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Carspillar – Ferrari Testarossa, gli 80’s su ruote
Il 1984 fu un anno di grandi cambiamenti in casa Ferrari. In Formula 1 il “Drake” tornò a dare fiducia dopo un decennio ad un pilota italiano, l’indimenticabile Michele Alboreto. Le carrozzerie delle monoposto vennero per la prima volta “sporcate” da uno sponsor non tecnico, la Marlboro, dando inizio ad una collaborazione commerciale con Philip Morris che dura ancora oggi sotto altre forme. Al Salone di Ginevra poi arrivò la GTO, per gli amici 288, una vera “supercar” nata per competere tra le sportive estreme del “Gruppo B”. Ma non è tutto, perché al “Mondiale de l’Automobile” di Parigi arrivò un altro capolavoro su ruote destinato a diventare un simbolo rombante degli “Eighties”.
Una meccanica collaudata
In quegli anni nei listini di casa Ferrari era presente una vera istituzione di nome “Berlinetta Boxer”. Presentata a Torino nel 1971 per sostituire la mitica Daytona e commercializzata a partire dal 1973, questa due posti era la prima gran turismo nata a Maranello con il motore in posizione posteriore centrale, per la precisione un 12 cilindri piatto di 4390,35 cc capace di 380 CV a 7700 giri/min. Un “cuore” capace di accelerare la vettura da 0 a 100 km/h in 5,4 secondi nascosto sotto una carrozzeria firmata da Leonardo Fioravanti che coniugava in un’unica linea eleganza e sportività attraverso la semplicità minimalista tipica della moda anni Settanta. In una parola un vero capolavoro che in breve diventò conosciuto semplicemente con le sue iniziali: BB. Guarda caso le stesse di un’icona della bellezza come Brigitte Bardot.
Bella come una diva del cinema: la Ferrari BB (AsiMarket.it)
Un vestito nuovo
A undici anni dal lancio la “BB” stava iniziando però a mostrare i segni del tempo nonostante i riusciti ritocchi estetici delle evoluzioni 512 BB e BBi. La Berlinetta Boxer era ancora un simbolo di stile, ma i gusti erano ormai cambiati negli anni dell’ “edonismo reganiano” e della “Milano da bere”. La clientela che poteva permettersi una Ferrari voleva qualcosa più in linea con le tendenze del periodo. Si chiedeva di ostentare, stupire e mostrare gli eccessi quasi con sfrontatezza. Pininfarina interpretò questo cambio di preferenze con la consueta maestria, dando vita alla Testarossa. Si trattava di una berlinetta che riprendeva il nome glorioso di una splendida “barchetta” sport del 1957, la 250 Testarossa, che mutuava la sua denominazione dalle testate verniciate in rosso sul V12 che la spingeva. Il disegno della nuova Testarossa era caratterizzato dal generoso retrotreno, allargato per evidenziare il carattere aggressivo della “belva”. Un posteriore reso spigoloso dalla grande fanaleria di forma rettangolare alleggerita dalla griglia nera che la proteggeva. Le fiancate erano dominate anch’esse da grandi griglie a tutta lunghezza incastonate nelle generose prese d’aria laterali ed inclinate verso l’anteriore, dando alla vettura l’aspetto di un cuneo pronto a fendere l’aria. L’anteriore bassissimo era anch’esso reso inconfondibile da linee tese e dai fari a scomparsa, tipico elemento delle sportive del tempo.
L’imponente posteriore della Testarossa (Auto e Moto d’Epoca – Altervista)
Lusso senza compromessi
Gli interni non potevano scostarsi dal carattere degli esterni ed infatti univano caratteri tipicamente corsaioli, tra tutti la griglia del cambio per l’innesto rapido delle marce, al lusso senza mezzi termini. Le rifiniture erano ricche, i rivestimenti in pelle erano di qualità degna di berline di alta gamma. La Testarossa racchiudeva in sé tutto ciò che poteva trasformarla in un’icona di quegli anni, uno “status-symbol” irrinunciabile per chi voleva entrare nell’alta società dall’ingresso principale, meglio se facendo anche parlare di sé. Una manifestazione di opulenza così sfrontata fece storcere il naso ad alcuni puristi che vedevano questa nuova Ferrari allontanarsi dalla sportività coniugata all’eleganza tipica dei prodotti di Maranello per avvicinarsi allo stile “esibizionista” che aveva reso celebre Lamborghini. Tuttavia i consensi furono molto più ampi delle critiche e le innumerevoli richieste di personaggi del mondo dello sport, dello spettacolo e dell’imprenditoria diedero indiscutibilmente ragione alla scelta di Ferrari. Ancora una volta.
