato della I&B, che pagò la seconda peggior difesa del torneo. Intanto tutta l’attenzione della città era rivolta alla imminente finale di Coppa dei Campioni della Virtus, che pur non vincendo nessun trofeo, in quell’annata entusiasmò i propri tifosi grazie al grande cuore che portò le V nere a un passo dal titolo continentale e alla bella della finale scudetto nonostante una serie incredibile d’infortuni che la privarono nei momenti decisivi di alcuni dei suoi uomini più importanti.
Poi per Ferro l’arrivo in Virtus, con allenatore Aza Nikolic, un monumento della pallacanestro europea, ma anche un cultore del lavoro e della difesa e, fin da subito, Maurizio non entra nelle grazie del coach: subito in quintetto va Fantin, appena arrivato da Pordenone, con molta meno fanfara, ma più funzionale al tipo di basket voluto dall’allenatore delle V nere. Ferro lega con gli altri italiani, Bonamico, Villalta, Generali e Cantamessi, ma la sua posizione è complicata: deve cercare di convincere il proprio allenatore, ma non si sente a suo agio, sebbene i tifosi bianconeri lo abbiano accolto bene, ma soffre il giudizio di quella che era la sua “famiglia” fino a pochi mesi prima. Oltretutto la squadra è ringiovanita, dopo Bertolotti l’anno prima, è partito in estate anche Caglieris, non ci sono i grandi nomi stranieri degli anni precedenti, i Cosic, i McMillian, i Marquinho, ma due giovani americani di prospettiva, però ancora a corto di esperienza: Rolle e Fredrick. La squadra vive così di alti e bassi, anche se, tutto considerato, fa una buona stagione che, però non risalta di fronte ai tre primi posti e alle tre piazze d’onore nei sei campionati precedenti, periodo nel quale furono raggiunte anche due finali europee.
In quel 1981/82, infatti, la Virtus si arresta in semifinale sia in Coppa delle Coppe, eliminata dal Real Madrid, sia in campionato, fermata a Pesaro dal canestro sulla sirena di Zampolini. Ferro fatica: nelle prime quattordici giornate fa nove volte virgola e segna in tutto sedici punti; bisogna aspettare la quindicesima giornata, il 6 dicembre per vederlo in doppia cifra, 12 punti nella vittoria contro Torino. Gennaio è il suo mese migliore: quattro volte su sei con almeno dieci punti, tra cui spiccano i 16 del 3 gennaio nel successo di Forlì e di tre giorni dopo nel derby, non sufficienti però a impedire la vittoria della Fortitudo con 32 punti a testa dei suoi ex compagni Jordan e Starks, ma soprattutto i 19 rifilati alla Reyer nell’ultimo giorno del mese. Da lì alla fine del campionato, però, le prestazioni di Ferro tornano nell’anonimato, ad eccezione dei 12 punti segnati nell’andata dei quarti di finale, persa in trasferta contro Cantù. Quaranta presenze e 163 punti, il totale in campionato. Dello stesso tenore la sua esperienza in Coppa delle Coppe: 29 punti in 7 gare, con il picco dei 12 punti realizzati contro il Crystal Palace Londra.
In totale 192 punti in 47 gare (saltando solo la trasferta di Zagabria in tutta la stagione) alla media di 4,07 punti a partita. Un bilancio sicuramente non soddisfacente per un giocatore che era stato scelto per le sue doti offensive. Era stata una stagione difficile, ma Ferro non ebbe modo di ambientarsi nella sua nuova divisa: in estate fu ceduto. Se il suo arrivo era avvenuto in un trasferimento che aveva coinvolto capitan Bertolotti, una stella delle V nere, la sua partenza per Rieti entrò in un’operazione che portò a Bologna un giocatore (di solo una settimana più giovane di Maurizio), che non solo divenne più tardi capitano, ma che ha fatto la storia delle V nere per quasi vent’anni, Roberto Brunamonti.
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