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15 Aprile, il punto su Basket City. Non è ancora il momento dei processi

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È direi certo che oggi sia il giorno più mesto, fin qui, della stagione di Basket City: da una parte si è interrotto il sogno virtussino, dall’altra stanno riapparendo spettri inquietanti, in vista del quasi spareggio retrocessione della prossima settimana (con intermezzo veneziano che temo non possa produrre granché di positivo). Tuttavia, inviterei subito ad una considerazione: non è ancora il momento di montare processi. D’accordo, un po’ tutti i tifosi bolognesi stanno sacramentando contro questo e quell’altro, recriminando per questa e quell’altra situazione, distribuendo sentenze ed esponendo cosa e come si sarebbe dovuto invece fare, ma col senno di poi diventiamo tutti campioni, e francamente mettere qualcuno oggi sulla graticola mi pare più facile che opportuno.

In casa Virtus Segafredo è chiaro come qualcosa non abbia funzionato: cosa, però, aspetterei la fine della stagione a decretarlo, perché c’è ancora un campionato da portare a termine e a questo punto occorre concentrarsi su quest’ultimo obiettivo. Piangersi addosso, a questo punto, sarebbe da perdenti. Poi, si può anche discutere su alcune scelte del coach, sul rendimento di taluni giocatori, sulla sfortuna di alcune situazioni, certo che anch’io sarei tentato di muovere delle riserve, con la sensazione di avere in tasca risposte ai problemi emersi migliori di quanto avuto da società, tecnico e giocatori, ma questi rimangono esercizi solipsistici, come quasi tutti i proclami dei tifosi, critici di professione non di rado privi di reali competenze.

Ieri la Virtus ha incontrato un avversario molto forte, al top della propria condizione, come è abbastanza normale che sia in una finale (perché era, di fatto, già una finale) ed è stata battuta. Nello sport succede anche questo. Prima di buttare il bambino con l’acqua sporca tuttavia farei molta attenzione: innanzi tutto, perché, insisto, c’è ancora una stagione da completare e nulla vieta di sognare altri traguardi; poi, perché in ogni caso è necessario non cedere a reazioni istintive (è già accaduto, quest’anno, e non è finita benissimo), ricordandosi che per raggiungere certi traguardi occorrono i mezzi ma anche, se non soprattutto, l’esperienza che sola insegna ad affrontare le difficoltà. Lo dimostra il caso dello stesso Unics Kazan, che naviga nelle acque dalle quali sta ora emergendo da un certo numero di anni, mentre la Virtus vi è appena approdata. Ha detto bene Massimo Zanett ieri sera (non so quanto credendoci veramente, ma questo è un altro discorso): Kazan è stato migliore, all’Eurolega si tornerà a provare di arrivarci, ma pensiamo, adesso, al campionato. Che è ancora tutto da giocare, perché ad inizio partita si sta tutti sullo 0 a 0 e questa Virtus non può permettersi di smettere di crederci.

Come non può permettersi di smetterla di crederci la Fortitudo Lavoropiù. Ieri altra figuraccia, con partita mai veramente in discussione contro un avversario che semplicemente ci stava credendo di più. Come ha detto Dalmonte, la squadra ha bisogni di tutti, è necessario che ciascuno porti il proprio mattoncino, qualunque sia il proprio bagaglio tecnico e agonistico. È pur vero che anche Brescia, Varese e Reggio Emilia rimangono sul filo del rasoio, oltre ovviamente a Cantù, ma trovare contro quest’ultima i due punti salvezza (perché tali sarebbero pressoché certamente) temo sarà indispensabile; ci si potrà riuscire solo seguendo alla lettera quanto chiesto dal coach alla fine dell’ennesima partita dove l’anima della squadra si è progressivamente dispersa nel vento. Poi, una volta chiusa la stagione, si affronteranno i nodi strutturali per provare a costruire un futuro meno improbabile.

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