I ricchi interni della Testarossa (Quartamarcia)
Evoluzione della specie
La Testarossa fu un successo epocale, sottolineato dal fatto che per otto anni pieni di produzione la berlinetta restò in produzione praticamente senza alcun tipo di modifica stilistica evidente. Nel 1992 arrivò il primo “ritocco” con l’arrivo della 512TR, caratterizzata esternamente da un’estetica rinnovata per mascherina, fanaleria e paraurti anteriori (simili a quelli della coeva 348) ed interni completamente ridisegnati. Sotto pelle le modifiche furono più sostanziose su motore (nuovi pistoni, albero ed iniezione Bosch) e telaio in modo da ottenere una potenza di 418 CV ed un aumento di rigidità torsionale. Due anni dopo giunse anche l’ultima evoluzione della “belva”, la F512M, trasformatasi ormai in una sportiva “anni 90”. Sparirono i fari a scomparsa (sostituiti da doppie luci circolari con copertura in plexiglas) e venne resa di forma circolare anche la fanaleria posteriore. La potenza cresceva di altri 30 CV, il peso scendeva di 60 chilogrammi e l’ABS diventava di serie. Come richiesto da ogni vettura di alta gamma dell’epoca. Le “M” furono le ultime 500 Testarossa delle 9957 totali prodotte fino al 1996, quando con l’arrivo della 550 Maranello il Cavallino Rampante rimise i buoi davanti al carro pensionando definitivamente il mitico 12 cilindri piatto.
La F512M: il canto del cigno per la mitica Testarossa (Supercars.net)
Curiosità
I primi esemplari di Testarossa erano dotati di un solo specchietto retrovisore esterno molto esposto e montato a metà altezza sui montanti del parabrezza. La curiosa collocazione voleva porre rimedio alla visibilità posteriore molto limitata dalle generose dimensioni del retrotreno. La scelta non era esattamente un prodigio di design e dopo un paio di anni si decise di montare un secondo specchietto sul lato passeggero trasferendoli entrambi nella tradizionale posizione alla base dei montanti.
La berlinetta Ferrari divenne anche una diva del piccolo schermo. A partire dalla terza stagione della popolare serie televisiva “Miami Vice” divenne la vettura dei protagonisti, i “detective” Crockett e Tubbs. Le Testarossa fornite alla produzione furono due ed andarono a sostituire la copia della Daytona realizzata su base Corvette utilizzata fino a quel momento: un mezzo che aveva fatto storcere non poco il naso in zona Maranello. Le vetture erano nate nere, per essere poi ridipinte in bianco in modo da risaltare meglio nelle scene in notturna. Ma sicuramente anche per intonarsi agli elegantissimi completi chiari “griffati” Armani indossati da Dan Jonhnson, alias Sonny Crockett. Insomma, un trionfo del “Made in Italy”.
Tutte le Testarossa nacquero col tetto, tranne una. La Ferrari allestì infatti un unico esemplare in versione spider nel 1986 per un proprietario molto speciale: Gianni Agnelli. La vettura nacque per festeggiare adeguatamente il ventennio di presidenza Fiat dell’Avvocato per antonomasia. Nel frattempo noi bimbi degli anni Ottanta eravamo felici perché, prima o poi, sapevamo che nella nostra cameretta sarebbe arrivato un modellino Bburago della Testarossa. Il colore e la scala poco importavano. Quello che contava era possedere uno “status symbol” anche 24 volte più piccolo del vero.
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